
Vladimir Putin e Kirill I, patriarca di Mosca e di tutte le Russie
“Un miracolo di Dio”. Così Kirill, il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, eletto il 1° febbraio del 2009, definì il presidente Vladimir Putin. Un riconoscimento confermato nel corso dell’era putiniana che ha visto una profonda ridefinizione dei rapporti tra Stato e Chiesa.
Un’immagine che contrasta con la lunga era bolscevica dello “Stato senza Dio” in cui il popolo sovietico aveva assistito ad una netta separazione della società dalla Chiesa. Un ateismo forzato che prevedeva una sistematica persecuzione dei vertici ecclesiastici e la distruzione dei luoghi di culto.
Impossibile dimenticare il 5 dicembre 1931, giorno in cui Stalin riuscì a portare a termine – per far posto al Palazzo dei Soviet – la distruzione della cattedrale del Cristo Salvatore, voluta dallo zar Alessandro I, dopo la sconfitta di Napoleone, per ringraziare “colui che ha salvato la Russia, Cristo Salvatore.”
L’era putiniana richiama, seppur con modalità diverse, un’epoca più antica, quella zarista, in cui lo Zar era considerato Dio, “in senso strettamente letterale”, come ricorda Kapuściński nel suo reportage “Imperium”. Un’identificazione tra la figura divina e il potere che spinse perfino Bakunin a chiamare lo Zar “il Cristo Russo”. Il Monaco Filofej nel XVI secolo sosteneva che “due Rome sono cadute (quella di Pietro e di Bisanzio) […] La terza (Mosca) rimane salda e non ve ne sarà una quarta.”
Come spiegare questa complessa e sorprendente transizione?
Un prezioso contributo deriva da un saggio “La nuova Russia (1990 – 2015)” – Volume IV, pubblicato nel mese di giugno da Jaka Book, di Giovanni Codevilla, docente per quarant’anni di Diritto dei Paesi dell’Europa Orientale e Diritto ecclesiastico comparato all’Università di Trieste, contenente anche un contributo di Stefano Caprio, sacerdote e studioso della storia e della cultura russa presso il Pontificio Istituto Orientale di Roma.
L’opera ricostruisce l’importante evoluzione normativa e sociopolitica che lo Stato e la Chiesa, anche nell’ambito dei rapporti con altri Paesi (Ucraina, Moldavia, Transnistria, Estonia etc.), hanno affrontato dal 1990 al 2015.
Proprio nel 1990 venne promulgata una legge sulla libertà religiosa grazie all’impegno di Gorbaciov e iniziò un lungo “processo contraddittorio” che portò nel 1997 all’emanazione di una Legge federale che, de facto e malgrado i successivi interventi della Corte costituzionale, puntava a contraddire il principio della laicità dello Stato e del separatismo, garantito dalla Costituzione del 12 dicembre 1993, riconoscendo il ruolo speciale dell’Ortodossia nella storia della Russia e operando una discriminazione tra le religioni tradizionali (Ortodossia, Islam, Giudaismo e Buddismo) e quelle non tradizionali (Cattolicesimo, Protestantesimo e altre di recente costituzione).
In questo modo, secondo Codevilla, si afferma la volontà di instaurare un rapporto privilegiato tra lo Stato e la Chiesa Ortodossa russa: si dà, dunque, vita ad una “sinfonia” tra spirituale e temporale, che ricalca il modello bizantino dei rapporti tra Imperium e Sacerdotium caratterizzato dall’armonica combinazione tra le due sfere d’azione, in cui Ortodossia e Spirito nazionale sono di nuovo inscindibili, rafforzati dall’Autocrazia, garantita da “un sistema fortemente centralizzato, concentrato nelle mani di un solo uomo”, ossia Putin.
Lo stesso Putin – spesso ritratto accanto al Patriarca Kirill, da sempre legato al potere sovietico/post-sovietico rappresentato da figure gradite al KGB – si pone come “supremo difensore e custode dei dogmi della fede e come tutore dell’Ortodossia”, come ha dimostrato nel corso della visita al Monte Athos avvenuta nel mese di maggio.
Chi beneficia concretamente di questa “sinfonia”? Entrambi.
Da una parte, lo Stato ha consentito uno sviluppo “capillare e ipertrofico” del Patriarcato di Mosca, rendendo obbligatorio il ritorno della religione e lasciando alla Chiesa libertà di intervento in molti ambiti (mezzi d’informazione, attività commerciali e culturali etc.). Basti pensare al finanziamento statale dei movimenti giovanili di ispirazione ortodossa, all’assistenza spirituale offerta dalla Chiesa alle Forze armate o al sostegno statale all’edificazione di nuove chiese.
La politica del silenzio adottata dal Patriarca in occasione dell’annessione della Crimea è stato un chiaro segnale di approvazione delle scelte geopolitiche di Putin. Un fenomeno che non si è verificato, invece, con il conflitto ucraino a causa dei timori del Patriarca di schierarsi e di compromettere i rapporti con l’Ucraina. Anche nell’incontro di Papa Francesco con il Patriarca, avvenuto a Cuba nel mese di febbraio, molti analisti hanno visto l’ombra del Cremlino.
Dall’altra, lo Stato, secondo Codevilla, punisce i dissidenti che contrastano l’azione di Putin, ma anche chi assume “atteggiamenti critici” verso la Chiesa che, a sua volta, sanziona gli esponenti del clero che hanno contestato il potere dello Zar. Basti pensare all’arresto delle Pussy Riot (marzo 2012) dopo l’esibizione nella cattedrale di Cristo Salvatore al grido di “Madre di Dio, liberaci da Putin!”. Un gesto che costò loro, per “istigazione all’odio religioso”, due anni di prigione (conclusisi alla fine del 2013), “avendo menzionato nella blasfema litania anche lo stesso Patriarca che crede in Putin più che in Dio”.

Francesco e Kirill, l’abbraccio a Cuba
Questo gioco delle parti rischia di portare nel medio e lungo periodo al consolidamento di un regime politico-religioso che potrebbe ridurre ulteriormente la libertà di espressione, ampiamente compromessa anche a causa della recente approvazione di una legge antiterrorismo – “Yarovaya Law” – che introduce, tra l’altro, l’omessa denuncia di reato, fino a 10 anni di reclusione per “disordini di massa”, l’obbligo per gli operatori delle TLC di conservare dati e metadati e, dulcis in fundo, “il divieto di effettuare proselitismo, predicazione, preghiera e diffusione di materiale religioso al di fuori dei ‘luoghi appositamente designati’, ossia i luoghi di culto delle istituzioni religiose ufficialmente riconosciute.”
Dunque una morsa letale per il Paese.
L’8 agosto del 1990 Eltsin, allora presidente della Repubblica sovietica russa, disse, riferendosi ai Paesi appartenenti all’URSS: “Prendetevi tutta l’autonomia che riuscite a ingoiare”. Sembra che la Chiesa e lo Stato, grazie alla loro alleanza, abbiano ampiamente raggiunto l’obiettivo.
Finito di redigere in data 2 agosto 2016, alle ore 17.15

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