Spunta il Pizzuto, il secondo dei Sabini
Nel dialetto laziale, ma forse anche in altri, pizzuto significa appuntito. Ma non è il nostro caso. La cima di oggi, la più alta dei Sabini insieme al Tancia (si portano 4 metri, 1288 e 1292), è una testa calva, preceduta da tre mammelle tondeggianti che scoprono la sommità solo al termine. Il nome, poi, quando Sandro mi ha proposto l’itinerario della domenica, mi si è incagliato sull’uva pizzutella, acini dalla forma allungata e appuntita, la cui versione nera, si credeva, rendesse gli occhi belli alle donne. Quale migliore trailer per dare ancora più senso all’uscita, confondere uva, vista e donna.

L’appuntamento è a Torrita Tiberina, non solo luogo di sepoltura di Aldo Moro, ma anche residenza della mia guida preferita. Da lì si parte con una polo W, un po’ malridotta, che solo la recente e nuova “gestione” ha sottratto ad una sicura carriera sottotono.
Mascherine d’obbligo nell’abitacolo. Le toglieremo, rispettando le distanze, all’avvio del sentiero, sul ponticello del Galantina (638 mt), torrente il cui colore dell’acqua per trasparenza produce riflessi sul verde smeraldo. Siamo in provincia di Rieti e non in Puglia, dove Galatina e Galatone evocano il latte. Burrate, passite e caciocavalli.

Il fosso del Galantina ha una esposizione che non l’apre al sole e freddo e umidità si fanno sentire. Insieme a due gruppi vocianti e già pronti, super attrezzati con muta di cani, a me notoriamente indigesti. E non è un caso che uno dei lupi cecoslovacchi, agile ed elegante, mi viene subito dietro a fiutar le terga. Ma al mio invito (decisamente perentorio), il gruppo cinofilo decide di rimandare di qualche minuto la propria ascesa.
Per una strana conseguenza della sorte e della nostra pervicace appartenenza politica, viriamo a sinistra, dopo aver attraversato un labirinto di rovi di more. Scelta, il cui percorso, nel rispetto della metafora ideologica, prevede un’erta che mette alla prova la resistenza, ideologica cristallizzata negli anni, fisica conquistata tenacemente con il recente allenamento estivo. Un’ascesa, questa, che si fa sempre più impegnativa, dove la pendenza non dà tregua e che solo dopo oltre un’ora di respiro corto si addolcisce, all’uscita dal bosco di faggi.
Sandro cerca di lenire la mia palmare fatica invitandomi a volgermi all’indietro, perché la vista che man mano si conquista abbia, per me, un’efficacia taumaturgica. Si è, però grazie al sudore versato, saliti anche di quota e i tre tondeggianti colli che precedono la cima non ci fanno perdere altitudine ed entusiasmo.
Raggiungiamo punta Ferretti (1259). Una sorta di tolos con targa alla memoria di Giorgio Ferretti, storico animatore della sezione del CAI di Poggio Mirteto. Da qui alla vetta è un gioco da ragazzi. Ma anche qui, sul Pizzuto, un’altra singolare sorpresa.

Il punto più alto non ha come tradizionale vessillo montano una croce, posta a pochi metri più in basso. La sommità, invece, è occupata da una costruzione in mattoni rossi che racchiude una teca con la Madonna della Neve.
Ai piedi della croce, nascosta fra i sassi, una custodia metallica contiene il libro delle presenze. Sandro non riesce ad aprire lo scrigno e non vuole forzare. Rinuncio al panino: barretta alle mandorle cedutami amorevolmente da Sandro e banana.
La sazietà è derubricata ad altro organo di senso. Il panorama circolare che si apre va dal Terminillo, al gruppo del Velino, al Corno Grande, al Monte Gennaro, all’Abisso del Revotano. E poi, verso il Tirreno, alla valle del Tevere, al Soratte, palestra di Sandro e luogo dal forte richiamo storico. Una serie sterminata di cime, confuse, e lasciatemi la sdolcinatura, in una atmosfera fatata. Insomma, un menù alla carta, i cui piatti sono tutti da assaggiare e degustare.

Anche per scendere, lo sherpa mi riserva un dono natalizio. Una via del ritorno non segnata. Pendenze assai accentuate che mettono alla prova la mia atavica insofferenza verso le discese impervie. Il pratone che ci aspetta, il cui colore verde smagliante si mette a fuoco molto lentamente, ripaga anche qui la tensione accumulata. Vacche Charolaise al pascolo. Il benessere animale. Si costeggia un tratto di torrente secco che ha inciso e scavato profondamente anni addietro la valle che, prima dolce e poi più sassosa e gravosa per inclinazione, conduce allo slalom di rovi, produzione arbustiva caratterizzante tutta la base del Pizzuto.

Sempre in ombra e al freddo, il ponticello sul Galantina ci riporta alla Polo. E poi alla jeep, in attesa di raggiungere la meta agognata: Bologna vs Roma, su Sky. Una cinquina sulla ruota felsinea mi rinfranca abbondantemente del Pizzuto, dove albergano indisturbati fresco, rovi e sole.


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