ALBERTO STATERA
La Banca d’Italia, con procedura insolita, ha scritto e reso nota una lettera alla Banca centrale europea, sovrana della moneta ma di fatto anche della politica europea, giudicando “ingiustificate” e “arbitrarie” le decisioni riguardo ai più elevati requisiti di capitale richiesti alle banche. Nel frattempo emergeva che Bankitalia conosceva già da oltre un decennio lo scandalo della Popolare di Vicenza, ma non aveva mai segnalato in Procura le gravi irregolarità.
Due episodi diversi che tuttavia concorrono a definire, da un lato il ruolo sempre meno primario della Banca centrale nazionale, dall’altro il ruolo della BCE, che coinvolge a pieno titolo le relazioni tra moneta e democrazia. Tema cui ha dedicato un esaustivo saggio (“Banche centrali e questione democratica-Il caso della Banca centrale europea”, Edizioni ETS) Francesco Morosini, professore di Istituzioni di diritto pubblico all’Università Ca’ Foscari, che ci illumina dottamente su quanto la gestione della moneta sia inseparabile dalla politica, dal momento che l’economico racchiude il politico.
All’Eurotower si è attribuita una posizione d’indipendenza elevatissima, la cui ratio nasce dal fatto che, temendo una moneta senza Stato, la stabilità fosse sacrificata ai condizionamenti politici. Fino a farne il moderno principe della moneta, con il fine costituzionale di evitare una gestione del denaro pubblico che sottometta la stabilità dei prezzi all’acquisizione del consenso politico.
Ciò per scongiurare quella che Morosini chiama “inflazione da politica” (o, nel caso presente, deflazione), la bestia nera della filosofia costitutiva dell’Euro. Qui nasce l’imbarazzante problema dei “guardiani”, che riguarda il rapporto tra demos e moneta, cioè la tensione tra democrazia rappresentativa e gestione della moneta, che non può essere ridotta a pura procedura decisionale neutra. Tanto che c’è chi sostiene che oggi il “politico” più influente d’Europa non è Angela Merkel, ma il presidente della BCE Mario Draghi, che pur in posizione terza rispetto ai poteri della democrazia svolge un ruolo superpolitico nella funzione di tutore dell’ordine pubblico economico, fino a usare le “armi monetarie non convenzionali” e gli interventi antispread, ciò rende l’Eurotower parte dei conflitti intraeuropei per l’accaparramento delle risorse fiscali. Ma se l’Eurozona entrasse in una crisi politica ai limiti del collasso con il rigetto della stabilità monetaria da parte di alcuni paesi dell’Unione l’ombra del sovrano schmittiano potrebbe svanire.
L’Unione europea è una Costituzione senza Stato. Cosa che comporta che gli stati nazionali siano tentati di riappropiarsi di almeno parte della sovranità monetaria ceduta. Il guaio è che le divergenze di politica monetaria tra le banche centrali nazionali possono innescare un processo di rinazionalizzazione, a cominciare dalla Bundesbank. A danno, naturalmente, dell’indipendenza dell’Istituto di Francoforte, che se si espandessero le operazioni non convenzionali nella stabilizzazione dell’Eurozona implicherebbero una modifica dei trattati, tenendo conto del rapporto ineludibile moneta-fisco-democrazia.
Una cosa è certa, secondo il saggio di Morosini: è proprio sul controllo del potere monetario che si gioca e si giocherà gran parte del destino e finanche la sopravvivenza dell’Euroarea. E non solo della sua “banca centrale imperfetta”.
la Repubblica, Economia e Finanza, 28 settembre 2015

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