
Il Palazzo Pretorio, noto anche come Palazzo delle Aquile, sede di rappresentanza del Comune di Palermo
Che il comune di Palermo sia stata un nido di criminalità dimostrano tutta la storia della città, le imprese di coloro che l’hanno governata ufficialmente (Lima, Ciamcino & C.) e di quanti in realtà erano alle loro spalle, i gangster, la mafia, la grande criminalità e quella spicciola. Ma che lo sia anche ora fa decisamente impressione. Stiamo ad una interrogazione che un gruppo di deputati pentastellati ha rivolto ai ministri dell’Interno, della Pubblica amministrazione e dell’Economia. E lasciamo parlare i dati che, come si usa dire, parlano da soli. Cominciamo dai rapporti con la mafia. Bastano tre episodi a illuminarli:
– nel 2009 un dipendente del comune, Gabriele Oliveri, viene arrestato con l’accusa di favoreggiamento in favore del boss mafioso, e latitante, Andrea Adamo;
– nel 2011 vengono arrestati due dipendenti della società dei trasporti municipali Amat, insieme a 34 esponenti della maggiori famiglie mafiose della città e delle borgate: associazione a delinquere, estorsione, traffico di stupefacenti. Uno dei due dipendenti Amat è Matteo Inzerillo, vecchia conoscenza della polizia e della magistratura, già coinvolto in un traffico di droga tra Sicilia e Usa, esponente della fazione degli “scappati”, nel senso che, esiliati dopo aver perso la guerra di mafia contro i corleonesi, stavano cercando di costituire una nuova cupola nel palermitano;
– nel 2015 il consigliere comunale Giuseppe Faraone (Pdl), già assessore provinciale, è arrestato con l’accusa di tentata estorsione “aggravata dal metodo mafioso”: intermediario nella “protezione” di un cantiere edile.
Oltre alla mafia, il cancro della corruzione (in comune e nelle partecipate), tenendo presente che, come ha bene illustrato una recente relazione al Parlamento della direzione investigativa antimafia, tra mafia e corruzione c’è un “nesso congenito e fortissimo” o, per dirla con le parole del pubblico ministero antimafia Nino Di Matteo,
mafia e corruzione sono oramai facce della stessa medaglia ma, mentre i boss sono adeguatamente puniti, i corrotti che vanno a braccetto con loro sono garantiti da una sostanziale impunità [garantita] dalla politica.
E qui l’elenco fa ancora più impressione:
– nel febbraio 2014 denunciato un dipendente della partecipata RFap: ricettazione e violazione della normativa ambientale;
– nel giugno del 2014, ben undici dipendenti della partecipata municipale Coime (lavori pubblici, protezione civile, ecc.) vengono arrestati a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata a peculato, falso e accesso abusivo a sistema informatico: truffa da un miliardo alterando fraudolentemente le buste paga dei dipendenti amici;
– nel dicembre del 2014 arrestati sedici dipendenti comunali: associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, istigazione alla corruzione, truffa e falso materiale per aver truccato le cartelle esattoriali di Tarsu e Tares;
– nell’aprile del 2015 sono condannati per bancarotta fraudolenta l’ex presidente, i membri del CdA e il direttore generale della partecipata Amia-rifiuti oggi in fallimento. Avevano iscritto in un precedente bilancio false plusvalenze derivanti dalla vendita di automezzi e immobili in realtà solo affittati. E’ stata questa la causa del fallimento della municipalizzata;
– sempre nell’aprile 2015 cinque dipendenti della società partecipata Rap (risorse ambiente) sono arrestati ed altri tre obbligati alla firma quotidiana in commissariato per furti quasi quotidiani di carburante e beni aziendali;
– nel giugno del 2015 due funzionari del comune (Mario Li Castri e Giuseppe Monteleone) promossi dirigenti, benché indagati per abusivismo e poi rinviati a giudizio;
– nell’ottobre del 2015, 84 tra agenti della polizia municipale e ancora della Coime inquisiti come antesignani dei più tardi noti come “furbetti del cartellino”: timbravano i badge per conto terzi;
– nel maggio 2016 arrestato altro dipendente della Rap: detenzione di armi e di droga;
– nel febbraio di quest’anno persino un ex sindaco berlusconiano, Diego Cammarata (in carica per un decennio) è stato condannato a due anni in appello per truffa: si serviva “consciamente” di un operaio di una municipalizzata (pure lui condannato, a un anno e mezzo) che, durante il normale orario di lavoro, facevo lo skipper della barca del signor primo cittadino.
Non tutte le imprese citate nell’interrogazione sono qui riprese, ma bastano e avanzano per testimoniare delle dimensioni e della generalizzazione dei fenomeni di mafia, di corruzione, di quei collegamenti stretti tra l’uno e l’altro aspetto di una realtà così inquietante e allarmante, “a prescindere dallo stesso sindaco in carica” (Leoluca Orlando, al vertice dell’amministrazione per la quarta volta con una giunta Verdi-Federazione della sinistra-Idv), da suggerire non solo una serie di iniziative della Ragioneria generale dello Stato e dell’Ispettorato per la funzione pubblica, ma anche un intervento drastico nei confronti di quanti non hanno ostacolato l’accesso della criminalità, anche organizzata, alla macchina amministrativa del comune e delle sue partecipate.
Il punto da non sottovalutare è che, purtroppo, molte competenze sono forzatamente sottratte allo Stato dallo statuto di speciale autonomia di cui gode la regione Sicilia. Un motivo polemico in più per quanti – sempre più numerosi e sempre più autorevoli: se ne è parlato anche su ytali – sostengono che le ragioni storiche che hanno dettato certe speciali autonomie (non tutte: da tutelare naturalmente quelle che tutelano le minoranze linguistiche) sono del tutto superate; e che ci sono anche consistenti e gravi ragioni reali per dire basta per esempio alla gestione, particolarmente allegra e degradante, della autonomia regionale siciliana.

Giorgio Frasca Polara

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