Libia e Stx, perché i pugni di Macron ci fanno così male

Il dossier libico e quello della nazionalizzazione dei cantieri di Saint Nazaire dimostrano che, anche col nuovo presidente, la politica francese non si discosta dal registro di sempre del "sistema Francia". Ma noi abbiamo veramente tutte le carte in regola per protestare?
GIANPAOLO SCARANTE
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Se il nostro rapporto con la Francia fosse un incontro di pugilato, diremmo che il pugile italiano ha ricevuto in rapida successione dall’avversario francese tre colpi duri ed efficaci. Prima un gancio destro, la dichiarata volontà di Parigi di accogliere solo i migranti con qualifica di rifugiato, quando si sa che il grande problema con cui ci confrontiamo è proprio la lunghezza e la difficoltà del processo di identificazione; poi un gancio sinistro, l’incontro sulla Libia con l’esclusione dell’Italia, ma non solo (senza l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Ghassan Salamé e senza l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue l’italiana Federica Mogherini): e infine un uppercut, repentino e doloroso, la nazionalizzazione definita “provvisoria” dei cantieri Stx France, nonostante gli accordi intervenuti fra le parti e l’avallo politico all’operazione Fincantieri manifestato dal predecessore di Macron, il presidente François Hollande.

Insomma tre colpi formidabili, che ci lasciano un po’ storditi.

Intendiamoci non è una novità che la Francia persegua i propri interessi nazionali con baldanza e determinazione, siano essi politici, economici o strategici. Sotto questo profilo, Emmanuel Macron è perfettamente in linea con i suoi predecessori, non solo quelli temporalmente a lui più vicini, Hollande e Sarkozy, ma anche con quelli un po’ più più lontani nella storia francese, in primis de Gaulle.

Agli occhi dei nostri cugini transalpini, Macron, nonostante non pochi italiani indignati gridino al tradimento, non ha rinnegato le posizioni espresse sui grandi temi del mondo nella sua travolgente campagna elettorale, la sua fiducia nel futuro dell’Europa e nel multilateralismo, la sua fede nei diritti dell’uomo e delle regole democratiche, il liberismo economico di cui egli, per la sua storia personale, è un chiaro interprete.

Solo che nell’azione concreta di governo egli ha fatto prevalere la pragmatica concezione che “la Francia viene prima”. Lo slogan France first è praticato nel paese transalpino ben prima del suo successo nella campagna presidenziale di Trump al di là dell’Atlantico. Nella percezione dei suoi elettori e di tutti i cittadini, Macron interpreta dunque correttamente e senza contraddizioni il ruolo di “presidente della Francia” e non a caso la maggior parte delle forze politiche francesi non esprime critiche a queste sue ultime iniziative, che, anzi, molto spesso condivide convintamente.

Vi solo almeno due punti importanti che sotto questo profilo rendono la Francia diversa dall’Italia.

Parigi, grazie a leggi elettorali chiare e collaudate, ha un governo ben saldo all’inizio del proprio mandato, mandato che ha la ragionevole certezza di portare a termine interamente. È un governo, è un presidente che hanno la consapevolezza di avere davanti cinque anni di lavoro e sanno soprattutto che l’impegno che oggi profondono nei diversi settori tornerà a loro vantaggio nell’arco di vita dell’esecutivo. In termini di continuità e coerenza nell’azione politica non è cosa da poco.

Inoltre, lo stesso governo può contare su di un apparato burocratico-amministrativo noto per la sua provata efficienza e con un elevato e storico senso dello Stato, il sistema delle “grandi scuole”, l’Ena ecc. Il sistema amministrativo, nel suo complesso, è il primo garante della continuità dell’azione dello Stato francese e mette a disposizione del potere politico un supporto tecnico generalmente di grande qualità che si caratterizza anche per non trascurabili dosi di autonomia.

E l’Italia? Agli occhi del mondo noi mostriamo una sarabanda di governi che si succedono a ritmi frenetici: per restare negli ultimi tre anni, ben tre governi, Letta, Renzi e Gentiloni. Circa l’autorevolezza di quest’ultimo, basti dire che, al di là della qualità della persona che lo dirige, in altri tempi si sarebbe definito “balneare”. Le elezioni politiche incombono, ma, per le ragioni che sappiamo, con nessuna garanzia di produrre un esecutivo duraturo. Gli italiani danno perfino l’impressione di voler mantenere questo insoddisfacente stato di cose, avendo rifiutato a grande maggioranza una serie di riforme costituzionali che si ponevano l’obbiettivo di parziali miglioramenti del sistema.

Il sistema dell’amministrazione italiana, per parte sua, si caratterizza per una marcata disomogeneità, che vede convivere fianco a fianco qualità e inefficienza, e negli anni ha perduto via via autonomia e autorevolezza. Supporto tecnico e volontà politica dovrebbero andare di pari passo, ma spesso nel “sistema Italia” mancano entrambe.

