Armi a Riyadh. Un voto per continuare a uccidere

Respinta con 301 voti una mozione alla camera di esponenti alla sinistra del Pd che chiedeva al governo l’immediato embargo della esportazione di armi italiane ai sauditi. Un arsenale usato nella guerra contro la popolazione civile yemenita.
GIORGIO FRASCA POLARA
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C’è purtroppo un ennesimo e assai grave seguito dello sporco traffico di armi (bombe in particolare, ma non solo) dall’Italia all’Arabia Saudita che se ne serve per alimentare la guerriglia nello Yemen provocando distruzioni e, sin qui, l’uccisione di almeno diecimila civili.

Il seguito è questo: una mozione di esponenti alla sinistra del Pd chiedeva che il governo disponesse l’immediato embargo della esportazione di armi italiane al governo feudale di Riyadh: qualcosa come 427 milioni di euro solo l’anno scorso. Ebbene, la mozione è stata respinta con 301 voti (soprattutto di Forza Italia e del Pd), 120 a favore, un astenuto.

L’Italia, insomma – che è uno dei principali fornitori di armi all’Arabia Saudita – non ha imitato la scelta autonoma che da tempo hanno fatto la Germania, la Svezia, i Paesi Bassi facendo proprie le raccomandazioni, gli insistenti inviti dell’Onu e dell’Unione europea, di Amnesty International e Oxfam, la confederazione internazionale di organizzazioni non profit che si dedicano alla riduzione della povertà globale, attraverso aiuti umanitari e progetti di sviluppo.

Già perché, oltretutto, la guerra civile in corso nello Yemen e le distruzioni che ne sono derivate hanno creato una situazione terribile: come ha appena riferito Internazionale, il più autorevole settimanale italiano che riprende il meglio dei giornali di tutto il mondo,

due terzi della popolazione ha difficoltà a procurarsi cibo e acqua potabile. Sette milioni di yemeniti, tra cui 2,3 milioni di bambini, sono sull’orlo della carestia. Un’epidemia di colera, la più grave nel mondo dal 1949, ha ucciso duemila persone e ne ha infettate più di settecentomila. Le strutture sanitarie sono fuori uso. La produzione agricola è crollata. I centri urbani e le vie di comunicazione sono distrutti. Ventotto milioni di yemeniti sono intrappolati in quello che alcuni hanno definito un assedio di tipo medievale

La motivazione? La più ipocrita che si possa immaginare: siano l’Onu o/e la Ue a disporre l’embargo generale (e non solo a raccomandarlo) e l’Italia si adeguerà. Intanto il mondo – e in particolare i paesi di cui non si vuole seguire il civile, umanitario esempio – sappia che l’Italia auspica, spera, si batte, solidarizza, ma per carità non intende bloccare unilateralmente le spedizioni sempre più frequenti e redditizie per i fabbricanti di armi e gli intermediari.

Rwm-Italia SpA che, a Domusnovas (Sardegna)

Anzi, c’è persino chi da destra osa agitare lo spettro-ricatto della crisi di una fiorentissima industria e della conseguente disoccupazione di manodopera specializzata.
Ancora su due questioni – connesse al resto di cui abbiamo detto – è qui necessario accennare. Una riguarda la nostra (proprio di ytali, oltre che di Famiglia Cristiana) oramai lunga campagna contro il traffico semiclandestino soprattutto di micidiali bombe fabbricate in Sardegna e che, una volta sbarcate a Riyadh, servono all’aviazione militare saudita per bombardare lo Yemen. L’altra riguarda la natura della guerra nello Yemen – lo scontro tra due feudalità – che si trascina da novecento giorni e il cui bilancio umanitario, come s’è visto, è catastrofico.

La prima questione è di netta rilevanza politica. Gli è che, se la Germania si è tirata fuori dai traffici d’armi con l’Arabia Saudita, a capitale totalmente tedesco è però la Rwm-Italia SpA che, a Domusnovas (Sardegna) riempie di esplosivo l’involucro delle micidiali bombe MK82 fabbricato a Vicenza dalla Imz SpA.

