La solitudine dei palestinesi

La causa della Palestina è sempre più oggetto dei grandi giochi di potere delle potenze regionali del Medio Oriente: Turchia, Egitto, Iran e sauditi.
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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In apparenza sono tutti a fianco dei “fratelli palestinesi” nel loro rigetto del “Piano del secolo” partorito dall’Amministrazione Trump. In apparenza. Perché se si va oltre le esternazioni ufficiali, assolutamente scontate, si scopre, anche grazie all’aiuto di autorevoli fonti diplomatiche e analisti internazionali, che la realtà, nel campo arabo, è molto più complessa e sfaccettata, e molto meno solidale con la “causa palestinese”. D’altro canto, la questione palestinese non è più da tempo una priorità nell’agenda, e negli interessi, dei paesi arabi più influenti o di attori regionali con disegni di potenza, come la Turchia e l’Iran.

Di certo, come rimarca in un documentato report di Dion Nissenbaum per il Wall Street Journal, il “Piano del secolo” piano ha scosso le dinamiche regionali, con Israele che si preparava ad annettere rapidamente parti della Cisgiordania, una volta che si prevedeva che potessero far parte di uno stato palestinese e che i principali leader arabi potessero sostenere, anche se provvisoriamente, l’iniziativa degli Stati Uniti.

Per decenni, i leader arabi e musulmani hanno affermato che qualsiasi accordo con Israele avrebbe dovuto includere un ritiro delle forze israeliane dai Territori palestinesi, e l’istituzione di uno stato palestinese indipendente con Gerusalemme est come capitale. Ma gli stessi leader arabi che, a parole, continuano a sostenere questa linea, fuori dall’ufficialità non mancano di manifestare la loro irritazione verso la dirigenza palestinese a scendere a compromessi su questi punti.

Donald Trump, Jared Kushner e Benjamin Netanyahu

Una chiusura che ha impedito, o comunque rallentato, la volontà di quei leader a rafforzare i legami con Israele, vuoi per affari, vuoi, vedi l’Arabia Saudita e le monarchie sunnite del Golfo, in funzione di un contenimento dell’espansionismo iraniano, e sciita, sulla direttrice Damasco-Baghdad-Beirut. E Gaza. D’altro canto, come annota Nissenbaum,

l’Amministrazione Trump ha “corteggiato” esponenti di primo piano dei regimi al potere in Arabia Saudita, negli Emirati Arabi Uniti, in Oman, in Bahrein e in altre nazioni della regione, nel tentativo di trascendere l’impasse politica e, in una certa misura, hanno avuto riscontri positivi

I regnanti sauditi come i petromonarchi del Golfo hanno fatto pressioni sui leader palestinesi perché accettassero il piano Trump come base per nuovi colloqui con Israele, una mossa che li avrebbe costretti a fare concessioni significative, come l’annessione israeliana della Valle del Giordano.

Ciò che è storico qui è che è la prima volta, penso dall’inizio del conflitto, che la posizione araba non è stata una replica della posizione palestinese

rimarca David Makovsky, direttore del Progetto sulle relazioni arabo-israeliane al Washington Institute for Near East Policy.

Ciò testimonia di un più ampio senso delle priorità regionali che i paesi arabi hanno, sia che si tratti di Iran, Yemen, Libia o di stretti legami con gli Stati Uniti.

Perfino l’Arabia Saudita, forse il più importante sostenitore del mondo arabo degli appelli palestinesi per uno stato indipendente, ha esortato i palestinesi ad accettare il piano Usa come base per nuovi colloqui con Israele.

Alcuni leader del Medio Oriente hanno espresso preoccupazione per i piani di Israele di annettere immediatamente la Valle del Giordano, ma non sono stati presi provvedimenti per contrastare la mossa. Il re saudita Salman bin Abdulaziz Al Saud ad esempio, ha chiamato il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Mahmoud Abbas per offrire solidarietà, ma il suo governo ha spinto nuovamente il leader palestinese ad accettare il piano degli Stati Uniti come base per i colloqui con Israele.

Il tono modificato nelle capitali arabe è un riflesso delle mutevoli relazioni nella regione, dove le nazioni ufficialmente in guerra con Israele stanno rafforzando i legami con le sue compagnie e figure di spicco. Mbs ha elogiato pubblicamente Israele e ha minimizzato privatamente l’importanza della questione palestinese, hanno rivelato fonti diplomatiche della regione.

