“L’Italia e l’Europa hanno bisogno di immigrazione”. E, se siamo aperti a far entrare molte persone, “non possiamo dare il segnale che “non ci occupiamo del destino che quelle persone avranno quando si ritroveranno nelle nostre Nazioni, perché quella non è solidarietà”.
Non sono parole di Stefano Allievi o di un politico di sinistra. Sono le parole di Giorgia Meloni di apertura della Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni che si è tenuta oggi alla Farnesina, presenti – ha detto la premier – i massimi rappresentanti di oltre venti stati e diverse organizzazioni internazionali.
E’ sempre in prima fila il contrasto all’immigrazione illegale, ma c’è anche il governo di “flussi legali di migrazione”. Ben distinto dal sostegno a profughi e rifugiati. C’è quindi il riconoscimento che la gran parte dell’immigrazione verso l’Europa è immigrazione economica, non meno significativa di quella determinata da guerre e persecuzioni, che dà luogo al diritto di asilo.
Il perno dell’introduzione di Meloni ai lavori della Conferenza – contrariamente a quel che appare da qualche titolo di giornale – non è dunque il contrasto all’immigrazione economica e l’accettazione soltanto di coloro che hanno diritto di chiedere l’asilo. Bensì il proposito di stroncare (del tutto?) l’immigrazione illegale attraverso i numeri di quella legale. Nei fatti ancora non si siamo: a fronte di una richiesta di mano d’opera stimata in 833 mila unità l’immigrazione legale prevista dagli atti del Governo ammonta a 425 mila ingressi fino al 2025 compreso (Corriere della sera, 23 luglio). Insufficiente, ma molto maggiore di quanto previsto in passato, e sulla strada giusta.

Anche l’attenzione agli scafisti è rinnegata: “perché noi parliamo sempre degli scafisti, ma lo scafista è l’ultimo anello di una catena sempre più lunga in queste organizzazioni”. Quelli che si collocano nei piani alti della catena si guardano bene dal salire sui “barconi”. Quel “noi parliamo” imputet sibi, evidentemente.
Sono passati i tempi recenti della “sostituzione etnica”, lo slogan più gridato da Meloni, sostituzione che, come è evidente, avviene – se vogliamo chiamarla così – sia se l’ingresso è illegale, sia se l’ingresso è legale.
Sono passati – molto rapidamente in verità – anche i tempi del nuovo reato punito con il carcere fino a trent’anni, per gli scafisti appunto. Ora riconosciuti per quello che sono, spesso dei disperati disposti a rischiare la vita (ed il carcere in Italia) per guadagnare qualcosa.
Sono passati infine i tempi de blocchi navali, oggi delegati alla Tunisia.
Alleluia. Nel senso di manifestazione di gioia. Si può sperare che con una linea così, essendosi ufficialmente riconosciuta l’insufficienza dell’attuale legislazione, anche coloro che sono qui e si sono integrati, lavorano, magari hanno anche messo su famiglia, vengano in qualche modo regolarizzati. Che gli uffici territoriali che si occupano delle pratiche per gli immigrati siano più efficienti. Che non fissino appuntamenti (non la risposta alla domanda, solo l’appuntamento) di lì a 8, 9 mesi. Che i nostri connazionali che conoscono figli di immigrati nati in Italia smettano di stupirsi che non abbiano la cittadinanza italiana
Attendiamo il seguito, e i fatti. Per intanto non si può che essere ammirati della disinvoltura con cui Meloni si allontana dai suoi slogan principali, dai temi delle sue invettive politiche, e per ora senza perdere voti.

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