Siria, il patto a tre regge. Col grande disappunto di Israele, l’inquietudine americana, l’ira saudita.
Pochi mesi fa, si era recato a Mosca convinto di poter riavvicinare alle ragioni d’Israele il suo interlocutore russo. Un obiettivo ambizioso, quello di Benjamin Netanyahu, incoraggiato dalla cordialità manifestatagli in quell’occasione dall’uomo di ghiaccio che regna sulla Russia: Vladimir Putin.

Benjamin Netanyahu e Vladimir Putin, agosto 2017
Un mese dopo, il premier d’Israele ha preso atto che la sua era stata una illusione e che “Vladimir d’Arabia” non solo non ha sposato le ragioni d’Israele ma ha ancor più rafforzato il “patto di Sochi” con l’Iran e la Turchia. E questo per Israele è un problema enorme, con le sue implicazioni militari e politiche. Perché su ogni scenario delle guerre siriane post-Isis, a dare le carte è sempre la Russia.

I vertice di Sochi (Russia Iran e Turchia) sulla questione siriana, novembre 2017
È stato il Cremlino a dare luce verde ad Erdoğan per muovere l’attacco contro le milizie curde siriane dell’Ypg ad Afrin, nel nord-est della Siria. Ed è sempre lui, il presidente russo ad aver garantito all’alleato iraniano un posto al sole nella definizione della “nuova Siria” post-Assad.

Vertice di Sochi, il presidente russo Putin e quello turco Erdoğan
Amos Harel, analista di punta di Haaretz, rimarca:
L’Iran ha già fatto leva sull’operazione militare di sabato per ottenere una dichiarazione secondo cui Israele non può più operare in Siria. Questa preoccupante dichiarazione è stata emessa dalla Russia, che ha ospitato Netanyahu il mese scorso: Mosca ha esortato Israele a rispettare la sovranità siriana ignorando completamente le infiltrazioni dei droni iraniani in Israele. La Russia, che pure ha ricevuto cortesemente Netanyahu, continua a coordinare con Iran e Siria anche le loro mosse contro Israele”.
Secondo quando riportato negli ambienti diplomatici, Israele ha esortato la Russia a intervenire e prevenire ulteriori escalation nella regione. Mosca ha il pieno controllo della situazione in Siria. Gestisce lo spazio aereo e sa quando gli avversari decidono di colpirsi a vicenda. Israele ha potuto colpire i convogli di Hezbollah, le forze siriane e le basi iraniane grazie al placet più o meno tacito del Cremlino. Impossibile pensare che Israele abbia agito senza l’ok di Mosca in questi mesi, soprattutto quando nelle vicinanze c’erano reparti russi. E stessa cosa si deve pensare, a questo punto, dell’attacco di questi giorni di Israele. Scrive ancora Haaretz:
È il presidente Putin a guidare il gioco in Siria e a stabilire le regole sul terreno. Israele può attaccare obiettivi siriani, iraniani e di Hezbollah, ma solo se non mette in difficoltà il regime di Bashar al Assad. Per ora la Russia non permette all’Iran di stabilire grandi basi in Siria o di avvicinarsi troppo al confine del Golan con Israele. Ma ciò non significa che l’Iran lascerà la Siria.
La questione è molto semplice. La Russia ha bisogno di Iran e di Hezbollah per permettere all’esercito siriano di controllare il Paese. Non può abbandonare i suoi alleati in questo momento né lo farà. Zvi Bar’el è il decano degli analisti militari israeliani, i suoi articoli sono la prima lettura nei comandi di Tsahal e al ministero della difesa di Tel Aviv. Annota Bar’el:
La Russia che ha rinnovato vigorosamente i suoi attacchi nella provincia di Idlib nel tentativo di sconfiggere le forze ribelli e aiutare l’insediamento nella città e nel distretto del regime, ha bisogno dell’assistenza delle milizie filo-iraniane nell’area per completare l’operazione. Questa necessità operativa pone Mosca in una situazione di difficile compromesso: tra il suo desiderio di limitare l’influenza iraniana; e il suo obiettivo di porre fine al conflitto militare a favore del regime siriano, in cui l’Iran svolge un ruolo cruciale, con i suoi Pasdaran e gli hezbollah sciiti libanesi.
E prosegue così la sua analisi:
Il coinvolgimento israeliano potrebbe, quindi, non solo deviare il focus dei combattimenti su un fronte inaspettato. Inoltre costringerebbe la Russia ad adottare una strategia apertamente pro-iraniana, quando finora ha cercato di camminare su una linea confusa, riuscendo a mantenere il coordinamento con tutti i lati. Il coinvolgimento israeliano potrebbe anche influenzare il marchio della guerra in Siria dall’essere una lotta interna a una guerra contro Israele, rafforzando così la posizione dell’Iran, quella di Hezbollah e di alcune milizie jihadiste, dando argomenti alla propaganda siriana e iraniana secondo cui sono Israele e gli Stati Uniti a voler perpetuare la guerra.
Di conseguenza, la strategia dichiarata da Israele di impedire alle forze iraniane di stabilirsi in Siria non può ignorare la rete di considerazioni diplomatiche che dettano le azioni di Russia, Iran e Turchia in Siria. Almeno nel prossimo futuro, questi tre Paesi continueranno a coordinare le loro azioni come alleati e faranno uno sforzo per tenere fuori dalla scena altre entità, come Israele e gli Stati Uniti – specialmente dopo che sono riusciti a bloccare qualsiasi mossa diplomatica o militare di Washington in Siria”.
Un passo indietro nel tempo. Ventotto agosto 2017: Netanyahu si reca a Mosca accompagnato dal capo del Mossad Yossi Cohen, il capo del consiglio per la sicurezza nazionale Meir Ben-Shabbat e il ministro del Likud Zeev Elin, russofono, che svolge funzioni di interprete. È il quarto viaggio a Mosca del premier in meno di un anno e mezzo. Il vertice, in pratica una riunione di emergenza, arriva dopo che nelle ultime settimane l’esercito siriano ha riconquistato tutta la Siria centrale, circa un quinto del Paese, strappata all’Isis, ormai sull’orlo della disfatta.

