Verso le elezioni legislative. Macron e il futuro del centro francese

Il 12 e il 19 giugno in Francia si voterà per eleggere i 577 deputati dell’Assemblée Nationale. Secondo i sondaggi la coalizione del presidente dovrebbe ottenere la maggioranza assoluta. Ma le sue intenzioni per i prossimi cinque anni sembrano essere sempre meno decifrabili.
MARCO MICHIELI
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[PARIGI]

Tra qualche settimana si torna a votare in Francia. Il paese rimane pur sempre una repubblica semi-presidenziale e per il presidente in carica è essenziale assicurarsi la maggioranza parlamentare, per evitare la coabitazione. Una possibilità quest’ultima a dire il vero molto limitata. Con la riduzione del mandato presidenziale a cinque anni (2000) e la posticipazione delle elezioni legislative alle elezioni presidenziali (2007), il presidente eletto si è sempre assicurato la maggioranza parlamentare. L’obiettivo dei legislatori era quello di evitare la coabitazione tra un presidente e un primo ministro appartenenti a due maggioranze politiche differenti. E ci sono riusciti.

L’ultima coabitazione è infatti avvenuta nel 1997, quando il mandato del presidente era ancora di sette anni. Allora, il presidente neo/post-gollista Jacques Chirac si ritrovò a governare il paese in tandem con il primo ministro socialista Lionel Jospin. Un’esperienza di coabitazione molto complicata che spinse i socialisti a legiferare sulla riduzione del mandato e il presidente a convocare un referendum popolare che confermò la riduzione del mandato presidenziale a cinque anni.

Una maggioranza parlamentare ostile al presidente complicherebbe infatti la realizzazione di gran parte delle promesse della campagna elettorale del capo dello stato. Anche se conserverebbe notevoli poteri. Il presidente rimarrebbe il guardiano della costituzione e, attraverso lo strumento del referendum o il potere di scioglimento dell’Assemblea Nazionale, potrebbe cercare di risolvere conflitti o impasse politiche, chiedendo ai cittadini di esprimere il proprio parere. È inoltre il garante dell’indipendenza nazionale, della politica internazionale e della difesa.

A differenza del 2017, quando il nuovo partito di Macron riuscì nell’impresa di assicurarsi la maggioranza assoluta all’Assemblea tra le enormi difficoltà dei partiti tradizionali e le frattura della sinistra, quest’anno lo scenario almeno in apparenza sembra più complicato. Almeno in apparenza, appunto. La sinistra ha in effetti trovato un accordo elettorale sotto la guida del leader della sinistra populista Jean-Luc Mélenchon, terzo classificato alle elezioni presidenziali. A destra Marine Le Pen cerca di capitalizzare i voti ottenuti al secondo turno, senza formare accordi elettorali con gli altri partiti della destra sovranista e populista. 

Ma al di là del quadro di partenza, i risultati non dovrebbero essere molto diversi dal 2017. Secondo i sondaggi di Ipsos, su una base di 11.000 intervistati, la coalizione di Macron – il partito del presidente, Renaissance, i centristi del MoDem e Horizons dell’ex primo ministro di Macron, Édouard Philippe – sarebbe al 28 per cento. La coalizione tra La France Insoumise di Mélenchon, i socialisti, i verdi e i comunisti – la NUPES ovvero Nuova unione popolare, ecologica e sociale – sarebbe al 27 per cento. Il Rassemblement National di Marine Le Pen al 21 per cento, Les Républicains (il partito di Nicolas Sarkozy, François Fillon e Valérie Pécresse, centrodestra) al 9 per cento e Reconquête di Éric Zemmour al 6 per cento.

Tuttavia questi sono sondaggi per il primo turno delle legislative. I risultati del secondo turno sarebbero però differenti. Infatti nelle circoscrizioni in cui i candidati parlamentari non vincono a maggioranza assoluta al primo turno, si svolge un secondo turno tra i candidati che hanno ottenuto al primo turno almeno il 12,5 per cento tra gli elettori registrati. La soglia è quindi definita non sulla base dei voti espressi ma sugli elettori registrati, il che rende più difficile raggiungere il secondo turno quando l’astensione è elevata (cosa che di solito si verifica con le legislative).

Questa è la ragione per la quale le proiezioni Ipsos danno la coalizione di Macron tra i 290 e i 330 seggi (quindi la maggioranza assoluta); alla coalizione di sinistra NUPES tra i 165 e i 195 seggi; al centrodestra LR tra i 35 e i 65 seggi; al RN di Le Pen tra i 20 e i 45 seggi. Per avere la maggioranza servono 289 deputati. Attualmente Macron conta su 349 deputati.

