
39th Air Base Wing (39 ABW)
Nella base militare Nato di Incirlik, in Turchia, da due settimane per i familiari degli aviatori della 39th Air Base Wing (39 ABW) americana è scattato l’obbligo di allontanamento, in altre parole ai civili non viene più soltanto “consigliato” di scegliersi altri posti in cui stare ma se ne devono andare subito, come avviene alla vigilia delle grandi emergenze.
Quanto è appena avvenuto fa temere il peggio: il governo turco per una settimana ha bloccato i rifornimenti elettrici alla base che ha dovuto tirare avanti con generatori interni e sospendere per alcuni giorni le incursioni aeree contro l’ISIS, giacché il governo aveva chiuso anche lo spazio aereo intorno alla base. Poche ore dopo il generale Darryl Williams, a capo del quartier generale Usa di Izmir, ha annunciato che sulla Turchia d’ora in poi voleranno gli Awacs, aerei radar che in teoria vengono schierati in chiave anti-Isis ma in pratica controlleranno tutti i movimenti aerei e di truppe a terra.
Per usare le parole dell’ex comandante supremo della NATO, James Stavridis, la nuova situazione “pone una questione molto pericolosa”: l’ufficiale ha ricordato a Foreign Policy il 18 luglio scorso che nella base di Incirlik sono stivate una cinquantina di bombe all’idrogeno con una potenza di 170 kilotoni,e adesso esporre il maggiore impianto di stoccaggio nucleare della NATO alle iniziative di un alleato non più affidabile diventa un rischio enorme. Nelle ultime settimane infatti oltre a diverse altre cose in Turchia è accaduto che un esercito finora considerato pietra angolare dello schieramento NATO fra Mediterraneo e Medio Oriente si sia sgretolato, perdendo di colpo le radicate connotazioni di affidabilità e trasformandosi in qualcosa che è ancora difficile decifrare, ma assomiglia sempre più ad una grande guardia personale del presidente e del suo islamico regime.
Fino a questo momento si ha notizia di 260 militari uccisi nel contropush di Erdoğan, 1.700 arrestati e 99 colonelli promossi al ruolo di generali e ammiragli. In particolare, gran parte degli ufficiali turchi che svolgevano servizio nelle strutture NATO sono scomparsi, e l’atmosfera si approssima sempre più a quella di uno scontro aperto con l’ex grande alleato americano.

Recep Tayyip Erdoğan riceve nel palazzo presidenziale il capo delle forze armate, generale Hulusi Akar, e i membri del consiglio supremo militare
Sono diversi gli elementi che contribuiscono a formare un quadro che per l’Alleanza militare d’Occidente si fa sempre più fosco. Intanto, sembra ormai assodato che ad avvertire Erdoğan del colpo di Stato imminente siano stati i servizi di sicurezza russi, che grazie al sistema di intercettazione Krasukha 4 avevano captato sulle frequenze NATO comunicazioni di golpisti poco avveduti. Questo, per inciso, significa che anche gli intercettori dell’Alleanza sapevano ma se ne sono lavati le mani, e la cosa a Erdoğan non è andata giù, ma oggi la domanda più scottante è:cosa chiederà Putin al presidente turco in cambio del salvataggio? Le relazioni fra Mosca ed Ankara erano tornate buone tre settimane prima del tentativo di putsh attraverso le scuse del Sultano per l’abbattimento del Sukhoi russo e qualcuno si era già spinto a tratteggiare una nuova “alleanza fra barbari”. Adesso per il 9 agosto è prevista una visita di Erdoğan a San Pietroburgo e sicuramente incontrandosi a quattr’occhi con Vladimir Putin avrà molto di cui parlare.
Nel frattempo, il ministro degli esteri Mevlüt Çavuşoğlu ha avvertito che i legami di Ankara con Washington saranno in bilico se gli Stati Uniti non estraderanno il santone Fethullah Gülen e molti giornali turchi scrivono che gli Stati Uniti sono stati direttamente coinvolti nella preparazione e finanziamento del colpo di Stato. Passo dopo passo la temperatura nelle relazioni turco-americane si è fatta torrida, il ministro turco della giustizia, Bekir Bozdağ, dichiara senza mezzi termini in televisione che “ad organizzare il tentato colpo di stato sono stati Fethullah Gülen e gli Stati Uniti, sono convinto che l’ “intelligence” americana sapeva anche troppo, come pure il dipartimento di stato e altri paesi della NATO”.
Un noto analista strategico come Gregory Copley non ha dubbi sul fatto che “ormai la Turchia ha ora ufficialmente dichiarato gli Stati Uniti (e quindi la NATO) come suoi nemici, e dunque l’Alleanza dovrebbe agire di conseguenza”. Anche il segretario di stato, John Kerry comincia a far notare che nessun paese può rimanere nell’Alleanza atlantica se devia dai principi della democrazia e dello stato di diritto. Recep Tayyip Erdoğan lo aveva fatto da tempo, ma adesso la prospettiva di avere nelle strutture militari occidentali un esercito islamizzato e interamente schierato col Sultano sembra costringere a una decisione netta: Turchia fuori dalla NATO, dunque?
La collisione di interessi in una prospettiva del genere sarebbe enorme, tanto che Kerry per il momento si limita ad annunciare un “più alto livello di vigilanza” su quanto accade in Turchia. Nelle forze armate della mezzaluna, peraltro, vi è sempre stato uno scontro sotterraneo fra “atlantisti” e sostenitori dell’Eurasia che oggi viene galla. In politica estera, Erdogan si appresta a compiere altre disinvolte virate. Dopo aver chiesto scusa alla Russia accusando i piloti che abbatterono il Sukhoi di essere agenti di Gülen, adesso il Sultano tenterà un progressivo sganciamento dalla guerra in Siria ma presto potrebbe concludere anche che i sistemi radar avanzati della NATO schierati a Kürecik, nella Turchia orientale, sotto programma dei missili balistici di difesa, non siano negli interessi della Turchia. Il Sultano ha già chiesto il motivo per cui la NATO abbia condotto esercitazioni militari nel Mar Nero, cosa mai accaduta neppure ai tempi dell’Urss. Qualcosa insomma sta cambiando nel profondo e solo fra qualche settimana si potranno misurare gli effetti dell’ennesima svolta turca. Se ne riparlerà dopo l’incontro di San Pietroburgo.

Giuseppe Zaccaria

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