L’eremo di Pietro da Morrone
Capo Fiume è il punto di partenza. Qui sorge l’Aventino, il fiume della Valle. Qui capta l’acqua l’Enel (oggi Enel Green Power) per la centrale Aventino I, 8,2 MW di capacità operativa, a Taranta. Qui sopravvive, ormai del tutto occupato da arbusti ed alberi, prevalentemente acacie, un invaso ormai in disuso. Il cui potenziale è mortificato. Qui si trova il geosito, alta parete alla destra della segnaletica che indica il sentiero. Inserita nel recente Majella Geopark, Geoparco Mondiale dell’Unesco, la miniera fossile di Capo Fiume ha alimentato in gran parte il Museo Paleontologico di Palena (in provincia di Chieti), di cui il Prolago (Prolagus cf.apricenicus), una sorta di lepre estinta milioni di anni fa, ne rappresenta l’emblema. Qui l’appuntamento con il mio sherpa storico, il cui cognome Piccone è facile e banale associare alla piccozza, in dotazione ad esperti con ramponi.

Alle spalle di una costruzione in cemento, maleodorante latrina occasionale, ha inizio il sentiero indicato dal Parco Nazionale della Maiella come I2, che in un’ora e un quarto di cammino porta ai 1.280 metri dell’Eremo Celestiniano della Madonna dell’Altare.
Questa escursione è, per tanti, abituale palestra di allenamento e di preparazione alle nuove stagioni primaverili-estive di cammino montano sulla Maiella .
Qui, prima ginepri ed ornielli e poi solo faggi ombreggiano un percorso dal fascino inusuale. È piovuto da poco. Le prime roccette e il brecciolino curato, non rese sdrucciolevoli dalla recente perturbazione, lasciano subito spazio alle foglie di faggio, non ancora decomposte e in pochi tratti subdole per spessore. Il saliscendi mi è per indole indigesto, ma muove la classifica. In ombra è fresco.
Il sentiero, sarà perché siamo ai prodromi della stagione estiva, non ha tracce di recenti attraversamenti e la cesoia che compone il set contenuto nello zaino dello sherpa libera da arbusti intraprendenti la luce del tragitto. Protagonisti dell’ascesa sono i faggi secolari, di nuove foglie e distesi a terra in una sorta di sonno perenne. Piccoli anfratti, un ponte in legno di non più recente installazione, naturali megaliti fungono da co-protagonisti e mai da comparse. L’erta conclusiva, ormai consueta gabella da saldare per il godimento finale, è assai ripida e lo strato di foglie, qui più consistente, rende l’ascesa davvero faticosa.

Allievano lo sforzo conclusivo citazioni di Santi inneggianti al silenzio e alla contemplazione. Sono su cartelli dislocati a ridosso del bivio finale. Da qui, o raggiungendo prima la grotta dove Pietro da Morrone sostò alcuni giorni fra il 1.235 e il 1.240 o dirigendosi sempre più verso l’alto, si perviene al Santuario della Madonna dell’Altare con annessa foresteria. Oggi destinazione di avventori dediti alla preghiera, al riposo, allo smaltimento delle scorie accumulate dai sensi, al contenimento dello stress della prosa quotidiana e alla rigenerazione spirituale.

Trovo Antonio, boscaiolo palenese mio affettuoso conoscente, alle prese con il taglio dell’erba, premura estrema dedicata alla sua amorosa Annamaria, in organico alla accoglienza dei visitatori dell’Eremo, terrorizzata giorni prima dalla presenza improvvisa di una vipera mimetizzata nel prato antistante il complesso monastico. Amore d’altri tempi.
Se non fosse per la pista riservata alla linea elettrica d’alta tensione, il panorama che incombe dall’Eremo è ancora quello stampato negli occhi dei monaci che qui abitarono dal 1.400 al 1.800. Vastità, imponenza, densità, tonalità di colore sono gli ingredienti della superficie boschiva all’orizzonte.

Cerri ombreggiano la fontana, sede della pausa ristoro, e delimitano l’area pic nic di panche e punti fuoco. Bordure di maggiociondoli densi di giallo ornano il prato da cui ha origine uno dei sentieri che conduce sul Monte Porrara, a quota 2.137 metri. Tonino Piccone, mio compagno di giornata, lo conosce a fondo, chiaramente, e me ne narra bellezza e tracciato.
Il rientro è sul medesimo percorso dell’ascesa. E le pendenze che in alcuni segmenti avrebbero tempo addietro favorito, anche per l’ingannevole tappeto di foglie di faggio, instabilità e oggettiva difficoltà nel procedere, sono superate con sorprendente sicurezza. Una fobia in evidente stato di attenuazione. E si riesce, così, a parlare agevolmente di montagna e di nuove idee per l’immediato futuro, ma non solo. Sardegna, progenie, politica locale fanno da preludio al veloce raggiungimento della meta. Siamo di nuovo punto a capo, a Capo Fiume.
Encomio solenne va tributato alla Proloco di Palena che ha in cura la manutenzione e la segnatura puntuale del sentiero I2.

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