Sempre secondo le inchieste Ipsos, i probabili flussi di voto tra le elezioni presidenziali e quelle legislative sono particolarmente interessanti. L’86 per cento degli elettori di Mélenchon ri-voterà per la coalizione di sinistra guidata dal leader de La France Insoumise, “candidato primo ministro” in un paese dove la nomina del primo ministro spetta al presidente. Le cose cambiano quando si considerano gli elettori degli altri candidati presidenti: Fabien Roussel (comunisti), Yannick Jadot (verdi) e Anne Hidalgo (socialisti). I rispettivi partiti fanno parte della coalizione guidata da Mélenchon. Secondo Ipsos, prò, una parte di questi voteranno infatti per candidati “diverse gauche”, candidati cioè che non fanno parte della coalizione di sinistra, tra i quali molti ribelli socialisti, contrari all’accordo con Mélenchon. Una parte di questi elettori di centrosinistra, verdi in particolare, voterà per candidati di Macron, con numeri non dissimili dagli elettori di centrodestra.

A destra invece Marine Le Pen riesce a “catturare” un numero discreto di elettori ad altri partiti di destra e a Zemmour. 

Se i numeri finali fossero questi, Le Pen otterrebbe comunque più deputati di cinque anni fa, ma non riuscirebbe a invertire i rapporti di forza con il centrodestra che, ben radicato nel territorio, dovrebbe comunque contare su un numero importante di deputati, anche se molti meno rispetto al cinque anni fa. 

Per il partito di Mélenchon sarebbe invece una conquista enorme in termini di deputati, anche se dovesse perdere. Il che significa anche molti finanziamenti. L’eventuale sconfitta però potrebbe lasciare a verdi e socialisti le mani libere in termini di lotta parlamentare, nel tentativo di invertire i rapporti di forza oggi a favore del leader della sinistra populista.

Anche se questa nuova competizione elettorale non dovrebbe riservare sorprese per presidente rieletto, questa fase di passaggio tra il secondo turno delle presidenziali e la ricerca di una nuova maggioranza parlamentare ha contorni meno netti rispetto al 2017.

Nel 2017 l’allora neo-presidente si faceva portavoce di un programma social-liberale di “rinnovamento totale” del paese. Oggi però le proposte politiche sono meno nette. I temi divisivi sono stati eliminati dalla discussione politica, a partire dalla riforma delle pensioni che adesso sembra meno urgente. L’attenzione è essenzialmente rivolta al tema del potere d’acquisto, un tema che suscita meno fratture tra i cittadini. Il presidente ha parlato di un “nouvelle méthode” per i prossimi cinque anni, con particolare attenzione alla transizione ecologica. Ma per ora non è chiaro che cosa intenda.

Queste repentine mutazioni non sono nuove. Anzi. La flessibilità ideologica è parte integrante del movimento di Macron, nel tentativo costante di adattare l’offerta politica alle domande dei cittadini, con maggiore o minore successo. L’abilità politica – spesso poco valutata – del presidente francese è stata quella di capire di volta in volta quello che l’opinione pubblica richiedeva. In termini di principi generali, non di politiche specifiche. Ad esempio nel 2017, la crisi del Partito socialista (Ps), fratturato tra una linea socialdemocratica e una più marcatamente di sinistra, ha lasciato liberi milioni di elettori del Ps, ai quali Macron ha saputo dare una “casa”. Non perché quell’elettorato magari condividesse completamente le politiche che l’ex ministro dell’economia sosteneva, ma perché in termini di approccio generale alla politica – l’europeismo, in primis – milioni di elettori vi si sono riconosciuti.

Quello che si è venuto a creare è un movimento populista-elettorale contro i partiti populisti estremisti di destra e di sinistra, che ha diviso la politica tra “riformatori” e “conservatori”, indipendentemente dal loro posizionamento sull’asse destra-sinistra. Questa posizione ha fatto saltare la tradizionale frattura tra destra e sinistra, in effetti anche facendo maggiore chiarezza sulle divisioni interne ai partiti tradizionali di destra e di sinistra rispetto al liberalismo economico, all’Europa e alla Nato, alla laicità e, da ultimo, alla guerra in Ucraina.

Oggi, anche se di quel movimento è rimasto ben poco, la coalizione di Macron rimane una forma di populismo elettorale, che si adatta ai tempi e all’opinione pubblica. Una sorta di pragmatismo elettorale, che ad oggi ha pagato almeno in termini di vittoria politica. 

Qualche problema per il presidente potrebbe però arrivare da una ri-politicizzazione della Francia lungo l’asse destra-sinistra. Un revival del binomio destra-sinistra che per ora ha come basi i due principali partiti posti agli estremi dello spettro politico. Un vantaggio per il presidente. Ma in questi anni anche i partiti agli estremi hanno dimostrato una capacità di piegare le proprie convinzioni alla “domanda” elettorale non così diversa da quella di Macron. Pertanto tra cinque anni, potremmo avere due partiti “estremi” non più così estremi.