I cantieri navali di STX France-Saint-Nazaire

Mancano nella politica economica nazionale, dove praticamente da sempre siamo privi di sia di politiche industriali di lungo periodo che identifichino i comparti strategici del nostro sistema economico, primo passo per pensare eventualmente alla loro protezione, sia di certezze e di pratiche di intervento di natura operativa.

Nel nostro paese non sono mancate, anche recentemente, vicende comparabili a quelle dei cantieri di St. Nazaire, in settori che possono considerarsi altrettanto strategici, quale ad esempio quello delle telecomunicazioni. Molto si è discusso ma nulla di concreto si è fatto.
Quante volte abbiamo sentito ripetere con incrollabile certezza, ad esempio riferito ad alcune recenti vicende bancarie, che le nazionalizzazioni sono oggi impossibili a ragione delle inflessibili regole comunitarie.

I francesi non hanno chiesto nulla a Bruxelles, hanno deciso una nazionalizzazione in piena regola e hanno la fondata convinzione che nessuna conseguenza verrà loro dalle istituzioni della Ue. In questo caso una volontà politica forte e un adeguato supporto tecnico viaggiano insieme e i risultati – almeno sul piano dell’incisività ed efficacia dell’azione – sono chiari ed evidenti.

Questo copione si ripete anche in politica estera, settore oggi delicatissimo perché si rivolge a grandi temi tra di loro interconnessi e gravidi di conseguenze, l’instabilità mediterranea, la sicurezza, le migrazioni, la lotta al terrorismo.

La disinvoltura francese sul tema libico è assolutamente censurabile sotto molti profili, non fosse altro perché è stato lo stesso presidente francese Nicolas Sarkozy a spingere per l’intervento militare e a causare lo stato attuale di caos e anarchia che vige nel paese. Intervento militare al quale noi abbiamo contribuito abbastanza controvoglia, come noto, tanto da far dire a un diplomatico di un paese amico, con sarcasmo e esagerazione, che

l’Italia rappresenta il caso unico di paese che ha contribuito attivamente a un’azione politico-militare diretta contro i propri interessi nazionali.

Ma l’incontro di Parigi resta qualcosa di inaccettabile, non per la sostanza ma per le sue modalità. L’aver escluso e marginalizzato l’Italia non ci fa piacere ovviamente, ma l’aver escluso le Nazioni unite e l’Europa è un errore politico che intacca la credibilità di istituzioni multilaterali che restano necessarie per comporre la crisi, sia nel caso improbabile che l’intesa funzioni, sia in caso contrario.

Per quanto riguarda le Nazioni unite, viene da chiedersi perché il governo italiano non abbia almeno lottato per imporre un italiano al posto di inviato speciale per la Libia, carica poi assegnata al francofilo libanese Ghassam Salamè. Cosa non consueta disponevamo di un candidato nazionale dai requisiti impeccabili, il friulano Lamberto Zannier, reduce da due mandati positivi svolti in qualità di segretario generale dell’Osce.

Vi è inoltre un’appendice politico-diplomatica che accresce l’imbarazzo: l’inopportuna tempistica della visita di Serraj a Roma, compiuta nel viaggio di rientro da Parigi. Nel linguaggio diplomatico è un po’ come se il leader libico avesse detto “visto che siete lungo la strada del ritorno e siete interlocutori di secondo piano mi fermo a raccontarvi cosa abbiamo deciso ieri”. Un vero e proprio errore anche di “tecnica diplomatica” che sarebbe stato meglio evitare.

Detto questo, abbiamo veramente tutte le carte in regola per protestare? Non tutte, ve ne è almeno una che dovrebbe farci riflettere ed è quella di una certa inconcludenza di fondo, perlomeno negli ultimi due anni, della nostra politica estera nei confronti della crisi libica.
Per ragioni non del tutto chiare, ci siamo intestarditi in una linea di mero sostegno formale e sostanziale al leader Serraj, nonostante le evidenti difficoltà che incontra dal suo sbarco a Tripoli, la sua scarsa presa nel contesto politico libico e le persistenti deboli capacità militari.

Paolo Gentiloni incontra a Parigi Emmanuel Macron, 21/05/2017 (http://www.governo.it/media)

Come un mantra, lo indichiamo sempre nei nostri comunicati quale il primo ministro libico “internazionalmente riconosciuto”: qualità vera, ma che nel contesto libico suona più come “internazionalmente imposto” con tutto quello che ne discende.

Abbiamo di fatto politicamente ignorato il generale Haftar – in questi giorni sono certo che correremo ai ripari – attestandoci su di una linea politica formale e poco pragmatica. E abbiamo soprattutto sottovalutato il fatto che ogni possibile composizione politico-diplomatica del caos libico non può che passare anche per lo spigoloso generale, che i libici, pur con i non pochi difetti che ha, percepiscono in ogni caso come “più libico” del concorrente Serraj.

