Signorina bella, non so che dirle, la mia famiglia è a Roma dal 70 dopo Cristo, forse anche da prima.
Così rispose una signora della comunità del Ghetto qualche anno fa a una giornalista che, a seguito di esecrabili episodi di antisemitismo, poneva delle domande sul disagio dei cittadini di religione ebraica in città. La signora in questione giustamente non si poneva il problema di essere italiana o meno, integrata o meno, in una comunità che era naturalmente la sua.
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Facciamo finta di porre la stessa domanda, facendo un balzo all’indietro di quasi mille anni, a un ebreo che viveva nei domini della Serenissima Repubblica di San Marco prima della istituzione del Ghetto di Venezia, il primo al mondo. Preludio al Ghetto di Venezia. Gli ebrei sotto i dogi (1250-1516) è il corposo saggio scritto da Renata Segre per le Edizioni Ca’ Foscari, che vuole (e riesce benissimo) fare il punto su quei quasi trecento anni durante i quali gli ebrei vissero, lavorarono, viaggiarono nei domini di Terra e di Mare della Repubblica di San Marco, prima di essere irreggimentati e controllati tra i canali e i cancelli del Ghetto Nuovo a Cannaregio.
Una ricerca copiosa e meticolosa durata quasi vent’anni, analizzando in archivi e biblioteche delibere, fonti notarili, testamenti, decreti, sentenze, lettere, resoconti, bolle e trattati che in dodici capitoli fanno luce su chi erano, come e dove vivevano e lavoravano, pregavano e si nutrivano gli ebrei – ashkenaziti prima e assieme ai sefarditi dopo il 1492 – insediati nei territori della Serenissima, vasti, prosperi, contesi, ambiti, in pace e in guerra.
Una “ricomposizione storica” che l’Autrice compie sottolineando “ambivalenza e ambiguità della politica veneziana” che molto spesso caratterizzò leggi e proclami per salvare capra e cavoli: mantenere flussi di danaro necessari per commerci, guerre e investimenti assieme ai banchi di pegno che solo gli ebrei potevano gestire con gli apporti fondamentali di medici e scienziati, e salvaguardare la cristianità di Venezia, tra bolle papali e predicazioni di frati ostili agli ebrei. Una comunità come quella dei zudei sottoposta a tassazioni ingenti e obbligata a sottoscrizioni costanti in anni di continue emergenze finanziarie per reperire risorse per cause belliche, della quale il primo documento ufficiale riguarda il Maestro Elia, nel 1275, medico itinerante che necessita di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato per esercitare la sua professione a Venezia. Parole che anche oggi ricorrono nel linguaggio burocratico legato all’immigrazione, quel permesso di soggiorno che rappresenta l’agognato desiderio di una moltitudine di migranti sparsi in tutta Italia.
Quindi tra timore di proselitismo, inquisizione occhiuta, repressione, pressione sui dogi per alleggerire o stringere i lacci attorno alle comunità ebraiche di terra e di mare (le Università), fazioni di veneziani pro e contro, penuria di danaro nelle casse dello Stato e necessità di prestiti che solo gli ebrei erano autorizzati a erogare con interessi controllati, già dagli anni ottanta del XIV secolo Segre dà notizie di presenze ebraiche nella capitale, Venezia. I fratelli Salomone e Casser Seligman, ad esempio, affittano per 300 ducati al biennio un palazzo a Santa Sofia per cinque anni, mentre tale Simone affittava casa a San Salvatore e il francese Moise si istallava di fronte a Rialto, tutti con la possibilità di ospitare amici e parenti.

Anni difficili finanziariamente per Venezia, che invogliava gli ebrei a istallarsi in città in cambio di un tributo di quattromila ducati all’anno con possibilità di aprire banchi di pegno. Dettagliatissime sono le istruzioni e le regole che l’Autrice descrive, assieme alle altalenanti restrizioni che costrinsero ad un certo punto gli ebrei ad istallarsi a Mestre, e questo è il fattore nuovo che questo libro evidenzia, l’espulsione da Venezia del nucleo di prestatori, in grande rivalità con i “toscani” cristiani, con un’amplissima veduta sulle condizioni economiche delle diverse Università, le comunità cioè di Padova e Treviso ad esempio, città “che non poteva fare a meno di questi banchi” per far girare capitali e merci. Abhominabili Deo et hominibus ma necessari nel momento di massima espansione della Serenissima, che dal 1396 impediva agli ebrei di restare per più di quindici giorni di seguito tra le acque della città, esponendo supra pectum unum O zallum [“sul petto una O gialla”, probabilmente un disco di metallo. È la segnalazione pubblica dell’essere ebreo, precedente delle “stelle gialle” imposte dal nazismo; l’attribuzione da parte dei cristiani del giallo agli ebrei rimonta all’VIII secolo e fu ribadita nel IV Concilio Lateranense del 1215 che stabiliva, tra l’altro, che gli ebrei dovevano distinguersi dai cristiani indossando lo sciamanno, così descritto dalla Treccani: “Consisteva, per lo più, in un velo o in uno scialle giallo, o in un pezzo di stoffa dello stesso colore attaccato sul cappello o sull’abito” – NdR].

