Tutta la pasta di Colle Bandiera
È il primo giorno dell’anno. L’inconsueto tepore, il cielo terso e la prolungata astinenza rendono appetitoso il piatto odierno di montagna. Colle Bandiera, quota 1.197 metri. Trio collaudato. Il dottore e il nostro wiki-mountain sono i miei affiatati compagni di giornata. Transito obbligato per Fara San Martino, le cui acque del fiume Verde alimentano quattro pastifici. La pasta di Fara, i mastri pastai, spin-off e tradizione di impresa famigliare.

Capo Le Macchie dà origine, intorno a seicento settanta metri, al sentiero G6, segnavia del Parco Nazionale della Majella. Un semiabbandonato campo sportivo ornato di improbabile pista di atletica e disordinati ricoveri di ovinicoltura arcaica ne puntualizzano il tragitto iniziale, su strada asfaltata.
Il tracciato del G6, ben verniciato su gradoni di roccia, si fa ben presto erto e la temperatura gradevole e l’abbigliamento incredibilmente leggero non limitano la sudorazione e il primo fiato corto. I miei sodali riescono a dialogare agevolmente, dove per me il solo accennare a parlare mi procura un iniziale dispnea, figlia del mancato recente allenamento in quota.

Concentrarsi sulle condizioni di asperità del sentiero, guardando a terra e non alzandolo sguardo, se da un lato evita l’inciampo e lo scivolamento in discesa, dall’altro porta casualmente a scambiare la via maestra per una minore, aspra e impervia. Lo sherpa per antonomasia ci libera dal ginepraio e con il superamento di un non complicato sperone di roccia ci riconduce sulla retta via. Tale by-pass ci allontana ancor di più da una attrezzata area pic nic, che scorgiamo ormai a distanza dal punto fin qui raggiunto.
Un primo punto d’acqua è sui novecento metri, al di sotto di un bottino dell’acquedotto. Lo superiamo senza soffermarci. Da qui, il procedere è su pietrisco, sempre con discreta pendenza e tutto esposto al sole. Finalmente brevi tratti in falso piano allentano la tensione. Poi gradoni di roccia annunciano un breve segmento alberato.


All’imbocco di un nuovo bivio, il piacevole incontro con una coppia, in t-shirt e pantaloncini tecnici. Vengono dal mare, senza zaino sulle spalle e in formato runner. Sulla cinquantina, in gran forma, smaglianti nel sorriso, ci augurano buon anno. Ci indicano di procedere sulla sinistra, dove troveremo una nuova fontana e un punto di affaccio, ostico ai sofferenti di vertigini. Dall’incrocio fa la sua apparizione la croce sul Colle Bandiera, apparentemente irraggiungibile. Ma è solo un errore di prospettiva ottica. In non più di una ventina di minuti, da lì, raggiungeremo la vetta.



Nei pressi del secondo punto di abbeverata, scorgersi sulla Valle del Fossato, in un orrido tenebroso e impenetrabile, ai cui piedi scorre un corso d’acqua inaccessibile, genera una lieve palpitazione e un indescrivibile appagamento dei sensi. Solo la ciurma pascolante di camosci riesce a muoversi con estrema naturalezza e disinvoltura sulle pendici del precipizio. E già da qui, si scorgono in modo palmare le alte cime che fanno da corollario, le grotte pastorali, l’asperrima Val Serviera, delimitata dalla catena del Martellese con in primo piano Cima Macirenelle. Ma è tutta la Maiella che incombe, ingloba e fagocita le nostre presenze. In questa dimensione di trance, il suono prodotto dalla parola sindaco mi ridesta. Chi mi saluta affettuosamente, mi ricorda ancora nelle vesti di primo cittadino di un piccolo comune dei dintorni. Atletico, affabile, curioso, profondo conoscitore dei luoghi, Mario arricchisce l’enciclopedia della mia vista, con toponimi, particolari, aneddoti, tempi e stimoli per andare oltre, prossimamente. L’ascesa da questa parte della montagna la riserva alla stagione invernale, per l’estate la palestra è alle Gole ombrate di Fara, con il Monastero di San Martino in Valle e il lungo H1 per il Monte Amaro, per oltre duemila e quattrocento metri di dislivello.

Pieni sorrisi e memorie attive, preludio per raggiungere, con ultimo breve slancio in salita la croce di Colle Bandiera. Ed è qui che l’angolo giro del panorama si fa tale, e alla Maiella si aggiungono il mare Adriatico, i borghi dell’alta Valle Aventino, il lago di Sant’Angelo e il parco archeologico di Monte Paliano.
Ma emerge anche in primissimo piano l’imponente distretto industriale della pasta. I silos di grano duro, totem monumentali dal forte legame antropologico. La pasta, le paste in tutti i formati e in tutte le declinazioni merceologiche possibili, autentico vessillo di Fara San Martino. Con i suoi ventuno mila euro, il borgo è ai primi posti per redito pro-capite della Regione Abruzzo.
La discesa è veloce, anche per me solitamente titubante nell’abbassarmi di quota. Il dottore, medico sportivo, si avvantaggia. Resta al mio fianco Tonino, attento a suggerirmi andatura e superamento di sporadici salti di roccia a gradoni. Ed è piacevole scambiare con lui, grazie all’andatura turistica intrapresa, idee, pareri, singolarità su determinate dinamiche di relazione famigliare. Tanto che l’ora o giù di lì che ci riporta alla macchina evapora magicamente. Il dottore è in ritardo per il rito del timballo di Capodanno, per me e per Tonino, è in programma pasta di Fara alla chitarra con il sugo di polpettine di carne.


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