L’ambizioso principe ereditario si è incontrato l’anno scorso in Arabia Saudita con un leader evangelico cristiano israeliano-americano che vive Gerusalemme. Diverse compagnie israeliane lavorano con aziende in Arabia Saudita e in altri paesi del Golfo arabico. Il governo saudita è stato accusato di usare strumenti di hacking israeliani per spiare i dissidenti. Il Bahrain, l’Oman e il Marocco stanno lavorando, con l’appoggio americano, su proposte per sviluppare patti di non aggressione con Israele. A sostegno del piano a Washington, nel giorno della presentazione ufficiale del Deal of the century – c’erano gli ambasciatori di Oman, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, e Arabia Saudita.

Questi mutati atteggiamenti, annota ancora il Wsj, sono in parte attribuibili al fatto che Israele e i principali paesi del Golfo sono più preoccupati della minaccia rappresentata dall’Iran che della risoluzione del conflitto israelo-palestinese. Poiché Israele ha tranquillamente ampliato i legami con i vicini arabi, in particolare l’Arabia Saudita, l’Oman, il Bahrain, la causa palestinese è diventata meno un grido di battaglia per la regione e Israele una entità molto meno estranea.

Intanto, per la prima volta nella storia dello stato ebraico, i cittadini israeliani potranno recarsi in Arabia Saudita, stato con il quale Israele non ha relazioni diplomatiche. L’ha annunciato l’altra settimana, il ministro degli interni, Arye Deri, in accordo con il ministero della difesa. Il viaggio, tuttavia, potrà essere effettuato o per motivi religiosi – specie durante il pellegrinaggio musulmano alla Mecca – o per motivi di lavoro con permanenza non superiore a nove giorni. Inoltre, la persona dovrà essere in possesso di un invito ufficiale delle autorità saudite e nessun altro motivo ostativo.

La diplomazia dei tour ha molto a che fare con il “Piano del secolo”, perché l’inquilino della Casa Bianca e i suoi più stretti collaboratori in politica estera, a cominciare dal consigliere-genero Jared Kushner, hanno sempre puntato sul coinvolgimento di quei paesi arabi che, nel quadro regionale, hanno interessi strategici convergenti con Israele. Una fonte governativa israeliana li elenca a ytali: Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania.

Paesi del fronte sunnita che, con Israele, condividono la necessità di arginare la penetrazione iraniana in Medio Oriente.

A questo è particolarmente interessato l’erede al trono saudita, in funzione anti-iraniana, di Riyadh a Tel Aviv: per il futuro sovrano, e attuale primo vice primo ministro e ministro della difesa saudita, togliere ai suoi nemici regionali la “carta palestinese” sarebbe un risultato rilevante, da far pesare nella definizione dei nuovi equilibri regionali. Un approccio condiviso dalle petromonarchie del Golfo – dagli Emirati Arabi Uniti al Qatar – che hanno una potente arma di convinzione di massa: i miliardi da investire sulla ricostruzione di Gaza e il sostegno all’economia palestinese ormai sull’orlo del collasso.

È indubbio – dice a ytali il professor Nabil el-Fattah, già direttore del Centro di Studi Strategici di Al-Ahram (Il Cairo) – che da tempo non c’è leader arabo o musulmano che non abbia cercato di gestire in proprio la vicenda palestinese, inserendola all’interno dei propri disegni di potenza. Oggi Trump si fa forte della debolezza della leadership palestinese per forzare con il suo Piano”. Certo, ufficialmente la Lega Araba ha rigettato il Piano Trump, nella riunione straordinaria al Cairo in cui un sempre più marginalizzato Abu Mazen ha annunciato la rottura di ogni relazione con Israele e Stati Uniti. La carta della disperazione.

Bocciano il Piano, ma nessuno dei paesi arabi ha intenzione di imboccare la strada indicata dal presidente palestinese. Il massimo a cui si spingono, nel documento finale, è scrivere che i paesi della Lega araba non daranno una mano a Trump nell’attuazione del suo Piano.

