L’Argentina, per qualche settimana, può tornare a respirare. È rimasta a lungo con il fiato sospeso correndo il rischio veramente letale di essere consegnata domenica 22 ottobre nelle mani di un cosiddetto “anarco liberista” che si è distinto per le sue proposte folli e per averle promosse in campagna elettorale in compagnia di una non metaforica motosega. Dopo essere arrivato primo alle primarie di agosto (las PASO) Javier Milei è stato provvisoriamente fermato nella sua ascesa alla presidenza dall’inaspettato quanto salvifico exploit elettorale di Sergio Massa, candidato del fronte peronista e attuale ministro dell’Economia, che, dal terzo deludente posto delle primarie, ha sorpassato la candidata Bullrich dei conservatori e lo stesso Milei, conquistando il primo posto con quasi il 37 per cento dei consensi e lasciando agli altri due il 30 e il quasi 24 per cento.
Il 19 novembre si dovrà votare per il definitivo ballottaggio e la partita è tutt’altro che chiusa. Per cercare di capire cosa ribolle nella società argentina tanto da far emergere una rappresentanza politica così sconcertante come la lista capeggiata da un economista ultraliberista come Milei, da tutti definito a ragione “el loco“, bisogna partire dalle difficili condizioni sociali in cui versa il paese.

È aumentata la disoccupazione, si è ridotto in maniera drammatica il potere di acquisto delle retribuzioni grazie a un’inflazione che gira attorno al 140 per cento e alla distanza ingigantitasi a dismisura tra il peso e il dollaro. La pandemia prima, la disastrosa congiuntura mondiale, un debito di oltre quaranta miliardi con il Fondo monetario internazionale contratto dall’ex presidente della destra Mauricio Macri, la grave siccità e gli indiscussi errori dell’attuale governo peronista di Fernandez hanno costruito le premesse per un vero e proprio disastro sociale.
Come da manuale, in un contesto di questo tipo, è la stessa democrazia a essere messa in discussione. Esasperazione e disperazione sociale alimentano una spirale distruttiva. Se il presente è insostenibile e non c’è alcuna prospettiva di cambiare la propria reale e concreta condizione di vita allora si dilata la spinta al “tanto peggio, tanto meglio”. Il “tanto peggio” sono le ricette di Milei.
Liberista su tutto. Vuole abolire i sussidi sociali, cancellare i fondi alla scuola e alla sanità pubbliche, abolire una caterva di ministeri, la Banca Centrale, parificare il peso al dollaro, liberalizzare la vendita degli organi per i trapianti e la vendita delle armi. Il rumore del motore della motosega raffigura l’inquietante desiderio catartico degli argentini contro la corruzione e contro la cosiddetta “casta”. Siamo oltre Trump e oltre Bolsonaro. Ma Bannon (noto consulente di Trump e un tempo anche della Meloni), il figlio di Bolsonaro (tra gli animatori all’assalto del parlamento brasiliano) e l’ispano-argentino Javier Ortega Smith-Molina, vicesegretario nazionale di Vox, partito neofascista spagnolo, sono i riferimenti politici privilegiati del leader di La Libertad Avanza.

Un terzo dell’elettorato argentino l’ha votato. I “ricchi” hanno continuato a votare la destra della Bullrich. Ma è in forte calo. Nella Caba, dove si trovano i quartieri “in” di Buenos Aires, è ancora la forza più votata. Una vera e propria sfida egemonica si sta disputando tra i peronisti e il partito di Milei per la conquista del consenso dei ceti popolari.
Nella popolosa e importante provincia di Buenos Aires vince Kicillof, peronista di sinistra, ex ministro dell’economia. È un risultato straordinario. Nel distretto della Matanza, la parte più popolare della provincia, supera il 50 per cento. Massa si giova di una spinta elettorale che proviene dal più keinesiano dei ministri del passato governo di Cristina Kirchner. Ma l’attuale ministro dell’economia è molto distante dal kirchnerismo. Proviene da una formazione liberale. Non ha sempre militato nel fronte peronista ed è molto più moderato. Su di lui si aggrappano le speranze delle realtà democratiche argentine per il 19 novembre prossimo.

