Tra_Monti
Una rubrica di Marcello Di Martino
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La Meta del Molise

Il Monte Meta, cima più alta del Molise, dà apertura all’idea, ardita  per logistica, performance ed età, di raggiungere le cime più alte delle Regioni Italiane, fatta esclusione, chiaramente, di quelle dell’arco alpino.

Fine luglio, il percorso odierno, sentiero segnato L1,  non è stato ancora limitato al “traffico escursionista” dal Parco Nazionale d’Abruzzo, del Molise e del Lazio. A partire dai primi di agosto, la tutela del camoscio da una eccessiva pressione antropica ne inibirà il transito libero. 

Figlia di tre genitori biologici, la cima del Meta ha nucleotidi di Abruzzo, Lazio e Molise. Raggiungibile da Alfedena (AQ), Picinisco  (FR) e Pizzone (IS).

Quartetto poli-strumentale in scena. Appuntamento alla periferia commerciale di Castel di Sangro. I componenti della band suonano chi la chitarra di accompagnamento, chi il sax solista, chi le percussioni, nel senso di scandire il ritmo, chi come me che è sempre in debito di ossigeno le maracas, leggere e surrogabili dai bastoncini in fibra di carbonio.

Piano Campitelli, oltre quota mille quattrocento metri, con il sole dell’alba che dà luce alle mandrie mattiniere già al pascolo madido di rugiada e ai Monti della Meta, già fulgidi. E’ fresco e il sentiero inizialmente largo e in saliscendi conduce in semioscurità nella faggeta, contrasto con il sole nascente e la luna ancora visibile al suo tramonto ad ovest. Chitarra e percussioni intonano una cadenza estranea alle mie maracas, deviando in una corsia laterale al di fuori del pentagramma bianco e rosso. Il sax è con me, nel rispetto rigido del protocollo dettato dai segni del sentiero.

Quando la vernice bicolore stenta a farsi riconoscere e ad apparire alla nostra vista, ci si orienta con la luminosità proveniente dalla radura verde che delimita il bosco. In uscita, si riconquista il sentiero qui decisamente più visibile, e si ricompone momentaneamente il quartetto. Resti in pietra di una pastorizia ormai defunta, perimetro di improbabili stazzi,  fanno da preludio all’incantevole vista dell’anfiteatro dei Monti della Meta, il cui riverbero è qui quasi accecante. Adriano e Tonino riconquistano l’avanguardia e scompaiono nuovamente alla nostra vista.  Siamo nella Conca del Biscurri, dove troviamo  quel che resta, pietre squadrate alla base, del fortino, il Blockhaus, che la Guardia Nazionale edificò per combattere il brigantaggio, particolarmente attivo in questa zona di confine fra le tre Regioni, a metà dell’Ottocento. Proprio ai piedi dei Monti della Meta, fra Vallerotonda e Picinisco, fu tradito da un suo compagno  e ucciso Domenico Fuoco, capo dei briganti di San Pietro Infine. Il cui cadavere, insieme alle spoglie dei suoi due luogotenenti, furono esposti nudi e martoriati  al pubblico ludibrio nei diversi Comuni della Terra di Lavoro.

Superata una selletta, parte un tratto senza scia, fatto di pietre da frana di diversa dimensione, instabili e subdole, difficili da calpestare. Lentezza e premura, gli strumenti in cassetta degli attrezzi.

Il Passo dei Monaci è l’ombelico dei tre tracciati per il Monte Meta.  La Guardia Parco ci accoglie al bivio, a ridosso di un riparo roccioso, con targa.

È  il Virgilio delle Mainarde e dei Monti della Meta. Baffi rossi abbondanti, rigorosamente in divisa,  sessant’anni e tante storie da raccontare su salvataggi e su quelle montagne di cui è fedele custode. Sciorina toponomi e quote delle vette. Parla di sé, dei prodromi del suo pensionamento, della unicità del suo lavoro. Ci indica il luogo dove sarebbero sepolti i tre monaci, lì morti sorpresi dalla bufera. Danno nome al Passo ed erano in viaggio da Trisulti e Casamari ai conventi  del Molise. Su quel fazzoletto di terreno va depositato per tradizione un sasso, a memoria. 

Dal Passo dei Monaci, si erge l’erta finale, impegnativa, scivolosa. Gradoni, terra, sfasciami di rocce non danno tregua per pendenza. È, non solo per me, decisamente faticosa. Solo l’aggiramento di un masso in cresta porta ad un tratto dove il sentiero ripiana e lascia riprendere il respiro. Un ultimo breve segmento scosceso  conduce alla vetta, 2.242 metri di altitudine. Diversi vessilli, non solo croci, la erigono, a testimonianza della sua triplice maternità. Il panorama che ci accoglie sazia più del pane e formaggio che ho scelto come pranzo. Il vicino Monte Petroso, di pochi metri più alto del Meta,  le Mainarde, la Metuccia e il suo cratere, il Monte Miele, il lago della Montagna Spaccata, il Tirreno e l’Adriatico. 

Offrono sui massi che fanno da corolla alla cima taralli dolci di Amaseno e narrano di precedenti salite sul Meta. Un nutrito gruppo guidato da un sacerdote straniero, incredulo dell’impresa, in preghiera si  gode l’incantesimo. 

Archiviato con medesimo dispendio energetico lo slalom che riporta al Passo de Monaci, il percussionista propone il sentiero M1, che, tutto in territorio molisano, chiude ad anello l’escursione avviata al mattino. Si evita così la pietraia che ci era risultata tanto indigesta, si attraversa l’intera Valle Pagana che seppur lunga ci regala fontanili e Marchigiane immobili e si  raggiunge il Pano Le Forme, nel Comune di Pizzone, che,  detta anche Valle Fiorita, ospita in un’area picnic attrezzata avventori con cocomeri al fresco di una fonte gelata. Memorabile il bosco di faggi, propaggini di rocce, scenografia da cinema fantasy.

Tonino e Adriano sono democraticamente designati al recupero della Jeep a Piano Campitelli. La distanza imprevista, l’uso ignorato della frizione nell’accensione della macchina ne dilatano i tempi. E si accende, ma in maniera divertente, la spia del noir.

Bagnanti in riva al Lago della Montagna Spaccata e bomba alla crema ad ALT, stazione del gusto dello chef pluristellato  Niko Romito, concludono la meta del giorno.

La Meta del Molise ultima modifica: 2022-09-25T19:33:32+02:00 da Marcello Di Martino
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