Una forma paradossalmente legalizzata per diffondere il lavoro precario o mascherare il lavoro nero? Eccola: l’abuso, legalizzato, dei voucher il cui traffico è cresciuto negli ultimi anni in misura esponenziale assumendo ora dimensioni allarmanti come hanno dimostrato la trasmissione Report e un’inchiesta de Il Sole 24 Ore.
Da qui la richiesta in Parlamento di un intervento del ministero del Lavoro per reprimere l’uso improprio di questo strumento “nato, secondo le intenzioni originarie del legislatore, per favorire l’emersione del lavoro nero e/o irregolare e che invece finisce per essere un incentivo all’irregolarità e comunque contribuisce a diffondere lo sfruttamento del lavoratore”.
Chi usufruisce dei voucher, infatti, non ha alcun diritto né minime tutele: non matura il trattamento di fine rapporto, non ha ferie retribuite, gli è negato il diritto alle indennità di malattia e di maternità oltre che agli assegni familiari, e per giunta non matura il diritto al sussidio di disoccupazione.
Ed ecco gli impressionanti dati forniti dall’Osservatorio sul lavoro occasionale accessorio dell’Inps, dati relativi appunto alla progressione delle vendite di voucher: se nel 2012 erano stati venduti 23.813.978 buoni-orario, due anni dopo (2014) il numero dei voucher era addirittura triplicato: 69.186.250.
E nel solo primo semestre di quest’anno le vendite hanno sfiorato quota cinquanta milioni, per l’esattezza 49.952.229, con la ipotizzabile prospettiva che alla fine dell’anno sia toccata quota cento milioni.
La riprova dell’abuso strumentale del sistema è stata data da un’analisi del ricorso ai voucher nel settore turistico, ed in particolare nell’Emilia-Romagna, sede del distretto più importante d’Europa con la Riviera adriatica.
Ebbene, qui la vendita dei voucher è balzata dai 211.859 del 2012 al milione (1.003.272) del solo primo semestre di quest’anno, senza cioè contare il trimestre-chiave luglio-settembre.
Ora, se si comparano questi dati con il calo delle assunzioni in Riviera pur in un’annata positiva come l’attuale (+9,6% di arrivi, +5,4 di presenze) si ha la riprova che la riduzione del personale a contratto è addebitabile proprio al ricorso al lavoro pagato con i voucher.
È il caso di ripetere che la legge è chiarissima anche se spesso ignorata dai padroni e comunque sostanzialmente priva di controlli: i buoni dovrebbero essere limitati alle prestazioni di lavoro occasionale o accessorio.
Sono tre regioni meridionali a guidare la classifica degli aumenti rispetto all’anno scorso: Puglia (+98,3%), Sicilia (+96,6) e Sardegna (94,2). Anche se la maggior parte delle vendite (ogni voucher ha un valore nominale di 10 euro, ma l’importo netto in tasca al lavoratore è pari a 7,5 euro, il resto va a Inps e Inail) resta concentrata al Nord con il 65 per cento, nel Sud e Isole è circolato quest’anno quasi un quinto del totale dei buoni, mentre sino a ieri le regioni di quest’area non raggiungevano nemmeno il 10 per cento.
In buona sostanza il voucher rappresenta ora il mezzo strumentale e sostanzialmente truffaldino per trasformare il lavoro occasionale (per questo il voucher era nato) in un lavoro del tutto simile a quello a tempo pieno, solo che viene pagato assai meno e con zero garanzie.
Non lo denunciano solo i sindacati. Se ne è reso conto anche il presidente dell’Inps Tito Boeri: “I voucher sono la nuova frontiera del precariato: il loro incremento può significare problemi futuri ed è bene guardare questo fenomeno con grande attenzione. Non sono uno strumento che si aggiunge agli altri: per alcuni i voucher sono l’unica prestazione lavorativa”.
E i così detti datori di lavoro ne approfittano: per sfruttare. Nelle campagne, nel lavoro domestico (quante collaboratrici familiari ad ore non hanno il contratto di categoria ma ricevono il buono?), nelle piccole e medie aziende (per esempio di trasporto, di recapiti, etc.) dove i controlli sono più rari o inesistenti.

Giorgio Frasca Polara

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