La prima donna ad ottenere un mandato esplorativo fu Nilde Iotti, nell’aprile del 1987, quando era presidente della Camera già da molti anni. Fu l’allora presidente della repubblica Francesco Cossiga – con il quale i rapporti furono assai alterni, e talora anche assai tesi – a scegliere per la prima volta per questo incarico non solo una donna e per giunta una comunista. Perché era esplosa la crisi di un governo pur a larghissima maggioranza presieduto per la seconda volta da Bettino Craxi e che contava sull’appoggio non solo dei socialisti ma anche della Dc, del Pri, e inoltre di socialdemocratici, liberali, sudtirolesi e Union Valdotaine?
C’era un patto, definito della staffetta, per cui alla presidenza Craxi dovesse succedere una presidenza del democristiano Ciriaco De Mita. Dimissioni di Craxi, crisi assai difficile per impedire a De Mita di succedere, rissa tra i due principali partiti dell’epoca. Cossiga affidò a Iotti l’incarico di consultare tutti e di valutare le possibilità di superare la crisi senza andare ad elezioni anticipate.
Gelo a Botteghe Oscure, sia per l’incarico alla presidente comunista della Camera, e sia perché l’operazione metteva in qualche oggettiva difficoltà il partito nel proporre una strategia alternativa. Comunque l’esplorazione confermò (contro l’opinione del Pci) la inevitabilità del voto anticipato. Ma restò il dato politico della scelta di Nilde Iotti. Poi le cose cambiarono e i rapporti pure. Ma la presidente non se ne curò più di tanto, preoccupata solo che le tensioni non intaccassero più di tanto la regolarità dei rapporti istituzionali.

Nilde Iotti tra Giulio Andreotti e Francesco Cossiga
Rapporti che si incrinarono pochi anni dopo, all’indomani del successo del referendum sulla preferenza unica, nel giugno 1991. Qui venne il gesto più forte e sicuramente il più fiero compiuto dalla presidente Iotti nei tredici anni al vertice di Montecitorio. Si era appena ad un anno della conclusione naturale della decima legislatura, la terza e presumibilmente l’ultima da lei presieduta. Bettino Craxi approfittò di quel voto per teorizzare (lui, ma non il presidente del consiglio, Giulio Andreotti) che la sorte della legislatura fosse segnata da una pretesa delegittimazione di un parlamento (“un parco buoi” come l’aveva graziosamente definito) eletto con il vecchio sistema.
Iotti non ebbe dubbi: anticipò il dubbioso presidente del Senato Giovanni Spadolini e si espose pubblicamente con un “no” intransigente allo scioglimento anticipato delle Camere. Un “no” dettato non certo dall’intendimento di blandire l’interesse corporativo dei deputati ma per affermare il principio che la sorte e l’autorità di una istituzione suprema come il Parlamento non potevano né possono essere piegate all’interesse contingente dell’una o dell’altra parte politica. Vinse la partita, Iotti, anche contro il trasparente sostegno di Cossiga alla tesi di Bettino Craxi. Non da sola, certo, ma aiutata dal rilevante suo peso istituzionale en dalla sua forte influenza politica.

Bettino Craxi e Ciriaco De Mita
Capitolo chiuso? Sarà una coincidenza ma fu in quelle stesse settimane che giunse alle orecchie dei più stretti collaboratori di Iotti una indiscrezione: Francesco Cossiga, allora nel pieno del suo picconaggio dal Quirinale, intendeva offrire, come discretamente offrirà alla presidente della Camera, il seggio di senatrice a vita. Un gesto di considerazione o, come qualcuno riterrà con perfidia pari all’intensità delle polemiche contro tutto e contro tutti scatenate dal Colle, una operazione all’insegna dell’antica pratica del promoveatur ut admoveatur? Fosse o meno quest’ultimo il disegno che, ripeto, si inseriva comunque in un momento di tensione tra i due Palazzi, certo è che Iotti sarebbe stata costrette a lasciare anzitempo la presidenza della Camera per una gratificazione non richiesta né voluta.
Nilde Iotti consultò solo i suoi più stretti collaboratori, ma aveva già deciso. Prima dunque che l’indiscrezione trapelasse, come in effetti più tardi accadde, la presidente scrisse a Cossiga per stoppare la nomina.
Qui sono stata chiamata dalla fiducia dei colleghi, e qui resto per rispettarne la volontà
espressa dall’oramai lontano 1979 con sempre rinnovata, larghissima e crescente messe di voti a scrutinio segreto. Era il suo, un biglietto manoscritto che fece avere per motociclista a Cossiga.
Non ci fu replica. Ma soprattutto non ci fu “notizia”. Particolare significativo del personaggio: la discrezione innata e la delicatezza della contingenza giunsero al punto che Nilde Iotti pregò chi sapeva (solo tre persone, cui mancò persino il tempo di fotocopiare il biglietto per l’archivio) di non far parola del suo rifiuto dettato non certo da orgoglio personale, ché il laticlavio a vita avrebbe comunque siglato una straordinaria vita dedicata al Paese. E nessuno fiaterà per anni, sino al 19 novembre 1999, all’indomani delle dimissioni da deputata di Iotti, oramai così gravemente malata da morirne appena due settimane dopo. Allora, senza neppure interpellarla, mi considerai sciolto dal vincolo e, a suo onore, rivelai la vicenda sull’Unità. Non ci fu smentita.
Ma ci fu, di questa storia esemplare, un penoso seguito. Nel 2001 l’aveva rispolverata e stravolta, a proprio uso e consumo, l’oramai scomparso ex deputato dc, ex ministro ed ex presidente del consiglio Emilio Colombo. In una intervista a La Stampa invocò, anzi pretese senza alcun pudore, la nomina a senatore e vita. E per sostenere la sua richiesta s’impancò in un ragionamento a dir poco singolare. Protestò Colombo che
una sciagurata interpretazione più restrittiva della norma
che affida al Quirinale la nomina di cinque senatori a vita (se cioè ciascun presidente possa nominarne cinque o se più correttamente sempre e solo cinque siano i senatori a vita in carica) entrò in vigore
proprio quando, vox populi, stavamo per essere nominati io e la Iotti. Ora [aggiunse Colombo con elefantiaca delicatezza] la Iotti è andata all’altro mondo ma io, grazie a dio, sono rimasto in questo e al Senato voglio andarci.
Pretesa poco più tardi soddisfatta da Carlo Azeglio Ciampi. Alla stupefacente sortita di Colombo replicai sulla stessa Stampa. Francamente, scrissi, non so come (non) sia andata per Colombo ma so benissimo come e perché Nilde Iotti non volle la nomina a senatrice a vita. A sua volta Colombo smentì quanto gli serviva smentire ai fini dell’agognata nomina ma non i reiterati, irriguardosi riferimenti a Iotti. Il cronista de La Stampa confermò tutta la grossolana lamentazione di Colombo.
E come quando rivelai il “no” di Nilde Iotti al seggio senatoriale, così quando replicai a Colombo non ci fu commento di Cossiga.

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