Ministro senza portafoglio sul Pellecchia
ytali, rivista nata e cresciuta nella laguna di Venezia, con questa nuova rubrica volge lo sguardo alle montagne. A guidarci sarà Marcello Di Martino, una guida dall’incedere sicuro, tanto nel passo quanto nella penna.
Ogni post un’escursione e, soprattutto, il resoconto di un’esperienza viva, attraverso quell’immenso patrimonio di cammini possibili che è la montagna italiana, dagli Appennini alle Alpi.
Anche quando vuoi strafare, nel prepararti lo zaino la sera prima, l’indole non tarda a manifestarsi: lascio a riposare il portafoglio, con documenti e carte, nello zaino rosso sull’appendiabiti di casa. Sarò così ministro senza portafoglio. Il quadretto del disagio “premontano” ha una cornice di nome Luca. Si improvvisa navigatore, con appunti scritti a penna sull’agenda di città delle grotte, e dirige inizialmente, insieme a Boh, cane mendicante nel portabagagli, il tragitto da fare per raggiungere Monteflavio, punto di partenza per il Pellecchia.
Il tom tom vivente ci porta a Vicovaro Mandela, alla ricerca di una Civitella che non esiste. Il viaggio si allunga di un’ora e Luca viene declassato a posizionatore di cellulare sul cruscotto collegato a google map.
Ci aspetta Sandro nella pinetina di Monteflavio, raggiunta su una strada che la Jeep affronta brillantemente. Lo dico e lo ridico, Sandro è il mio conduttore preferito, e non voglio di nuovo tesserne le lodi. Accomuna il trio (più il cane maculato, insaziabile questuante) la frequenza dell’Agrario al 14° Km della Prenestina.
Si parte per il Pellecchia, che, con i suoi 1369 metri, è la cima più alta dei Monti Lucretili, dei quali lo scorso anno ho assaggiato la bellezza con il Monte Gennaro, che domina sullo skyline della Capitale anche se a quota leggermente più bassa (1276 mt). Cerco e mi arrabatto nel trovare una rima col Pellecchia, nel mio gioco di parole che tanto mi appassiona, e mi imbatto in “invecchia” e completo la frase, quanto mai fedele alla circostanza, con “non invecchia chi non smette mai di sognare”. E ci provo a tornare a sognare. Il problema articolare dell’anca avvertito all’inizio del dell’anno, motivo di non poco sconforto, oggi è al primo esame di controllo. Lo supererà brillantemente. E non posso non citare Simone, eccellente manutentore delle mie ossa. Muscoli e articolazioni compresi. E un grazie di cuore meritano le bacchette in fibra di carbonio che non mi hanno mai abbandonato per l’intera giornata.

Una lunga carrareccia, da cui si scorge in più tratti sulla sinistra la cima del Pellecchia, con tanti saliscendi che non aiutano a salire di quota, ci apre, dopo alcuni chilometri, all’inizio del sentiero. Prima pietroso, poi più soffice per l’humus prodotto dalle foglie di faggio, il tracciato non dà tregua per la pendenza. A metà del suo percorso, l’articolazione coxo-femorale mi avverte che è ora di fare una breve sosta (Mariani, illustre ortopedico di campioni di calcio, ma anche mio specialista, mi ha imposto di fermarmi dopo un’ora, che ho già però abbondantemente superato). Siede a mio fianco, anche per lui un auspicato riposo, Luca, con Boh che gironzola su e giù senza fermarsi e stancarsi mai. Il tè, ancora caldo, è stata una bella idea. Sandro è andato avanti, ma il percorso è così evidente che una sua guida sarebbe a dir poco ridondante.
Lo ritrovo all’uscita dal bosco sul prato assolato che ci aspetta. Luca si è fermato per un secondo break leggermente più giù, insieme al suo amico fedele. L’attesa si prolunga ed allora chiediamo notizie ai passanti che ci raggiungono. Hanno visto un ragazzo con un cane che prende beatamente il sole. Sandro, a cui non manca lo spunto ironico della famiglia Mucci, chiede se si muove, così con una fragorosa risata riprendiamo il cammino. A questo punto, l’ascesa si fa dolce, si raggiunge attraverso un prato perfettamente rasato dal pascolo dei cavalli che ci salutano in quota con nitriti e scalpitii, l’anticima. Da qui alla vetta, si direbbe impropriamente per l’esercizio fisico, è una fumata di sigaretta. Ci aspetta attorno alla croce un nutrito gruppo in posa per la foto ricordo. Ci appostiamo accanto al pingue ometto di pietra che indica in maniera laica la sommità del Pellecchia. Da qui scorgiamo raggiungerci Boh e Luca, sul cui viso non mancano le tracce di un breve ma profondo riposino.
Ma con Luca, come nei claims di pubblicità, le sorprese non finiscono mai. Non trova la sua merenda, smucina invano nello zaino, da cui emerge solo “una piccola mela” (cit. di Francesco De Gregori). Lo soccorre in aiuto Sandro, con un generoso paninetto.
Entra in gioco Boh che mi ipnotizza. Prima briciole di pizza bianca (su cui posano le amorevoli impronte della neo fornaia ex Istat), poi frammenti di formaggio, poi ancora listellini di prosciutto cadono passivamente dalle mie mani. Quando passo ai kiwi, la bestia si allontana disgustata.
La sazietà si completa con la vista che si apre sulla valle del Tevere, sul Soratte solitario, sulle vicine cime del Gennaro e del Coppi. Una leggera foschia limita lo sguardo ai Monti della Laga, del Velino, del Gran Sasso e della Maiella, così come anche i Lepini verso il mare appaiono appena abbozzati. Mi avvicino alla croce e Sandro mi scatta la foto di rito. Compilo anche due righe sul libro diario del CAI custodito in un contenitore metallico perfettamente stagno.

Al ritorno, il quartetto (anche Boh è stato promosso escursionista dalle doti soprannaturali) si scinde. Sandro accertatosi della semplicità del percorso di ritorno, da noi già collaudato in salita, opta per l’anello leggermente più lungo. Ci ritroveremo giù a valle al punto di chiusura del cerchio. In discesa, si spendono parole di conforto per gli ansimanti salitori, mentendo spudoratamente sui tempi di ascesa, contando sulla taumaturgia delle parole.
Sandro è lì che ci aspetta al bivio, punto di incontro dei due sentieri. Sosta ortopedica di un quarto d’ora e poi di nuovo sulla strada bianca, di pietra e d’erba. La via è la stessa dell’andata, ma sembra interminabile, anche a giudizio dello sherpa Sandro, che è tutto dire.
Il parcheggio sensato con la punta in giù ci evita laboriose manovre, per la densità di macchine che hanno invaso la strada nei pressi della sbarra. Nugoli di avventori bramosi di barbecue post Covid 19 affollano le postazioni con brace e carni fumanti.
Manco a dirlo, prima di google-map, giro a vuoto. E la cosa mi fa pensare che sì sognare non fa invecchiare, ma nulla può al passare inesorabile degli anni.

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