In buona sostanza, la Germania delega all’Italia il lavoro sporco della confezione degli ordigni che poi, dai porti sardi, vengono imbarcati in navi-container che trasportano i carichi in Arabia. L’esportazione delle MK80 – ha ammesso la ministra della difesa Roberta Pinotti esattamente un anno fa alla Camera – è consentita da “una licenza rilasciata in base alla normativa vigente” ma contro le disposizioni della legge 185 che vieta di destinare armi in “aree sensibili”. E comunque, sostiene Pinotti, le bombe sarebbero “inerti” cioè prive di esplosivo. Ammesso e non concesso che sia così, nulla impedisce che siano caricare di materiale inerte ma ugualmente distruttivo: ferro, cemento, altro ancora.

Tanta disinvolta spiegazione mal si concilia comunque con la semi-segretezza dei trasporti: ogni volta che c’è da spedire un carico di bombe, gli scali portuali di partenza (al nord ma soprattutto dal sud della Sardegna) è presidiato da pattuglie di carabinieri e polizia e soprattutto da squadre di vigili del fuoco – altro dunque che bombe “inerti” – in un’atmosfera così blindata che, alla spedizione dell’ultimo carico, un mese fa, la Digos ha cercato inutilmente di bloccare un parlamentare che intendeva documentare, come ha fatto perché forte della sua carica istituzionale, lo scarico dai camion e il carico su un mercantile anonimo di un gran numero di casse piene di ordigni.

Di più: l’Italia non si limita a fornire le bombe, ma anche parti degli aerei con cui sganciarle sullo Yemen: si tratta dei potenti cacciabombardieri Eurofighters, prodotti da un consorzio internazionale italo-anglo-spagnolo. Finmeccanica ne produce infatti parti essenziali a Torino e a Foggia che poi vengono assemblate a Whorton. Solo nell’ultimo anno, di questi caccia, sono transitati per la zona militare dello scalo aereo di Bologna almeno sei coppie destinate a Riyadh.

Come si vede, malgrado il riserbo delle operazioni, si sa tutto o quasi di queste operazioni: portuali indignati, addetti agli scali che rompono la consegna del silenzio, sindacati. Certo, non sarebbe un eventuale embargo italiano a far finire d’incanto la guerra civile nello Yemen (altri paesi sono pronti a raccogliere le commesse affidate all’Italia), ma volete mettere il segnale politico e l’indicazione di rotta umanitaria che darebbe il nostro Paese?

E infine un cenno anche alle origini del conflitto che squassa lo Yemen. Tutto è cominciato nella primavera del 2015, quando le truppe fedeli all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, alleate dei ribelli houti, hanno attaccato l’aeroporto di Aden presidiato dai soldati di Abd Rabbo Mansur Hadi, il presidente yemenita riconosciuto dalla comunità internazionale.

Il conflitto è precipitato in seguito proprio all’intervento dell’Arabia Saudita che, insieme ad una coalizione di cui fanno parte Egitto, Giordania, Sudan e Pakistan ha deciso di sostenere militarmente Hadi. È stato l’inizio della tragedia che tuttora si consuma nello Yemen.
Tragedia? Non tocca più di tanto il governo italiano, o almeno la ministra Pinotti e il collega degli esteri Angelino Alfano. Lei è andata a Riyadh a far visita al suo collega arabo, lui ha ricevuto alla Farnesina il suo omologo. Sorrisi, soddisfazione reciproca, ampio risalto agli incontri. Dunque rapporti più che amichevoli, e che di certo fruttano. Affari, ma anche tragedie.

Armi a Riyadh. Un voto per continuare a uccidere ultima modifica: 2017-10-04T17:44:40+02:00 da GIORGIO FRASCA POLARA
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