Luce Verde per il Rio
Alle spalle l’archeologia del Pallano, dove la mano dell’uomo ha lasciato orme ed eredità fra bellezze intangibili e nefandezze dal gusto amaro, dense di sciatteria, ci inoltriamo verso l’interno. Sempre sulla sponda sinistra della Valle del Sangro. La seconda meta odierna è pregna di fenomeni naturali, dove l’opera dell’uomo si è limitata alla conservazione e alla tutela, con un occhio spalancato alla promozione dolce. Ultimo sussulto di mostruosità è lo sfregio inferto al paesaggio dal viadotto di Villa Santa Maria. Realizzato e ultimato nel 1992, con trentatré pilastri alti fino ad oltre cento metri, è una ferita che non potrà mai rimarginare.
La Riserva Regionale delle Cascate del Verde, autentico paradigma della biodiversità, con i suoi circa trecento ettari di estensione, è tutta compresa nel Comune di Borrello. Poche centinaia di abitanti, ad oltre ottocento metri di altitudine, siamo proprio ai confini della Provincia di Chieti, Pescopennataro e Sant’Angelo del Pesco sono già Molise. La prima persona plurale non è ipertrofico esercizio del plurale maiestatis: è con me la mia compagna di sempre. Trasgredisce, per l’occasione, alla sua indole che la porterebbe più volentieri alla visita di un sito artistico-storico che ad un esercizio acrobatico della natura.

Ci attende al box d’ingresso della Riserva una giovane addetta alla biglietteria. Con un procedere verbale decisamente meccanico, tuttavia completo ed esauriente, ci anticipa il tracciato da seguire e le possibili variazioni sul tema. Un breve tratto in carrareccia e un bivio, che superiamo a sinistra, ci proiettano verso l’anteprima della protagonista dell’escursione pomeridiana. Per una sua prima visione. Senza fatica, su un balcone che affaccia nel vuoto, sovrastato alle spalle da monoliti, siamo calamitati da mastodonti parallelepipedi che danno la stura alla spuma delle acque del Rio Verde. Sono tre salti d’acqua, tuttora abbondanti nonostante l’estate inoltrata, che producono fragorosi scrosci biancastri verso il basso. Meritano una prospettiva che ne esalti ancor di più la loro imponenza.


Poco meno di duecento scale, ad alzata non sempre agevole, fungono alla bisogna. Nello scendere, una coppia in debito d’ossigeno e dal parlare ritmato dall’affanno, ci anticipa, con gli occhi ancora spalancati per lo stupore, l’emozione appena provata alla vista dal basso dell’acqua cadere. E non ci resta che superare gli ultimi gradini e oltrepassare gli sporadici e indigesti gradoni per raggiungere il balconcino panoramico con vista in primo piano delle Cascate del Verde. L’immancabile duetto innamorato alle prese con il selfie di rito incarna il segno del tempo. Non tarda a lasciarci in prima fila. E gli oltre duecento metri di caduta sembrerebbero quasi offrire all’acqua del torrente una agognata via di fuga, una spasmodica ricerca di libertà anche a costo di farsi del male con un salto così tanto ardito. L’eco del fragore ci fa da colonna sonora nella risalita, resa meno faticosa dai fotogrammi di tanta bellezza appena fissati sulle nostre retine.


Il punto ristoro, posto all’ingresso della Riserva, ci riserva piacevoli sorprese.
Il direttore dell’area protetta, seduto al tavolo con un drink fra le mani, ci saluta con l’affetto di sempre, sedimento degli anni di conoscenza e di intensa frequentazione. È un po’ come me, Amelio, un neolitico di ritorno. Ama le sue radici, ma riesce a depurarle dalle incrostazioni stantie della nostalgia. Anzi, le arricchisce di esperienze, di ricerche scientifiche e di note di disincanto.
Si offre ben volentieri di accompagnarci sul percorso per così dire “lungo” che conduce al belvedere sulla Valle del Sangro. Ed è uno sciorinare tumultuoso di indicazioni botaniche, di terreni ormai abbandonati alla coltura degli orti e della vite. E poi la narrazione dell’intercettazione di una famiglia di lupi con prole al seguito, e poi ancora la menzione del fungo killer Aphanomyces astacii, in grado di decimare il gambero di fiume endemico nelle acque del Verde.


Il ponte sul corso d’acqua desideroso di qualche manutenzione, il colore smeraldo nelle poche pozze di stasi, i ruderi del mulino, testimone di un passato laborioso degli abitanti del luogo, gli effetti travolgenti delle recenti piene primaverili, rami tronchi e rifiuti voluminosi ancorati sulle sponde dell’alveo. Anticipano il grande terrazzo, punto panoramico con effetto grand’angolo, che sintetizza l’estensione e la variabilità ambientale della Riserva. Siamo alle spalle delle Cascate e ne assaggiamo, a pochi metri di distanza, paralleli, la consistenza dei ciclopici massi che accompagnano le colonne d’acqua discendenti. L’area boschiva, densa, impervia, sposa la flora mediterranea, nei suoi punti più bassi, a quella montana, che si sviluppa fino ad oltre mille metri di altitudine, in un connubio decisamente unico, probabilmente singolare. Altrettanto spettacolari sono i canyon prodotti dall’erosione del Verde che mira, a questo punto del suo vertiginoso fluire, di immettersi al più presto nel Sangro, suo paterno collettore.



Anche al ritorno, ripercorrendo all’incontrario il sentiero Natura, per circa un chilometro, Amelio non smette di aggiungere particolari, di dettagliare le implicazioni che le dinamiche di relazione istituzionale sottendono, di farci permeare appieno nell’atmosfera magica di un così tanto prezioso contesto ambientale. E con questo voluminoso bagaglio di emozioni e di ragguagli che ci si saluta e che ci si augura reciprocamente un gran bene.

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