Sembra forse essere questa la ragione per la quale il presidente cerca di “anestetizzare” le elezioni legislative, come ha detto Solenn de Royer su Le Monde. Con tentativi più o meno di successo, come con la nomina a primo ministro di Elisabeth Borne, seconda donna a ricoprire l’incarico. Un coup de théâtre che risponde alla logica di depoliticizzare i temi politici, offrendo un approccio “pragmatico”. Borne è infatti una tecnica ininterrottamente al governo dal 2017, che ha affrontato alcune delle questioni più difficili durante il primo mandato di Macron, dalla riforma dell’assicurazione contro la disoccupazione alla riforma di Sncf, la compagnia nazionale dei treni, che ha portato ai lunghi scioperi del 2019-2020. Come Macron, però, ha una storia politica di “tecnico” legata al Ps. Anche se non è mai stata una parlamentare, né una funzionaria eletta a livello locale, né tantomeno una candidata alle elezioni, Borne si considera come appartenente a quella “gauche” riformista che ha trovato nella proposta “pragmatica” del presidente un appiglio a cui aggrapparsi di fronte alla crescita dei partiti posti agli estremi del contesto politico. Borne ha poi scelto come capo di gabinetto Aurélien Rousseau, che è un comunista oltre ad essere un énarque e capo dell’Agenzia sanitaria regionale dell’Ile-de-France dal 2018 al 2021, dove ha gestito la pandemia di Covid-19 in prima linea.

Nel 2017 Macron aveva fatto ricorso come primo ministro a un uomo politico di centrodestra, nel tentativo di mettere in difficoltà lo schieramento neo/post-gollista. Oggi cerca di fare lo stesso nominando una personalità ascrivibile alla sinistra riformista in un governo dove destra e sinistra si bilanciano. L’operazione ha comunque qualche difficoltà. Damien Abad, il nuovo ministro della solidarietà, l’ex capogruppo de Les Républicains (LR) all’Assemblea Nationale, è infatti stato accusato di violenza sessuale da due donne. Anche se la procura di Parigi ha dichiarato che non aprirà un’indagine preliminare, almeno “allo stato attuale”, la questione della permanenza o meno dell’ex deputato LR nel governo rimane. E infiamma il dibattito politico.

Elsiabeth Borne

La strategia della depoliticizzazione, accompagnata dal tattico silenzio, dal pragmatismo e dalla flessibilità ideologica del presidente, può funzionare ancora. Ma non per sempre. E la questione della sopravvivenza della coalizione del presidente alla fine del suo secondo mandato è di fatto già posta oggi.

Nel 2017, i candidati macronisti erano stati selezionati da un comitato nazionale di nomina, che ha valutato le loro competenze per il lavoro. Oggi invece la scelta è stata fatta da un comitato molto ristretto che ha incluso i tre pilastri della maggioranza – Renaissance, MoDem e Horizons di Édouard Philippe – che hanno negoziato le candidature e poi la lista è stata convalidata per ogni circoscrizione da Emmanuel Macron e dai suoi consiglieri.

È un po’ il ritorno a quella “vecchia politica ” che nel 2017 il candidato Macron voleva soppiantare e relegare al ricordo di tempi lontani. La “vecchia politica” invece si è riorganizzata e ha ritrovato il proprio spazio all’interno del partito di Macron come correnti o come nuovi partiti della coalizione macroniana. I contrasti tra i macroniani di sinistra e quelli di destra sono cresciuti nel tempo, perché la posta in gioco è l’eredità politica del presidente e la futura collocazione del suo movimento all’interno dell’asse destra-sinistra.

Sono i “baroni” dell’ala sinistra del partito – gli ex socialisti Richard Ferrand e Christophe Castaner – che, per esempio, hanno fatto pressione sul presidente per la nomina di Elisabeth Borne, una personalità appunto ascrivibile al mondo del Ps.

Se dalla sinistra del partito si cerca però di spingere per un mandato presidenziale che possa tra cinque anni collocare il partito su posizioni centriste con lo sguardo rivolto a sinistra, alla destra della coalizione macroniana c’è chi agisce per indirizzare il partito verso un centrismo che guarda a destra. 

Il principale problema interno alla maggioranza presidenziale arriva infatti dalle ambizioni future dell’ex primo ministro di Macron, Édouard Philippe. L’ex primo ministro ha dovuto lottare duramente per assicurare al proprio nuovo partito un numero sufficiente di deputati, per ottenere i finanziamenti necessari alla sua sopravvivenza e alla sua futura candidatura presidenziale. L’Eliseo infatti non sembra fidarsi più del sindaco di Le Havre e teme, probabilmente, che l’ambizione presidenziale di Phillippe possa condizionare, attraverso i deputati di Horizons, il successo del secondo mandato di Macron.

In ogni caso il sistema dei partiti francesi, sconvolto dal terremoto politico del 2017, non sembra ancora aver trovato un assestamento. E i prossimi cinque anni serviranno anche a questo.

Édouard Philippe
Verso le elezioni legislative. Macron e il futuro del centro francese ultima modifica: 2022-05-31T18:58:26+02:00 da MARCO MICHIELI
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