Il “problema Airbnb” nella Venezia rinascimentale

C’era il doppio della popolazione di oggi, erano numerosi i visitatori. Tanti veneziani, in quel periodo, considerarono la possibilità di far soldi in più affittando stanze o letti delle loro case. Ecco come i governanti d’allora affrontarono il fenomeno.
ROSA SALZBERG
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pubblicato il 20 marzo 2019

Le città, in tutto il mondo, fanno sempre più fatica a contemperare gli interessi dei visitatori con le esigenze dei residenti, dacché le piattaforme di affitto di case per vacanze come Airbnb sono cresciute in popolarità e dimensione. I dati stanno lì a dimostrare che la conversione di case private destinate all’affitto in alloggi turistici a breve termine contribuisce alla carenza di alloggi, fa salire i prezzi delle case, accelera la gentrificazione e mina le comunità locali.

Città come Amsterdam, Berlino, Barcellona e Londra hanno agito per frenare questi effetti negativi, imponendo nuove tasse o limitando il numero di notti in cui un appartamento può essere dato in affitto turistico. Oggi, Venezia è una delle città più colpite: la popolazione residente è scesa ai livelli più bassi da secoli e il Comune è alla ricerca di modi per mitigare gli effetti negativi del turismo di massa.

Eppure la città ha anche una lunga storia di gestione dei pro e dei contro della migrazione e del turismo, e nell’escogitare modi per trarre profitto – ma anche integrare – gli stranieri. Nella Venezia rinascimentale, un enorme afflusso di stranieri alimentò l’ascesa di un ampio settore di ospitalità informale, che era difficile tassare e regolare e che aveva un impatto importante sulla comunità urbana. Vi dice qualcosa?

Il boom della città nel Rinascimento

Nel XVI secolo, Venezia era la capitale del suo enorme impero e un importante crocevia di scambi e viaggi tra l’Europa continentale e il Mediterraneo. Nello stesso momento in cui pittori come Tiziano e Giorgione facevano della città un centro della cultura rinascimentale, la popolazione aumentava, passando da circa centomila abitanti a quasi 170.000 in appena cinquant’anni.

A differenza di oggi, le persone attratte da Venezia erano per lo più mercanti e imprenditori internazionali, migranti in cerca di lavoro nelle industrie locali o profughi in fuga da guerre e dalla fame. Ma arrivavano anche i primi turisti in quel  periodo, come lo scrittore e nobile francese Montaigne, che venne a esplorare i tesori culturali della città. E tutte queste persone avevano bisogno di un posto dove stare.

Una mia ricerca mostra come centinaia di veneziani vedessero, in quel periodo, la possibilità di far soldi in più affittando stanze o letti delle loro case. Molte erano donne che s’industriavano per guadagnarsi da vivere in altri modi: persone come Paolina Briani, che negli anni Ottanta del Cinquecento affittava stanze a mercanti musulmani dall’impero ottomano, nella sua casa a pochi minuti da piazza San Marco.

Aprendo le loro case a migranti e viaggiatori, questi fornitori di alloggi – a differenza dei proprietari di Airbnb d’oggi che non sono negli alloggi che affittano – condividevano spazi intimi con persone che parlavano lingue diverse e praticavano religioni diverse.

Regolare un’economia informale 

La rapida crescita di questa economia informale allarmava il governo veneziano. Temendo la diffusione di malattie, così come la diffusione di idee politiche e religiose minacciose, il governo era ansioso di regolamentare e monitorare la presenza di stranieri in città. Voleva peraltro ridurre al minimo la concorrenza con le locande autorizzate della città – una fonte redditizia di entrate fiscali.

Così, un po’ come oggi, i governanti si diedero da fare per registrare e tassare i padroni degli alloggi e per costringerli a dar conto dei movimenti dei loro inquilini. Sebbene un regolamento siffatto fosse molto difficile da applicare a causa della natura informale del fenomeno, i governanti di Venezia non fecero in modo di eliminare del tutto questo settore.

Pur volendo controllare il movimento delle persone, vedevano che migranti e visitatori erano fondamentali per l’economia della città e per il suo potere culturale. Era benvenuto chiunque portasse beni preziosi, idee innovative o forza lavoro essenziale.

Al tempo stesso, il governo teneva conto del fatto che i veneziani – in particolare gli strati sociali vulnerabili e poveri come le vedove – hanno anche beneficiato dell’afflusso. E i soldi che i residenti guadagnavano qualcosa, offrendo alloggio, essenziale per la loro sopravvivenza.

Un equilibrio delicato

A dire il vero, le autorità veneziane non accoglievano chiunque. Erano determinati nell’impedire agli “indesiderati” (come mendicanti e prostitute) di entrare in città. Inoltre, esercitavano sempre più pressione sulle minoranze religiose perché vivessero in spazi separati – il più famoso è il ghetto ebraico.

Ma vedevano anche vantaggi nella promozione di un’industria dell’ospitalità variegata e flessibile che avrebbe potuto servire gli interessi della gente del posto come quelli dei visitatori. Alle case d’alloggio autorizzate fu così consentito di prosperare. E, insieme alle locande, diventarono parte centrale delle infrastrutture turistiche emergenti della città.

Molti dei nuovi arrivati che avevano trovato alloggio nelle case dei residenti – dove avrebbero anche potuto imparare qualcosa della lingua e dei costumi locali – presero a stabilirsi e a integrarsi nella comunità. Regolamentando il settore dell’ospitalità, la Venezia del Rinascimento conseguiva un delicato equilibrio tra gli interessi degli stranieri e quelli dei locali, che fu fondamentale per la forza economica, culturale e politica della città.

Oggi un compromesso del genere sembra molto difficile da raggiungere.

Ci sono differenze tra allora e ora: nei motivi per cui le persone arrivano in città; nella natura di bisogni urbani in competizione tra loro; e nelle soluzioni e nelle politiche praticabili. Ma sembra che le città possano prendere esempio dalla Venezia rinascimentale e agire per promuovere interazioni significative tra visitatori e residenti; per esempio, come ha fatto Berlino, vietando di affittare interi appartamenti su Airbnb.

La Venezia di cinquecento anni fa sfida a pensare al “problema Airbnb” in modo più sfumato.

L’articolo è apparso in inglese su The Conversation

Il “problema Airbnb” nella Venezia rinascimentale ultima modifica: 2019-08-12T09:00:14+02:00 da ROSA SALZBERG

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