Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autrice, un’anticipazione del suo intervento al dibattito online di Latinoamericana, che sarà possibile seguire in streaming, il prossimo 15 settembre, alle ore 20.30 (dettagli a fondo pagina).

Domenica 4 settembre il 62 per cento dei cileni ha votato per il rechazo (“rifiuto”), nonostante l’apruebo (“approvazione”) potesse contare sull’appoggio della coalizione di governo di Gabriel Boric, aprendo così uno scenario forse prevedibile ma sicuramente complesso.
Innescato nel 2019 da un massiccio movimento di protesta contro il “modello cileno” neoliberista, all’origine di un divario sociale divenuto insopportabile, il processo di riforma costituzionale era stato inizialmente elogiato per la sua natura esemplare. La bocciatura di questa proposta non significa però che il modello attuale piaccia a tutti: anche tra i settori che si sono opposti alla nuova costituzione è diffusa l’idea che quella del 1980 non sia adatta al Cile di oggi e debba essere cambiata.

Dietro questi risultati elettorali ci sono sicuramente alcuni punti critici, che sono stati sottolineati dal dibattito pubblico nei mesi precedenti alla votazione. Nonostante la critica internazionale abbia accolto con favore la bozza costituzionale, ritenendola una delle carte più progressiste al livello mondiale, con grandi innovazioni soprattutto sulla parità e sulla questione ambientale, all’interno dei confini nazionali ci sono state delle incertezze. In primis uno dei fattori che ha spostato l’opinione pubblica verso la bocciatura è la definizione del Cile come stato plurinazionale. Questa nozione era stata inserita nella bozza costituzionale per riconoscere l’autonomia istituzionale e giuridica a undici delle popolazioni indigene presenti sul territorio cileno, anche nel tentativo di risolvere lo storico conflitto tra lo Stato e le nazioni originarie o quantomeno aprire una via di risoluzione. E se i rappresentanti indigeni si sono detti soddisfatti della misura, non è stato altrettanto per il resto della popolazione civile: infatti il popolo del Cile ha avuto timore che tale definizione finisse per creare dei “cileni di serie A” e dei “cileni di serie B”, poiché dei riconoscimenti così radicali ai popoli indigeni gli avrebbero garantito teoricamente più diritti del resto dei cittadini. Ad esempio, nella bozza costituzionale si prevedeva il riconoscimento dei processi giudiziari propri e autonomi per i popoli indigeni, letto dai cittadini cileni come la rottura del principio di uguaglianza davanti la legge.
Questo rifiuto risulta chiaro se si guarda la distribuzione dei voti: infatti, nonostante il rechazo abbia vinto in tutte le sedici regioni del Paese, le cinque regioni in cui la proposta costituzionale è stata respinta con maggior forza si trovano nel Sud, dove da anni infuria il violento conflitto con l’industria del legname di cui sono protagonisti gli attivisti per i diritti dei popoli indigeni.

La vittoria del rechazo è un sintomo più che la fine di un percorso; sintomo che palesa un rifiuto di progresso che però è ormai inevitabile in questo contesto storico. La bozza costituzionale parla di maggiori diritti sociali: parità, diritto delle donne al controllo del proprio corpo, vero riconoscimento delle popolazioni indigene, dell’acqua come bene comune e non più come prodotto lasciato nelle mani del mercato.
Un altro errore compiuto in questo processo si può ritrovare nella composizione dell’Assemblea costituente: essendo stata eletta ad hoc in un determinato momento storico per il Paese, i gruppi indipendenti e i rappresentanti delle minoranze hanno avuto la meglio, arrivando a dare in mano la quasi totale Assemblea alla sinistra più radicalizzata. Questo ha fatto sì che il processo di stesura della bozza costituzionale prendesse anche delle vie ideologiche, punto su cui la campagna per il rechazo ha fatto grande forza. In un eventuale scenario futuro sarà necessario per il governo includere in questo percorso i partiti tradizionali, l’establishment politica moderata e di destra che possa rappresentare una grande parte di cittadini che forse nella scorsa Assemblea è stata lasciata fuori.
Inoltre, la disinformazione che si è largamente diffusa sui social network ha contribuito a sollevare dei dubbi in gran parte dell’elettorato. Per esempio, il fatto che la nuova Costituzione non avrebbe protetto il diritto alla proprietà della casa è circolata in modo così capillare che i partiti ufficiali hanno dovuto rilasciare delle dichiarazioni scritte dove si sosteneva che il diritto sarebbe stato protetto in ogni caso.

Questa bocciatura pone il governo di Boric, che aveva puntato tanto sul processo costituente, in una situazione molto scomoda dove si trova obbligato a negoziare con una destra e con una sinistra più centrista che sono uscite da questa tornata elettorale molto rafforzate. E anche a causa dei numeri con cui il rechazo si è imposto nel Paese, il governo ora ha perso potere negoziale: se i punti percentuali tra le due opzioni fossero stati minori, Boric e la sinistra avrebbero avuto la possibilità di dettare delle regole. Nei termini attuali però, con i voti registrati, non sarà possibile un’azione del genere ma saranno destra e centro-sinistra a guidare il prossimo processo costituzionale. Adesso si deve ricominciare, il vecchio processo è terminato qui e se ne inizia uno nuovo, con la stesura di una carta costituzionale che certamente dovrà fare tesoro dei risultati di questo referendum e riuscire a parlare a tutto il popolo, portando avanti degli ideali progressisti senza però operare un cambio radicale verso sinistra che, come si è visto, spaventa gli elettori.
La bocciatura della proposta costituzionale è una battuta d’arresto importante per il governo di Gabriel Boric, che dovrà adesso gestire in modo cauto la nuova fase che vive il Paese. Ma i risultati del 4 settembre sono un segnale importante per tutta la sinistra latinoamericana: come sapientemente scritto in un editoriale di Le Monde, i temi che più hanno suscitato dibattito nel Cile al voto sono temi che attraversano buona parte del Sudamerica, e il fallimento del referendum del 4 settembre va oltre i confini del Cile. Alla vigilia di un’elezione presidenziale ancora incerta in Brasile, questo rifiuto costituisce la prima grande battuta d’arresto per una sinistra sub-continentale che fino ad oggi non aveva cessato di accumulare successi elettorali.
Il nuovo processo di stesura della Costituzione sarà un’occasione importantissima per il Cile e per il governo di Boric, che dovrà essere in grado di trovare un compromesso con tutti i settori politici e riacquisire le percentuali di consenso che negli ultimi mesi sono scese vertiginosamente.

Primolunedidelmese – Latinoamericana
CILE: perché e a chi non è piaciuta la proposta di nuova costituzione, e come si mette ora per il governo Boric / Ludovica Costantini e Claudia Fanti
COLOMBIA: tanti nodi da sciogliere; priorità, metodo di governo e primi importanti passi del neo presidente Petro / Claudio Madricardo
Moderatore: Marco Cantarelli


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