Da un lato, stanno timidamente cercando di mostrare sostegno ai palestinesi, ma dall’altro non vogliono trovarsi in uno scontro politico con Washington e i suoi alleati,

annota Sam Husseini, direttore dell’ong Institute for Public Accuracy di Washington. Alaa Tartir, analista del Palestinian Policy Network afferma che i paesi arabi non vogliono affrontare gli Stati Uniti:

In assenza di una Lega potenziata di stati arabi, i singoli stati arabi danno priorità al proprio programma, ai propri bisogni e alle aspirazioni regionali e ambiziosi,

rimarca Tartir. Dire un “no” diretto all’amministrazione americana ha conseguenze che molti stati arabi non sono disposti a sopportare, osserva ancora. Ed è indicativo che le prese di posizioni più dure contro la “Truffa del secolo” siano venuti dai leader di paesi non arabi, ma con velleità di potenza regionale: la Turchia e l’Iran.

“I paesi arabi che sostengono” il piano di Donald Trump su Israele e Palestina “commettono un tradimento verso Gerusalemme, verso il proprio popolo e verso tutta l’umanità”. È l’accusa lanciata dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che in un discorso ai membri del suo partito, l’Akp ha elencato alcuni di questi paesi.

L’Arabia Saudita è rimasta in silenzio. L’Oman e il Bahrain lo stesso. Il governo di Abu Dhabi applaude. Vergogna! Vergogna!

ha tuonato Erdoğan.

Di nuovo, la “causa palestinese” in funzione di uno scontro interno al mondo sunnita, come avviene per la Libia e ancor prima per la Siria. Il presidente turco ha poi lanciato un appello al mondo cristiano a schierarsi contro il piano Trump, e rivendicare i propri diritti su Gerusalemme, ribadendo l’intransigenza di Ankara rispetto al riconoscimento di quest’ultima come capitale di Israele.

Il mondo cristiano ha dei diritti su Gerusalemme e deve farli valere e far sentire la propria voce. Le mani del mondo cristiano non possono rimanere legate. Gerusalemme non può essere lasciata agli artigli sporchi di sangue di Israele, siamo dinanzi a un piano laterale di annessione dinanzi al quale non possiamo tacere

ha sostenuto Erdoğan che ha definito quello dell’inquilino della Casa Bianca “un progetto di invasione”.

Parlano di accordo del secolo e non si tratta di alcun accordo, ma di un progetto di invasione. Abbiamo visto come Trump, dando l’annuncio, si sia creato una platea apposta per ricevere applausi, ma non bastano gli applausi a cambiare il destino del mondo, né quello della Palestina. Per noi Gerusalemme rappresenta una linea rossa invalicabile

ha avvertito Erdoğan.

Erdoğan e Ali Khamenei

Contro il piano si è scagliato, con la stessa veemenza verbale del presidente turco, la Guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei:

La diabolica e viziosa politica americana sulla Palestina ha battezzato ‘Piano del secolo’, un piano che non si materializzerà mai, anche perché tutte le nazioni musulmane lo contrasteranno e faranno sì che non si realizzi.

Anche un consigliere del presidente Hassan Rouhani, Hesamodin Ashena, ha scritto su Twitter che

ci aspettiamo una nuova Intifada in Palestina, il piano di Trump è fatto di sanzioni e imposizioni, gli Usa stanno violando le risoluzioni Onu.

Sulla stessa lunghezza d’onda le reazioni del più stretto alleato di Teheran in Medio Oriente: l’Hezbollah libanese di Hassan Nasrallah. Posizioni che poco hanno a che fare con gli interessi palestinesi, utilizzati ancora una volta dai “fratelli-coltelli” arabi, persiani, ottomani, per alimentare le proprie mire di potenza.

Resta il fatto che non solo le monarchie del Golfo ma anche un paese sunnita centrale in Medio Oriente, l’Egitto del presidente-generale Abdel Fattah al-Sisi, non abbiano cavalcato la retorica dell’indignazione anti-americana, e anti-israeliana, che in altri tempi aveva funzionato come fondamentale collante interno. Ma i tempi sono cambiati. E l’indignazione lascia il campo agli affari e a nuove alleanze. Con buona pace della “causa palestinese”.

La solitudine dei palestinesi ultima modifica: 2020-02-04T11:46:54+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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