L’umiliazione di Hu

BENIAMINO NATALE
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Non importa se Hu Jintao abbia avuto un malore, se sia risultato positivo al Covid o se sia stato rimosso solo per umiliarlo pubblicamente. In ogni caso, il penoso spettacolo del suo allontanamento dalla Grande Sala del Popolo, dove si sta svolgendo il ventesimo congresso del Partito comunista cinese segna – per chi non se ne fosse accorto prima, e sono in tanti – la fine di un’epoca. Numero uno nell’unica direzione collegiale della storia del Pcc, Hu Jintao è stato al vertice – ricoprendo le tre cariche di segretario del Pcc, presidente della Repubblica Popolare e capo delle Forze armate – dal 2003 al 2013, quando gli è succeduto Xi Jinping, l’architetto della sua umiliazione pubblica. I giornalisti e le loro telecamere erano da poco stati ammessi nella Sala quando un commesso gli si è avvicinato, lo ha convinto ad alzarsi e lo ha accompagnato fuori mentre Xi, seduto accanto a lui, lo guardava impassibile. Una scena pazzesca, che dice più sul Congresso e sul futuro della Cina delle analisi diffuse in questi giorni da legioni di osservatori.

Molti commentatori, molti politici di altri paesi, molti imprenditori che hanno investito pesantemente in Cina e nei rapporti col Pcc – valga per tutti l’esempio di Elon Musk, invischiato in Cina fino al collo e che ora non sa che pesci pigliare – hanno cercato di far finta di niente, di non vedere che Xi Jinping, assumendo tutto il potere nelle sue mani, promuovendo ai massimi livelli del partito i suoi fedelissimi, rilanciando l’ideologia comunista e maoista e sua preminenza su tutto – lasciamo perdere i diritti dei cittadini, trattati alla stregua di criminali nei ferrei lockdown anti-Covid imposti in tutto il Paese da eserciti di fantasmi in tuta bianca, ma anche sul precedentemente sacro tasso di crescita dell’economia – ha inaugurato una nuova era. Nuova, fino a un certo punto, dato che si mettono da parte tutte le illusioni sull’esistenza di una legge o almeno di una consuetudine, uguale per tutti e alla quale anche i dirigenti comunisti si devono piegare – come hanno fatto in diversi modi e in diversa misura i suoi predecessori Deng Xiaoping, Jiang Zemin e lo stesso Hu Jintao – e si torna ai tempi di Mao Zedong, quando tutto e tutti sono sottoposti ai capricci di un autocrate.

Se guardiamo tutti gli indicatori di successo di una dirigenza – tasso di crescita, statura internazionale del paese, consenso della popolazione – Hu Jintao non è certo andato male. Anzi, sicuramente ha fatto meglio di Xi, sotto la cui direzione l’economia è crollata da tassi di crescita superiori al dieci per cento annuo a meno della metà e il prestigio della Cina è crollato dopo aver raggiunto livelli senza precedenti nel periodo di Hu Jintao (e del suo primo ministro Wen Jiabao). Hu era partito bene dopo aver – nei primi mesi del 2003 – accettato di affrontare apertamente e con la collaborazione dei dirigenti di altri paesi e delle istituzioni internazionali l’epidemia di Sars. È riuscito a mantenere in funzione la dirigenza collettiva – voluta da Deng Xiaoping proprio per evitare il concentramento del potere nelle mani di una sola persona – e aveva cominciato a ripiegare verso le più sicure sponde del potere assoluto del partito solo dopo il fatidico 2008, anno di una sanguinosa rivolta in Tibet e della crisi finanziaria che ha fatto sorgere nel Pcc l’illusione che fosse arrivato il momento di affossare gli Usa e di proporre la Cina come nuovo modello e nuovo leader mondiale.

Solo su un punto Xi Jinping si è dimostrato più efficiente del suo predecessore: il rafforzamento del suo potere personale, obiettivo che ha perseguito con tenacia fin dall’inizio del suo mandato – quando ricattò tutto il resto del partito “sparendo” per due settimane e riapparendo solo quando le sue condizioni erano state accettate.
L’espulsione di Hu Jintao dalla Grande Sala del Popolo è il compimento di questo processo. Ora Xi Jinping siede incontrastato al timone di una Cina in declino economico, aggressiva verso i vicini a partire da Taiwan ma non dimenticando l’India e il Mar della Cina Meridionale e in generale piena di rancore verso il resto del mondo, come hanno dimostrato i tristi “wolf warriors” di una diplomazia svuotata della sua funzione naturale. Un recente esempio è quello di Zheng Xi, il console cinese a Manchester che ha sostenuto di aver fatto il “suo dovere” trascinando dentro il cortile del Consolato e pestando un pacifico manifestante pro-Hong Kong. Si prospettano tempi duri e i governi occidentali farebbero bene a prendere subito le misure del minaccioso gigante guidato da Xi Jinping.

L’umiliazione di Hu ultima modifica: 2022-10-22T18:19:12+02:00 da BENIAMINO NATALE
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