Agosto 2017
A Putin, Netanyahu illustra la nuova linea rossa d’Israele in Siria: e se l’Iran continuerà a espandere la sua presenza militare in Siria lo stato ebraico è pronto a bombardare il palazzo di Assad e obiettivi iraniani. Il palazzo del raìs è ancora in piedi, ma nel mirino di Tsahal, mentre gli obiettivi iraniani sono diventati bersagli per gli F-16 con la Stella di David.
Ho avvertito da tempo sul pericolo di un Iran che si è asserragliato militarmente in Siria. L’Iran cerca di usare il territorio siriano per attaccare Israele, per il suo dichiarato obiettivo di distruggere Israele. L’Iran ha sfacciatamente violato la sovranità di Israele, e noi abbiamo esercitato e continueremo a farlo, il nostro diritto-dovere di difesa.
ribadisce Netanyahu, aggiungendo, però, che “il coordinamento con l’esercito russo” sulla Siria “continuerà.
Il rischio è che la seconda guerra siriana deflagri in Libano e porti a un nuovo confronto armato tra Israele ed Hezbollah. Un conflitto molto più duro di quello del 2006, perché in questi dodici anni, il Partito di Dio sciita, grazie soprattutto al sostegno iraniano, ha rafforzato e di molto il suo arsenale. Principali fornitori di armi, sono Corea del Nord anche se per via indirette, Iran, Siria e Russia oltre quello che viene fabbricato in loco.
Katiusha è il nome confidenziale del sistema d’arma RS-132, un lanciarazzi sovietico della seconda guerra mondiale. Un razzo di una portata tra 12-25 chilometri che non ha una un’importanza strategica, nonostante la forte capacità distruttiva di questa arma che serve per produrre panico tra la popolazione civile. Il Partito ne possiede, secondo il sito libanese “albainah,” almeno tredicimila testate. E poi c’è Zeilal (Terremoto). “Terremoto”, è un razzo iraniano di seicentodieci millimetri che può trasportare una testata di seicento chili per una gittata fino a centocinquanta chilometri. Si tratta di una versione copiata del missile sovietico Frog-7 “che può raggiungere Tel Aviv” come riferisce la tv libanese al Mayadeen secondo la quale Hezbollah ne possiede “tra dieci e ventimila” testate.
A partire dall’agosto 2006, sembra che l’Iran avesse fornito Hezbollah Zelzal-2, una versione più sviluppata anche se non ci sono state conferme di questa fornitura. Secondo il sito French Intelligence, gli Hezbollah starebbero costruendo almeno due installazioni in Libano, dove produrre missili ed armamenti. Sebbene questa notizia circolasse da tempo sui siti arabi, il sito francese ha fornito maggiori dettagli su queste due strutture, indicandone la posizione e la tipologia di armamenti prodotti.
Una prima struttura si troverebbe nei pressi di Hermel, nella Bekaa, mentre la seconda sarebbe posizionata tra Sidone e Tiro. Nella prima installazione verrebbero prodotti razzi Fateh110 capaci di colpire quasi con un discreto livello di precisione. Nel complesso situato sulla costa mediterranea invece verrebbero fabbricate munizioni di piccolo calibro. Non è chiaro il numero dei combattenti di Hezbollah. Ma secondo una inchiesta della rivista Usa Newsweek, nel 2016 il partito poteva contare su “un esercito composto da ventimila combattenti effettivi e venticinquemila riservisti”, rendendo l’armata di Allah “pari come numero ad un esercito di uno Stato di dimensioni medie”. Un esercito che “potrà mandare in Israele i suoi combattenti su motociclette”.
Gli analisti militari israeliani non si pongono più il problema del “se” ma del “quando” ci sarà la resa dei conti con Hezbollah e i costi che Israele dovrebbe sopportare, in termini di vite umane e di investimenti aggiuntivi nella difesa. Gli analisti dell’International Crisis Group, uno dei più autorevoli think tank geopolitici israeliani, sostengono che
I russi hanno ancora tempo per evitare un conflitto totale proteggendo così l’investimento di questi anni per la sopravvivenza del regime e le vite di siriani, israeliani, libanesi.
Ma questo tempo si fa sempre più limitato. Israele sa che una nuova guerra in Siria e Libano, che coinvolgerebbe direttamente l’Iran, comporterebbe un prezzo altissimo, in vite umane, molto superiore a quello del conflitto con Hezbollah dell’estate 2006. Ed è per questo che, nonostante tutto, Netanyahu confida ancora nel “Garante russo”.

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