Semprevisa
ama le armi ma non le usa, nella fondina tiene le carte Visa
Trio insolito per il Semprevisa, la vetta dei Lepini. C’è anche Boh, cane solitario, con contorno occhio maculato, tipo Corsaro Nero o improbabile influencer di una ditta di pet cosmetici. Due fratelli. Luca, mio figlio putativo, con valvola nuova e con tanta voglia di vivere e di ridere. Giulio, prestante, ironico e tollerante, cervello in fuga di ritorno, alimenta il nostro futuro a Pomezia in IRBM. Bassiano è il campo base, il prosciutto la sua icona, che diventerà sostanza nel panino di giornata. Strada di montagna con pedaggio, manco fosse quella alpina del Grossglockner. La Jeep è messa a dura prova. Non la si percorre tutta, e ad uno slargo parcheggio.
Siamo intorno ai 900 metri. La cima sarà a 1537. Da qui, alla monotonia della carrareccia, in curva, prende il sopravvento il sentiero, subito ripido, con gradoni di rocce affioranti, foglie scivolose di faggi. L’ascesa è dura e il fiato tarda a rompersi. Via il wind-stop. Si sta bene senza, anche se oggi è la vigilia del solstizio d’inverno del 2021. Dopo una quarantina di minuti, anche Luca alleggerisce la propria tenuta e per farlo riprende anche fiato e con il fratello decide di fermarsi per un breve riposo. Il percorso è ben segnato e ci rivedremo più avanti. Almeno nelle intenzioni. Ma così non sarà. Sorpresa finale. Trovo due rami (e mi chiedo dove siano finite le mie bacchette, regalo del direttore di Radio Radicale) decisamente corti che fanno malvolentieri il dovere di protesi delle mie gambe. Soprattutto quando, sempre in ripida salita senza tregua, inizia il tratto inizialmente misto di fango e neve semi-sciolta e poi, più in alto, ghiacciato e scivoloso. Condizione presente sul versante esposto a nord est, mentre dalla parte che guarda il mare la terra è asciutta e più confortevole. In questa lunga traiettoria immersa nella faggeta, la pendenza non dà soluzioni di continuità e nemmeno le innumerevoli interviste ai trek-discendenti aiuta a lenire la fatica. Prima mezz’ora dalla vetta, poi 20-25 minuti, poi 10 minuti, poi ancora 15 minuti, poi 5 minuti, poi 10 minuti. Solo quando il pendio si fa più dolce e ed esco dal bosco riesco a scorgere l’anticima, mi rendo conto che le previsioni di tempo residuo erano amorevoli pillole di conforto. Dall’anticima, percorro un pezzo in cresta esposto. Non l’avrei mai osato fare prima di oggi.
Alla cresta, segue una breve discesa e poi l’ultima erta in pietraia che conduce alla vetta. Una croce variopinta con i colori della pace e la targa che ricorda Daniele Nardi, morto nell’ascesa invernale del Nanga Parbat con l’inglese Tom Ballard nel 2019. Nella lettera di addio, Nardi rivolge al figlio un appello al valore inestimabile della pace (che la pace sia una realtà e non solo un’idea). Da qui deriva il sottotitolo della montagna di oggi, canzone di Daniele Silvestri, inno contro la guerra.

Lo spettacolo che mi offrono i panorami è la sintesi della bellezza del nostro Paese. Il mare, il Circeo, l’Arcipelago Pontino, la costa di Sabaudia. Le montagne innevate dei Monti Simbruini, degli Ernici e ancora più in fondo, quasi a confondersi con la foschia, del Velino. In cima, una vasta gamma di umanità. La mamma con la figlia bambina che, seduta, preferisce scrivere il diario della giornata “anche se faticoso è stato bellissimo” allo spuntino. E poi vuole anche arricchire lo scritto con un disegno, che la madre autorizza. Poi, un trio di Carpineto, autoctono con panino e birra. E una coppia di innamorati pazzi che si scambiano baci e istantanee con posa nei pressi della croce. Occupazione di suolo, che gentilmente chiedo di dismettere per poter ritrarre la croce senza comparse. Tè verde caldo rimanda pane e prosciutto alla discesa.
E’ passata una mezz’ora abbondante e i miei eroi con cane non si vedono all’orizzonte. Dopo 45 minuti, decido di ripartire, con l’idea di anticiparmi la discesa, pasto a me notoriamente non facile da deglutire. Dirò a Luca e Giulio che la definitiva ricongiunzione avverrà più a valle quando incontreremo la radura verde. Provo a chiamare, ma Luca perde il pelo ma non il vizio. Quando ormai ho superato la cresta e l’anticima e ho già avviato la difficile discesa su ghiaccio, Luca mi avverte che hanno raggiunto la cima. Mi sembra strano, avrei dovuto intercettarli, ma chiudo pensando che abbiano seguito un tratto finale che non prevedesse la cresta esposta. Per uno strano e recente ritrovato senso dell’orientamento, non seguo chi mi precede che ad un certo puto vira a destra sul sentiero segnato, ma rivolgendo lo sguardo a sinistra, riconosco l’area pianeggiante che avrebbe preceduto la ripida ascesa mattutina, prima dei faggi. E così, un paio di rami più solidi mi offre conforto per la discesa. Raggiungo il prato, dove è piacevole confondersi con cavalli al pascolo. Provo a chiamare senza successo i fratellini per avvertirli che avrei preferito passare per Campo Rosello e non per il sentiero di andata, troppo scosceso per i miei gusti. E giro di nuovo per la direzione sinistra. Incontro tre ragazzi con mountain-bike che mi aiutano a rintracciare il viottolo, non segnato, che dopo una ventina di minuti mi riconduce alla fine della carrareccia a pagamento. Finalmente sento Luca, che mi avverte che loro sono quasi alla meta. Mi fermo per il panino, seduto su una poltrona di teatro naturale, con lecci e macchia mediterranea, che fa da sapido ingrediente al pasto di giornata. Nella prospettiva idilliaca di farmi aspettare per la prima volta da Luca, alla macchina, riprendo il cammino. La Jeep mi aspetta solitaria. Non c’è nessuno in attesa. Mi sfiora per poco l’idea di salire in macchina e scendere, magari incontrando gli Auciello (con Boh) per strada. Ma preferisco chiamare e Luca, al terzo tentativo, bontà sua, mi avverte candidamente che loro sono fermi e che allora riprendono a scendere. L’anticamera mi si addice, ormai per partitura della sceneggiatura. Il lasso di un tempo di una partita di calcio è “sufficiente” per rivedere la luce dei miei compagni. Non sono saliti sul Semprevisa, ma sul Capreo, sempre con croce ma a quota più bassa. Questa è la sorpresa. E anche la consapevolezza di avere raggiunto per la prima volta una cima in “solitaria”.


Aggiungi la tua firma e il codice fiscale 94097630274 nel riquadro SOSTEGNO DEGLI ENTI DEL TERZO SETTORE della tua dichiarazione dei redditi.
Grazie!
