La piramide del Navegna
Stipes è una frazione di Ascrea, nel reatino. E’ stata tappa del mio vacuo peregrinare negli anni addietro attraverso le città di identità della Regione Lazio. Quarantaquattro comuni che chi per ciliegie, chi per tartufi, chi per castagne, chi per vino o chi per olio hanno scommesso sul fare rete per esaltare la propria vocazione territoriale e produttiva. Stipes di Ascrea eccelle per i tartufi. Da qui, a partire degli anni sessanta, si approvvigionava in larga misura la filiera del tartufo italiana.

Arrivo al cimitero in largo anticipo. Il percorso che dal casello di Carsoli porta ad Ascrea è più agevole e veloce di quanto avessi misurato. È forse una delle poche volte che lo sherpa Sandro non mi precede al punto di incontro. Attribuire all’assenza di Luca la puntualità potrebbe apparire eccessivamente ingeneroso nei suoi confronti, ma Luca, in effetti, non c’è.
Non ho acqua nella borraccia. Entro nel cimitero. La signora che apre il cancello, offre l’acqua a tutte le tombe, singolare espressione di solidale rapporto con i defunti. La fontana eroga acqua tiepida, termale. La faccio scorrere, ma l’unico effetto lo conosce lo zaino che appoggiato per terra si inzuppa alla base. Tante, troppe giovani donne nei loculi.
Sandro è con Luna che, dal Navegna, sarà nostra fedele e guizzante compagna di viaggio. L’incipit non dà spazio al respiro e anche l’ouverture si fa lunga ed erta. Sandro ama le semplificazioni e mi preannuncia un’ascesa leggera. Ma così non sembra e non sarà. La ricreazione è alla carrareccia dei boscaioli. Qui essi lasciano tracce del loro lavoro e per un discreto tratto provo a ricredermi del recente vaticinio dello sherpa, per un continuo saliscendi poco faticoso. Al fontanile, poi, riemerge, assopita da anni, la passione zootecnica: vacche Marchigiane al pascolo, color bianco porcellana, con prole dal mantello frometino e nutrici Pezzate Rosse, il cui apparato mammario è decisamente segno di spiccata attitudine lattifera .

La segnaletica e due “datati” camminatori, burberi in pantaloni corti e bastoni di legno, sembrano tramare al nostro cospetto. Indicano tempi di salita al Navegna bugiardi. Menzogne che solo il lenimento istantaneo della fatica può assolvere. Da qui, o meglio da quota 1.200, il sentiero, non segnato a dovere, si fa davvero molto ripido e impegnativo. Solo il procedere per vie oblique mi è di conforto. Sandro e Luna prediligono la diretta ai miei “mezzi termini”. Anche il vento è forte e contrario. Precede la vetta, variamente assortito, un raduno equino.
La bandiera svetta sbrindellata sulla croce del Navegna e funge da inconsapevole anemometro. La cima è a 1.508 metri e lo spettacolo che si apre alla vista è memorabile: il Cervia (con cui il Navegna divide la Riserva Naturale Regionale), i laghi del Turano e del Salto, i Monti Carseolani, con il Fontecellese, Il Velino, il Gran Sasso e il Terminillo, questi più sfocati per il cielo nuvoloso.

Luna si scopre coprofaga, sorda al giocoso rimprovero del suo sodale. Una coppia a cavallo ci raggiunge, capelli biondi al vento e andatura di galoppo. Film inatteso, i cui fotogrammi si dissolvono in un batter d’occhio, con lo sparire appena dopo la cima. Sandro nutre particolare ipersensibilità nei confronti della pioggia. Anche poche gocce sollecitano la sua idrofobia. La ripartenza è immediata e ci imbatte con la mandria di cavalli. Lo stallone, a capo del circolo equestre, visibilmente eccitato e imbizzarrito, se la prende con Luna. Fallimentare è il suo inseguimento. Anche per noi “umani” la rincorsa si fa allarmante ed è motivo di accelerazione dei tempi di discesa.

Al bivio con abbeveratoio di Fonte Le Forche, scegliamo di virare a destra sul sentiero trecento trentatré, interamente proiettato nel bosco, prima di carpino nero, poi arbustivo con biancospino, prugnolo e rosa selvatica. Piacevole e confortevole percorso, questo, con passaggi su torrenti asciutti e non eccessivamente scosceso. Lungo da fare, con immancabile effige mariana presso cu fermarsi per una preghiera, ci porta ad altro punto di accesso al Navegna, sempre alla fine dell’abitato di Ascrea. Sul tornante della scalinata di uscita, segnali metallici indicano come raggiungere la “Benemerita” e il cimitero da cui ci siamo avviati al mattino per la cima del giorno.
Dalla fonte del centro storico fluisce acqua gelata che riempie questa volta a dovere la borraccia arancione. I due autoctoni seduti in panchina, imperturbabili alla mia presenza e alla pioggia qui diventata insistente, rappresentano letteralmente il profilo umano della gente di paese. Fatalismo e pausa pausa ritmo lento.

Il panino è rimandato sull’arenile del Lago del Turano, dove dal telefonino l’app del pedometro segnala i tanti passi della giornata, ma soprattutto i tantissimi piani, centosessantanove.
Il Navegna non è di certo di ascesa leggera. Una vera piramide. Sandro mentiva e sapeva di mentire.


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