Il mare non ha leggi, per questo c’è la legge del mare, estremo tentativo degli uomini di controllare le circostanze di pericolo in cui potrebbero trovarsi e, insieme, riconoscimento della propria inferiorità di fronte a un elemento naturale così potente.
Esordisce così Annalisa Camilli, giornalista di Internazionale, da alcuni anni impegnata a seguire le rotte delle migrazioni verso l’Europa, nel suo nuovo libro La legge del mare. Cronache dei soccorsi nel Mediterraneo (Rizzoli) che sarà presentato domenica 5 maggio, a Palazzo Merulana, a Roma.
Sono voluta partire da alcuni casi, secondo me emblematici, che ho testimoniato perché ero presente. Fatti che ho visto con i miei occhi perché ero lì. Il primo caso di cui parlo è quello di Josefa, donna camerunense salvata dalla nave Open Arms nel luglio 2018, e dalla strumentalizzazione mediatica delle sue unghie smaltate di rosso,
ci dice Annalisa Camilli.

L’autrice racconta l’origine della propaganda ostile nei confronti delle ong che contamina l’informazione in Rete e il dibattito pubblico italiano. Lo fa portandoci a bordo delle navi dei soccorritori, spiegandoci chi sono davvero, come operano e in che modo finanziano le loro attività.
Un viaggio necessario per capire che la legge del mare ha un unico obiettivo: salvare la vita di chi rischia di sparire tra le onde.
Un altro caso è quello della nave Diciotti della guardia costiera italiana, a fine agosto 2018, che secondo me, prima o poi, entrerà nei libri di storia. Ho seguito da vicino tutta la vicenda e penso che ordinare la chiusura dei porti via Twitter la dice lunga su come siano stati bypassati tutti i passaggi che normalmente si fanno. Siamo oltre. Il corpus delle leggi, che è il cuore di una democrazia e della cultura europea di cui tanto parliamo, è stato infranto perché è stata messa in atto la privazione della libertà personale. Il reato ipotizzato è il sequestro di persona.

In questo libro, frutto di anni di reportage e ricerche, Annalisa Camilli racconta i viaggi e le storie delle persone. Facendolo spiega quanto c’è di vero e molto più spesso non vero nelle accuse, mosse dalla politica e da un certo modo di fare giornalismo, ai volontari che s’occupano di soccorso e accoglienza, senza risparmiare un giudizio deciso sulle iniziative messe in campo dal governo con il nuovo decreto Sicurezza.
Molti mass media hanno portato avanti una campagna di criminalizzazione contro le Ong impegnate nel Mediterraneo per soccorrere i migranti. Inizialmente erano considerate il simbolo della società civile europea pronta all’accoglienza, quella della solidarietà e degli striscioni “Refugees Welcome”. Poi qualcosa è cambiato, il discorso pubblico è stato deviato. Non è un caso che molti esponenti del governo hanno iniziato a utilizzare l’espressione “taxi del mare” per screditare l’operato delle navi che prestavano soccorso ai migranti.
Commenta Annalisa:
C’è un preciso progetto culturale egemonico della destra soprattutto, ma non solo, attraverso i social network che non sono sufficientemente monitorati e contrastati. Sono un pericoloso veicolo di messaggi e fake news senza contraddittorio. Il linguaggio e le notizie false hanno contribuito a costruire una narrazione sbagliata a cominciare dal fatto che i migranti vengono descritti come una massa indistinta, come numeri e non come persone.
Hanno fatto leva sulla comunicazione della paura parlando dei migranti come pericolosi per la sicurezza. Chi ha compiuto gli attentati, fino ad oggi, sono quelli nati e cresciuti in Europa non i migranti, solo per fare un esempio. La sinistra non ha mai affrontato il tema in modo serio e il Terzo Settore è stato lasciato, nei fatti, al mondo cattolico dell’assistenza e del volontariato. E non ho nulla in contrario, sia chiaro. Però è molto grave e preoccupante che la sinistra non sia protagonista di queste battaglie e non abbia, ad esempio, portato a termine lo ius soli. Avevano iniziato bene ma poi non hanno avuto abbastanza coraggio.

Leggendo il libro, che è di estremo interesse perché chiarisce molti passaggi di fatti di cronaca e, al contempo, aiuta a capire di più il fenomeno della migrazione con lo sguardo di chi ha visto ciò di cui scrive, emerge un fil rouge, una critica a come è trattato il tema dai mass media e dalla politica. Colpisce che sia ricorrente il termine durissimo ma emblematico “deumanizzazione”.
Spesso le dichiarazioni dei parlamentari e dei leader di partito sono state riprese dai giornali acriticamente e senza verifica. La questione migratoria è molto complessa e va studiata approfonditamente, gli esperti non sono mai chiamati a parlarne nei dibattiti televisivi dove ci sono sempre e solo politici o giornalisti. E secondo me è una grave lacuna. Contrastare la deumanizzazione, di cui parlo nel libro, significa anche riflettere sul ruolo di noi giornalisti, combattere il razzismo fuori di noi ma anche quello dentro di noi e cioè l’idea che nel nostro sistema politico, legislativo e sociale esistano esseri umani di serie A ed esseri umani di serie B. Inoltre penso – conclude l’autrice – che, in generale, ci sia un problema che riguarda il linguaggio. Si parla sempre dei migranti come dei poveracci, delle vittime e mai come delle persone. Persone che hanno delle storie e che spesso conoscono le leggi e i loro diritti meglio di noi. Penso sia fondamentale che si torni a riflettere su un punto centrale: colpendo i migranti, gli stranieri, e quelli che li aiutano, sono stati erosi anche i diritti e lo spazio di libertà di tutti i cittadini.


Le fotografie sono di Annalisa Camilli
Questo stesso testo è stato pubblicato per la prima volta il 3 maggio 2019

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