Insomma, i francesi si sono rivelati più figli di Machiavelli di noi e hanno impostato l’unica soluzione al momento possibile, abbandonare i formalismi e coinvolgere chi sul terreno conta veramente. Ed è strano perché storicamente l’approccio italiano in aree di crisi altrettanto difficili, ad esempio la Somalia degli anni Novanta, si è sempre rivelato realista e flessibile, più attento alla realtà delle cose che alle formule politico-diplomatiche.

Lasciamo dunque da parte i risentimenti e auguriamoci che gli sforzi francesi abbiano successo, è anche nel nostro interesse. Ma non dimentichiamo i nostri errori e le nostre trascuratezze: è il primo passo per non commetterli più.

Libia e Stx, perché i pugni di Macron ci fanno così male ultima modifica: 2017-07-30T18:57:11+02:00 da GIANPAOLO SCARANTE
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3 commenti

Sull’affaire Fincantieri una boxe politica tutta italiana - CURIOSANDO 31 Luglio 2017 a 11:46

[…] Scrive su Ytaly l’ambasciatore Giampaolo Scarante: “Se il nostro rapporto con la Francia fosse un incontro di pugilato, diremmo che il pugile italiano ha ricevuto in rapida successione dall’avversario francese tre colpi duri ed efficaci. Prima un gancio destro, la dichiarata volontà di Parigi di accogliere solo i migranti con qualifica di rifugiato, quando si sa che il grande problema con cui ci confrontiamo è proprio la lunghezza e la difficoltà del processo di identificazione; poi un gancio sinistro, l’incontro sulla Libia con l’esclusione dell’Italia, ma non solo (senza l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Ghassan Salamé e senza l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue l’italiana Federica Mogherini): e infine un uppercut, repentino e doloroso, la nazionalizzazione definita “provvisoria” dei cantieri Stx France, nonostante gli accordi intervenuti fra le parti e l’avallo politico all’operazione Fincantieri manifestato dal predecessore di Macron, il presidente François Hollande. Insomma tre colpi formidabili, che ci lasciano un po’ storditi”. Leggi qui il pezzo integrale   […]

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Sull'affaire Fincantieri una boxe politica tutta italiana | Iconiks 31 Luglio 2017 a 12:01

[…] Scrive su Ytaly l'ambasciatore Giampaolo Scarante: "Se il nostro rapporto con la Francia fosse un incontro di pugilato, diremmo che il pugile italiano ha ricevuto in rapida successione dall’avversario francese tre colpi duri ed efficaci. Prima un gancio destro, la dichiarata volontà di Parigi di accogliere solo i migranti con qualifica di rifugiato, quando si sa che il grande problema con cui ci confrontiamo è proprio la lunghezza e la difficoltà del processo di identificazione; poi un gancio sinistro, l’incontro sulla Libia con l’esclusione dell’Italia, ma non solo (senza l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Ghassan Salamé e senza l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue l’italiana Federica Mogherini): e infine un uppercut, repentino e doloroso, la nazionalizzazione definita “provvisoria” dei cantieri Stx France, nonostante gli accordi intervenuti fra le parti e l’avallo politico all’operazione Fincantieri manifestato dal predecessore di Macron, il presidente François Hollande. Insomma tre colpi formidabili, che ci lasciano un po’ storditi". Leggi qui il pezzo integrale   […]

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Sull'affaire Fincantieri una boxe politica tutta italiana | You Buyz 1 Agosto 2017 a 11:36

[…] Scrive su Ytali l'ambasciatore Gianpaolo Scarante: "Se il nostro rapporto con la Francia fosse un incontro di pugilato, diremmo che il pugile italiano ha ricevuto in rapida successione dall’avversario francese tre colpi duri ed efficaci. Prima un gancio destro, la dichiarata volontà di Parigi di accogliere solo i migranti con qualifica di rifugiato, quando si sa che il grande problema con cui ci confrontiamo è proprio la lunghezza e la difficoltà del processo di identificazione; poi un gancio sinistro, l’incontro sulla Libia con l’esclusione dell’Italia, ma non solo (senza l’inviato speciale dell’Onu per la Libia Ghassan Salamé e senza l’Alto rappresentante per la politica estera della Ue l’italiana Federica Mogherini): e infine un uppercut, repentino e doloroso, la nazionalizzazione definita “provvisoria” dei cantieri Stx France, nonostante gli accordi intervenuti fra le parti e l’avallo politico all’operazione Fincantieri manifestato dal predecessore di Macron, il presidente François Hollande. Insomma tre colpi formidabili, che ci lasciano un po’ storditi". Leggi qui il pezzo integrale   […]

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