L’Altare, uno Stinco di Santo
Dalla piazzetta del Municipio, chi abita o frequenta Montenerodomo, base genetica di Benedetto Croce, può godere di una vista senza fine della Maiella. Al centro dell’inquadratura, il solco inferto dalla Valle di Taranta e, alla sua sommità, il monolite imponente dell’Altare dello Stincone. Poco più in là Monte Amaro, apice della Montagna Madre.

La brigata odierna, anche se rimaneggiata, è la stessa salita sul Monte Morrone. Sandro, i cui lineamenti ibridano oriente e nativi d’America, Adriano, il dottore senza età, Tonino, il pendolo perpetuo.
La cestovia biposto del Cavallone, rediviva dopo cinque anni di coma profondo, conduce gli speleo-amatori dalla stazione di valle intorno agli ottocento metri a quella di monte, a quota 1.388 metri. E da qui, un largo sentiero e tante scale scolpite nella roccia tracciano l’entrata alla Grotta della Figlia di Jorio.

È per noi quattro la funivia, invece, una sorta di accorcia minuti nelle file, un lenimento alla fatica, una rudimentale macchina del tempo. A metà tratta, intorno ai mille metri, tre cavità sulla destra incise su alte pareti rocciose ospitano a turno in nidi regali una coppia di aquila reale (Aquila chrysaetos). La quota di nidificazione è intorno ai mille metri, altitudine inferiore al territorio di caccia dell’aquila, in modo che essa possa sfruttare la gravità nel portare cibo alla progenie. I pulli, così, ben nutriti si involano intorno ai primi di luglio.
Il sentiero inizialmente su pietraia assolata e ripida si fa più protetto nel bosco di faggi, con ancora indecomposte le foglie del passato inverno. All’entrata della prima zona alberata, mi attende una vipera (Vipera ursinii), che subito si dilegua fra i sassi. Poi le feci fresche di orso. In questa tratto, l’orso ama prepararsi, in iperfagia, per il lungo inverno ingurgitando bacche di un arbusto qui in abbondanza, il ramno alpino (Rhamnus alpinus).
Il tempo vira al brutto, nuvole e nebbia turbinano in movimenti ondivaghi. Su uno sperone di destra all’uscita dalla seconda faggeta, immobile, un camoscio in posa, imperturbabile, quasi ansioso di essere ripreso e immortalato per l’album di giornata.
Un ultimo impegnativo tratto in salita conduce al bivio per il rifugio Macchia di Taranta sulla sinistra attraversoil guado dell’Acquaviva e sulla destra con un insegna fai date (costruita da Tonino, a suo tempo interpellato da una coppia bergamasca alla ricerca di una fonte d’acqua) la traccia per il Fontanile di Taranta, a circa mille e ottocento metri. Raccolta d’acqua costruita nel 1898, a cura dell’Amministrazione Comunale di Taranta guidata dall’allora sindaco Panfilo Natale.
Orapi ormai spigati e verde d’ortica. La fontana rossa a pompa ci disseta. Sulla destra mi attende il salto di roccia. Indigesto alla mia anchilosi e alle mie fobie di instabilità. Tonino, in previsione della nostra escursione sull’Altare, era passato giorni primi ad agevolarne il passaggio con corde, utili come il supporto assicurato da Sandro. Pochi passi dopo, appare, sfocato dalla nebbia, lo Stincone, nella sua maestosa imponenza.
E da qui è gradevole il procedere, con sentiero in parte evidente e non più, tuttavia, opportunamente segnato dal Parco della Maiella. In saliscendi e in leggera pendenza. Ultimi esemplari di pino mugo e macchie diffuse di silene a cuscinetto (Silene acaulis), l’alta Valle di Taranta apre il respiro e la vista per la sua dimensione lunare. Desertica e colorata, contrafforti rossi, ghiaia marina. E poi posati lì megaliti, quasi a rappresentare un’area destinata ad un’estemporanea di scultura marmorea. Il naturale allestimento scenografico merita una breve sosta. E poi le prime stelle alpine, mirabile visione che edulcora l’ultima impegnativa asperità.
Sulla sinistra dello Stincone un segmento ghiaioso spinge a ritroso. È preferibile uscire dal solco insidioso del sentiero e optare per le parallele in terra ed erba, non segnate ma meno subdole. La nebbia sale, i miei compagni di brigata sono già alla base della cima dell’Altare. Che si raggiunge con un definitivo zig zag, con Adriano, mio badante dell’erta finale. C’è vento freddo ad accoglierci sui massi che segnalano il raggiungimento di quota 2.413 metri. Nebbia e nuvole si alternano e scompaiono. L’improvviso terso del cielo offre nuova luce alla Valle. Dalla vetta, la fenditura profonda cambia esposizione, enfatizzando la sua postura ad anfiteatro e limitando alla vista il proprio esordio. Sul ciglio dello Stincone, l’invitante affaccio è limitato dalla forza del vento alle spalle e da quell’inevitabile sensazione di leggera vertigine che l’alta parete rocciosa impone.
Tonino, profondo conoscitore dei luoghi, guida i nostri occhi alla Cima dell’Altare, a Grotta Canosa, a Monte Amaro, al Macellaro e a Piano Amaro. Propone un percorso alternativo per la discesa. Un lungo tragitto in cresta che condurrebbe in prossimità del Rifugio di Fonte Tarì per poi passare da “Vaduccio” e scendere, così, alla stazione di monte della funivia. Le mie limitate risorse energetiche inducono a declinare l’allettante invito. Si opta, loro malgrado, per il ritorno sui passi del mattino. È il turno di Sandro a farmi da momentaneo accompagnatore. Cautela e lentezza mi aiutano a ripercorrere il tratto in pietraia così ostico in salita. Si procede, poi, in scioltezza, riconsegnando tempo e spazio, dovuti, all’osservazione delle bellezze che ci attorniano.
Raggiunta la coppia in avanguardia, in sosta per un breve ristoro, Sandro si sgancia e di corsa, quasi a rispondere ad un suo istintivo bisogno di libertà, scompare alla nostra vista.
Affrontare il salto di roccia in discesa, mi è ancora più complicato del mattino, per l’affaticamento accumulato e per la scelta di affrontare il tratto probabilmente più lungo. Sandro mi aiuta a posizionarmi e mi indica a come afferrare la corda. Segue con estrema premura le mie incerte movenze. Didascalico e ansiolitico.
Seduti, con sollievo, sulle pietre che fanno da vasca al fontanile, facciamo merenda dividendo pane e formaggio, giallo per antociani dei pascoli che sovrastano Sant’Antonio a Palena. È Tonino che si dedica a me nel tratto finale, suggerendo di seguire pedissequamente i segnali bianco-rossi e di evitare, così, le discese fuori pista. La bidonvia ci riporta a valle, dove mi prende una sorta di incontenibile euforia e mi sento inspiegabilmente con lo spirito di uno Stinco di Santo.

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