Niger. Cosa c’è sotto gli scarponi italiani

ANGELO FERRARI
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Il dado è tratto, come si usa dire. L’Italia ha deciso: metterà gli scarponi sul campo in Niger. Un manipolo di militari, con il compito formale di “addestramento o training militare”, entra in uno degli scenari più pericolosi del continente africano. Non tanto e non solo perché sono in corso numerose guerre di più o meno alta o bassa intensità, ma perché il Niger è la terra dei traffici illeciti: denaro, droga, armi, esseri umani. Un paese che ha fatto dell’illecito la ragione dei propri guadagni.

Il Niger è il paese più povero al mondo ma il suo presidente, Mohamadou Issoufou, ha speso milioni e milioni di dollari per acquistare armi, elicotteri e aerei da combattimento russi e francesi, tradendo la sua piattaforma elettorale di stampo progressista che lo ha portato al vertice dello stato, impoverendo ancora di più la sua gente.

Non c’è comunque da stupirsi perché sono molti, infatti, gli ex leader noti e meno noti del Movimento dei nigerini per la giustizia, la più significativa fazione della rivolta tuareg, che si trovano alla guida di comuni e regioni del nord del paese, per non parlare di quelli che sono diventati consiglieri speciali del presidente.

Il Niger è tra gli stati più poveri del mondo ma il suo presidente Mohamadou Issoufou ha speso milioni e milioni di dollari in armi.

Le cancellerie di tutto il mondo conoscono il presidente, sanno perfettamente con chi hanno a che fare. Eppure, anche l’Italia ha deciso di mettere gli scarponi nel deserto nigerino, al confine con la Libia, dove transitano i migranti e dove tutto questo si mescola con i traffici illeciti fonte di guadagno delle milizie jihadiste.

Il nostro contingente dovrebbe sostituire i francesi e prendere possesso di un vecchio fortino della Legione straniera, non molto distante dalla frontiera libica.

Diciamolo subito che si tratta di una missione ad alto rischio. Ma abbiamo deciso di andarci ugualmente. Metteremo gli scarponi nel paese più povero al mondo e quello più “ricco” di traffici illeciti. Il nostro governo non dovrebbe solo riportare le rassicurazioni fornite dal presidente nigerino, ma dovrebbe anche dirci quali accordi sono stati stipulati con questa o quell’altra delle fazioni che controllano porzioni di territorio. Ma su questo il nostro governo tace.

Ci dice, invece, che il Niger è un paese molto fragile, che accoglie oltre centocinquantamila rifugiati, e che l’Italia

vi ha destinato cento milioni di euro: cinquanta per il rafforzamento del controllo delle frontiere con la Libia, quindici milioni per contribuire a programmi dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, trentuno milioni per migliorare le condizioni di vita delle popolazioni.

Parole di Angelino Alfano, il nostro ministro degli esteri, che davanti alle Commissioni esteri e difesa di camera e senato aggiunge:

Siamo presenti nel Sahel perché riteniamo che la regione sia di importanza strategica. Abbiamo investito particolarmente nel Niger, nostro alleato strategico nella politica di contrasto alle cause profonde del fenomeno migratorio.

L’Italia dirotta il quaranta per cento dei fondi di assistenza previsti per l’Africa in Niger. E la missione militare, continua Alfano

risponde a un preciso interesse nazionale e a minacce che ci vedono esposti in prima linea (…) viene incontro alla richiesta espressa dal governo nigerino, in coordinamento con i paesi della Ue, per favorire le condizioni di sicurezza nel Niger e nei Paesi del G5 Sahel.

L’interesse strategico è controllare la frontiera con la Libia, così da rendere “più efficace” il contrasto ai traffici illeciti. E i nostri militari, in questo contesto, hanno compiti di addestramento militare.

Poco probabile, e lo vedremo al primo scontro a fuoco.

Il territorio non è affatto sicuro, e se fosse diversamente non vi sarebbe stata alcuna missione militare; ma poiché si tratta di un territorio controllato da diverse milizie che hanno alleati tra gli abitanti dei villaggi, risulta ancora più insidioso. Ne sanno qualcosa i militari americani che hanno perso la vita due mesi fa. Forse, anche per questo, gli americani privilegiano la guerra dal cielo, fatta dai droni.

La firma degli accordi di cooperazione tra i ministri Roberta Pinotti e Kalla Moutari nel settembre scorso.

Ma una domanda viene spontanea: per quale ragione le varie milizie e fazioni che controllano il territorio dovrebbero abbandonare i lauti profitti che arrivano dai traffici illeciti, che siano di esseri umani, droga, armi o denaro? Quali garanzie abbiamo fornito? Quali accordi abbiamo fatto? I nostri militari vanno lì per proteggere il nostro investimento?

Il nostro governo dovrebbe rispondere a queste domande con il linguaggio schietto della politica e non con quello della diplomazia.

Per ora il governo tace, noi aspettiamo, e il presidente nigerino gongola.

Niger. Cosa c’è sotto gli scarponi italiani ultima modifica: 2018-01-16T17:55:56+01:00 da ANGELO FERRARI
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