L’escalation dei combattimenti nella zona del porto di Hudaydah, il principale punto di accesso dello Yemen, rischia di bloccare l’ingresso di aiuti nel paese: da qui passa il settanta per cento dei rifornimenti alimentari, oltre che medicine e altri beni essenziali per salvare la vita di milioni di persone allo stremo. È l’allarme diffuso da Oxfam, dopo che negli ultimi giorni centinaia di famiglie ad Hudaydah sono state costrette ad abbandonare le proprie case, a causa dell’intensificarsi del conflitto. Un ulteriore peggioramento della più grave emergenza umanitaria al mondo.
A oltre tre anni dall’inizio della guerra infatti tre yemeniti su quattro (circa ventidue milioni di persone) hanno immediato bisogno di assistenza umanitaria e più di otto milioni di persone non sanno da dove arriverà il loro prossimo pasto. Paolo Pezzati, policy advisor di Oxfam Italia per le emergenze umanitarie, rimarca che:
Il paese è a un passo dalla la carestia e la situazione peggiora giorno dopo giorno. Se il rifornimento di cibo, carburante e medicine sarà bloccato non ci sarà più speranza: sempre più famiglie non avranno niente da mangiare, resteranno senza assistenza sanitaria e saranno costrette a seppellire i propri cari. Fino a oggi abbiamo assistito solo a distruzione e morte. La comunità internazionale non può più girarsi dall’altra parte, ma invece esercitare tutta la pressione diplomatica possibile sulle parti in conflitto, per arrivare a un cessate il fuoco e a un ritorno al tavolo dei negoziati per porre fine a una guerra, che ha già causato oltre 5.500 vittime e raso al suolo l’intero paese.
A questo quadro drammatico, si aggiunge l’aumento esponenziale dei prezzi dei beni alimentari di base (in media del 47 per cento) e il rischio di esaurimento delle scorte di carburante. Pezzati conclude:
Il 90 per cento del cibo in Yemen viene importato, così come il carburante necessario per gli ospedali e tutte le strutture vitali per soccorrere la popolazione che per il 50 per cento passa dai porti di Hudayah e di Al-Salif. Se non verrà trovata una soluzione per consentire un normale flusso degli aiuti, la catastrofe è davvero dietro l’angolo.
Al momento oltre 16 milioni di persone su 29 nel paese devono sopravvivere con acqua sporca e, con metà delle strutture sanitarie distrutte, buona parte della popolazione non ha accesso ai servizi sanitari di base. Un dato che ha contribuito all’esplosione della più grave epidemia di colera della storia recente che, dopo aver contagiato oltre 1,1 milioni di persone e causato 2.200 vittime, continua a diffondersi tra la popolazione.
Oxfam lavora in Yemen per fornire acqua pulita e cibo alla popolazione in nove governatorati del Paese. Da luglio 2015 ha portato aiuto a oltre 2,8 milioni di persone. Si può sostenere l’impegno di Oxfam per salvare vite su: https://www.oxfamitalia.org/lo-yemen-muore/.
Intanto, un ennesimo piano di pace delle Nazioni Unite per lo Yemen chiede ai ribelli Houthi di rinunciare al lancio dei missili balistici in cambio della fine dei raid aerei contro il movimento da parte della Coalizione araba e di un accordo per un governo transitorio, secondo una bozza del documento pubblicata dall’emittente televisiva al Arabiya. Il piano, che non è stato ancora reso pubblico e potrebbe ancora essere modificato, è l’ultimo sforzo per porre fine alla guerra civile dello Yemen in corso da tre anni.
Il conflitto pone gli Houthi allineati all’Iran, che hanno preso il controllo della capitale Sana’a nel 2014, contro le forze governative yemenite. La Coalizione araba teme che gli Houthi rientrino in un piano di presa di potere regionale da parte di Teheran. Nel piano Onu si afferma che
le armi pesanti e medie tra cui i missili balistici devono essere consegnate da attori militari non statali in modo ordinato e pianificato. Nessun gruppo armato sarà esentato dal disarmo.
In questo scenario apocalittico, l’amministrazione Trump sta prendendo in considerazione l’ipotesi di ampliare il proprio ruolo nella guerra in Yemen su richiesta degli Emirati Arabi Uniti, per aiutare la coalizione guidata dall’Arabia Saudita. Lo scrive il Wall Street Journal, secondo cui l’obiettivo ora sarebbe di impadronirsi di Hodeidah, una città portuale in mano ai ribelli Houthi, appoggiati dall’Iran, fondamentale per gli aiuti umanitari. La mossa, quindi, potrebbe avere effetti catastrofici sul paese.
Il 4 giugno scorso, gli esperti dell’amministrazione Usa sullo Yemen si sono incontrati per discutere della strategia. I militari statunitensi sono a sostegno della coalizione a guida saudita dal 2016, in particolare sono attivi nelle operazioni contro i combattenti di al Qaeda e Isis. Le fonti del quotidiano sostengono che l’amministrazione è profondamente divisa sull’ipotesi di espandere il ruolo statunitense nella guerra yemenita.