Molto interessante il viaggio che Renata Segre compie seguendo il filo che unisce le varie comunità da Belluno a Verona, da Feltre a Bassano, ma anche nei possedimenti del Levante, Corfú, Negroponte, Candia, Modone… Tra guerre e minacce di potenze ostili per mare e per terra, Venezia con il suo formidabile impianto burocratico intimidisce e incoraggia, blandisce e controlla, attraverso le sue Magistrature, dai Savi alla Camera degli Imprestiti ai Cinque Savi alla Mercanzia fino ai Savi di Terraferma, con un impressionante volume di documenti di cancellerie. La visione laica che Venezia ha sempre voluto portare avanti nel suo millennio di storia doveva a volte cedere di fronte a fazioni di nobili e patrizi ostili agli ebrei o alla Curia di Roma, che durante il XV secolo con Pontefici diversi, supportò accuse di omicidi rituali nelle terre venete compiuti da ebrei, in particolare a Portobuffole e Trento, accuse false e ideologiche che il Senato avallò anche per tenere sotto controllo l’ordine pubblico sobillato da predicatori fanatici( che a volte venivano allontanati con l’accusa di eccessi e di essere menagrami…).
Secoli di guerre e minacce, Morea e Negroponte perdute, prepotente presenza degli Ottomani e caduta del millenario impero Bizantino sotto il maglio di Maometto II, la ricchezza di Venezia e i suoi traffici e commerci centenari sull’orlo di franare, in quel maggio del 1453… ”Calamitas”, questo giovane condottiero ottomano, e tante tassazioni per la Università degli ebrei, anche quelli del Levante, i più minacciati. Il filo della storia parallela vista dagli ebrei veneti si intreccia strettamente con tutto quello che la Serenissima deve sopportare ed inventare per far fronte al dilagare delle ostilità ed alla probabile fine delle rotte commerciali nel Levante. Trame e tradimenti, blandizie e conoscenze, agenti e diplomatici, cristiani ed ebrei, pace separata, invidie internazionali mentre il 1492 segna l’espulsione degli ebrei dai territori del Regno di Spagna, Italia meridionale compresa.

Le note del saggio, che rappresentano da sole un vero e proprio volume ulteriore di lettura, contribuiscono ad informare il lettore della collocazione di tutti gli atti e i documenti citati, fino all’arrivo sulla scena letteraria di Marin Sanudo che con i suoi Diari informa tutto e tutti di tutto e su tutti. Liti e affitti, amori e denunce, petizioni per la riduzione dei tributi, ostacoli al commercio degli strazzaroli ebrei in conflitto con i cenciaioli cristiani, la Lega di Cambrai (1508) che vede Papato, Francia, Impero, Spagna contro Venezia e fa sì che gli ebrei di Mestre per sfuggire ai nemici si possano istallare definitivamente in Laguna (e da lì nel 1516 la creazione del Ghetto in città), un insieme di notizie puntuali e varie che sono profondamente presenti anche oggi, dopo oltre cinquecento anni, nella vita di Venezia e di molte città della terraferma. Mentre a Mestre, sede di antichissimi insediamenti, non è rimasta testimonianza di sinagoga, albergo e abitazioni.
“Preludio al Ghetto di Venezia”: furono settecento i capifamiglia che s’istallarono nel Ghetto nuovo, cioè migliaia di persone che continuarono a vivere e a esercitare le più svariate professioni (in particolare i banchieri, medici, strazzaroli e commercianti). “In questa matina” scrive il Sanudo il 1 aprile 1516 “fo fato le crida, iusta la parte in Pregadi, che tutti gli zudei vadano a stare in Gheto”. Le botteghe dovevano essere tenute dentro i confini dello spazio assegnato, e lasciarvi dentro due guardiani, e questo nonostante le proteste di vari eminenti personalità della Comunità che ricordavano al Collegio di essere in credito di cinquemila ducati.
Economia e finanza, passaggio di migliaia e migliaia di zecchini e ducati, banchi in attivo e falliti, secoli e secoli di rapporti, diffidenza, ricerca di equilibri, lusinghe e minacce, espulsioni e richiami, contese e accuse reciproche, culture e confronti, scienza e alchimia, e ancora tanta tantissima storia, che questo volume aiuta a capire, conoscere, interpretare.




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