Il leader conservatore Macri potrebbe essere tentato da Milei per un’antica e insanabile avversione verso i peronisti, ma il partito radicale che, forse ancora per poco, è dentro l’alleanza, potrebbe seguire un orientamento opposto. Nulla è scontato. Massa ha preparato questa competizione con un taglio delle tasse alle fasce popolari e oggi propone un governo di unità in cui far confluire, a suo dire, i “migliori” del paese. Milei continua per la sua strada e corteggia i conservatori che fino a ieri insultava. Il suo vecchio insegnante di economia, il franco americano Guy Sorman, che per un periodo ha insegnato a Buenos Aires, ha recentemente affermato che il suo allievo prima di essere un liberista è soprattutto un pazzo. Ma dietro la pazzia di Milei che raccoglie consensi repentini e trasversali di una parte consistente di popolazione comincia a emergere una trama ben delineata dal giornale spagnolo El País.
Se a Milei è affidata la pars destruens, soprattutto sul terreno economico, a Victoria Villarruel, quarantotenne parlamentare dal 2021, avvocata e candidata in pectore alla vicepresidenza e al ministero dell’Interno, in caso di vittoria, spetta la pars construens, l’impianto culturale di questo tornado reazionario che si è abbattuto nel paese latinoamericano. Figlia e nipote di militari, uno dei quali processato per i reati commessi dalla dittatura argentina e “salvato” da problematiche condizioni di salute, la Villarruel affronta con aria più compassata del suo esuberante leader di partito, ma con cinica determinazione, i temi che più identificano il modello di società a cui aspira: l’abolizione della legge sull’aborto in nome dell’intangibilità della vita, quella sulle unioni gay, la rivendicazione della cultura “machista” che annulla la parità di genere e, soprattutto, una radicale rivisitazione degli anni della dittatura.

Ed è proprio su questo tema che applica in maniera forsennata la sua campagna. Prima della morte del dittatore Videla lo aveva più volte incontrato in carcere (“per ragioni di studio”). E oggi argomenta il rovesciamento delle vittime in carnefici polemizzando con tutte le associazioni che lottano per i diritti umani. Quegli anni per lei, in sintonia con i generali incriminati, sono segnati dalla lotta ai “terroristi”. Polemizza in maniera disumana persino contro la novantaduenne Estela Carlotto, presidenta delle Abuelas de Plaza de Mayo: “dietro la faccia di una nonnina buona c’è una signora che giustifica il terrorismo”. La figlia di Estela Carlotto, aderente alla gioventù universitaria peronista, sequestrata dai militari nel 1977, incarcerata e torturata mentre era incinta di tre mesi, fu fatta partorire incatenata. Poco tempo dopo fu uccisa e il neonato fu “regalato” a un’altra famiglia. Solo di recente las abuelas sono riuscite finalmente a identificare il nipote di Estela Carlotto. La sua risposta alla Villarruel è sprezzante: “Sono 45 anni che sto lottando e rischiando la mia vita quotidianamente. La Villarruel non è un essere umano, è una bestia”.
Gira e rigira la storia di questo Paese torna sempre lì. Tra crisi, default e tragedie sociali si affaccia sempre, incombente, l’ombra dei militari e delle svolte autoritarie. Il prossimo 19 novembre l’Argentina rischia grosso. È, per l’ennesima volta, a un bivio. Deve scegliere tra le mille contraddizioni di un percorso che la tiene dentro i confini della democrazia o lasciarsi ammaliare dalle sirene populiste che preparano la svolta autoritaria. Un vecchio detto dice che la metà degli argentini sono pscicoanalisti e l’altra metà pazienti. È un vero paradosso che in una terra che vanta un tale primato sia oggi in balia di un soggetto che tutti chiamano “el loco“.

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1 commento
Brava Griselda Clerici. Speriamo che il tuo paese non ritorni ai tempi infausti del generale Videla e amici suoi.