Dagli ospedali di Haydan e dal governatorato di Saada – documenta Medici senza frontiere (Msf) – arriva la denuncia di una situazione in rapido deterioramento.
Secondo gli ultimi dati relativi alla guerra (maggio scorso) elaborati da Yemen Data Projec, sul paese si sono abbattuti quasi 17mila attacchi aerei negli ultimi tre anni, con una media di 15 al giorno. Nel solo governatorato di Saada a dicembre si sono registrati 541 raid, con un aumento del 67 per cento rispetto al mese precedente. A preoccupare sono le vittime civili: infatti, almeno un’incursione su tre ha centrato siti non militari. Fra questi vi sono infrastrutture pubbliche, mercati, case e veicoli civili. Le strade finiscono con facilità nel mirino delle bombe e l’incessante serie di attacchi ha reso difficile gli spostamenti.
Nel nosocomio di Haydan, che sorge nei pressi del fronte, distrutto da un bombardamento nel 2015 e riaperto nel marzo dello scorso anno, Msf ha curato circa 7mila persone, di cui il 44 per cento bambini con meno di cinque anni e il 41 per cento donne. Ogni giorno la struttura accoglie in media sessanta persone; i bambini vengono ricoverati per infezioni respiratorie, dissenteria e anemia.
Frédéric Bonnot, coordinatore Msf ad Haydan, conferma che i bombardamenti hanno “un impatto sulla nostra capacità di trasferire i pazienti” verso altre strutture più attrezzate. Questo causa “ritardi” a fronte di “situazioni di vita o di morte”. Aggiunge Roberto Scaini, vicepresidente Msf
In un’area montuosa e di villaggi remoti, il problema più grande resta come arrivarci. Spesso i feriti di guerra arrivano in condizioni ormai critiche. Per chi soffre di malattie croniche, cardiache o tumori, è difficile garantire trattamenti a lungo termine in tutto lo Yemen.
In questo contesto di guerra e devastazioni emergono continue storie di sofferenze: come quella della piccola Abeer, neonata di tre settimane, arrivata all’ospedale fra le braccia del nonno. Egli – raccontano gli operatori di Msf – ha dovuto vendere il proprio pugnale (jambiya) per pagare le spese del viaggio, mentre il padre è rimasto a lavorare nei campi. Ora è sotto antibiotici. O quella della diciannovenne Qoussor, che ha sempre vissuto sotto la guerra, e oggi ha un figlio di un mese e mezzo di nome Nabil, con difficoltà respiratorie. Hanno aspettato oltre un’ora e mezza ai margini della strada, prima di trovare un’auto che li portasse all’ospedale, dove il bambino è rimasto ricoverato per più di una settimana.
Secondo le stime delle Nazioni Unite, i raid aerei della coalizione a guida saudita hanno provocato la morte di oltre 4.000 civili. E quei morti sono stati causati anche da bombe “made in Italy”. E qui arriva la promessa del Movimento Cinque Stelle. “Bombe italiane, morti yemenite”: è il titolo di articolo apparso sul blog del M5S, richiamando il titolo del video reportage pubblicato dal New York Times, sulle armi prodotte in uno stabilimento in Sardegna e vendute all’Arabia Saudita. Scrive Fabio Massimo Castaldo, Efdd/M5S Europa:
Quel reportage getta luce su una vicenda inquietante. Vicenda che il M5S ha portato all’attenzione dei più alti rappresentanti delle istituzioni italiane (grazie anche all’amico e collega Roberto Cotti) ed europee. Io stesso sono intervenuto più volte, durante la plenaria di Strasburgo, per denunciare quello che avviene in Yemen, dove si continua a combattere una guerra per procura, un massacro sotto silenzio. E le vittime di questo massacro sono soprattutto civili inermi, tra cui bambini. Aspetto, questo, evidenziato anche dal quotidiano americano attraverso alcune immagini. Più volte ho chiesto all’Europa di levare finalmente la sua voce e di agire anche sui propri Stati membri. Sì, perché non è tollerabile che a prevalere sia il timore di urtare gli interessi dell’Arabia Saudita e della lobby europea degli armamenti. Ci sarebbe la possibilità di poter fermare questa tragedia attraverso il rispetto degli otto criteri del codice di condotta dell’Unione Europea per le esportazioni di armi del 2008. Criteri che l’Europa ha sempre calpestato, pur avendoli affermati, perché in proposito non è prevista alcuna forma di sanzione. Il M5S ha depositato un emendamento volto, invece, proprio a chiedere di sanzionare quei paesi che ne violano il rispetto dei criteri. Non vorrei che, a forza di chiudere gli occhi per proteggere l’utile (quello di alcuni paesi), finissimo per diventare ciechi davanti all’indispensabile. Con il M5S al governo e con il suo rappresentante nel Consiglio europeo faremo di tutto per evitare di diventare complici di queste guerre per procura che non hanno fatto altro che portare, nel corso degli anni, morte e distruzione.
Ora al Governo, il “governo del cambiamento”, i pentastellati ci sono arrivati. Saranno di parola?

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