Le elezioni del 24 giugno in Turchia, che vedranno entrare in vigore il nuovo sistema presidenziale, sembrano aver scosso l’opposizione da un torpore durato quindici anni. Fondamentale in questo frangente sembra essere stata Meral Akşener, 61enne veterana della destra nazionalista che di recente è tornata alla ribalta alla guida di un nuovo partito che sfiderà il presidente Recep Tayyip Erdoğan nelle imminenti votazioni.
Akşener, già parlamentare negli anni Novanta, fu nel 1996-97 la prima donna a ricoprire la carica di ministro degli interni, prima della caduta della coalizione al potere a opera dei militari. Di estrazione rurale ma professoressa universitaria di professione, continuò la sua carriera politica come parlamentare dell’ultranazionalista Partito del Movimento Nazionalista (MHP) dal 2007. Fu tuttavia gradualmente marginalizzata a partire dal 2015, con il riavvicinamento dell’anziano leader del partito Devlet Bahçeli alle posizioni di Erdoğan e del suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP).
Akşener contestò la sempre più stretta vicinanza tra i due partiti, e si mise a capo di una fazione interna al MHP, e abbastanza popolare, che mirava a sostituire Bahçeli con un politico più energico e carismatico, per rinverdire le sorti degli (ex) Lupi Grigi e cambiare traiettoria politica.
Il progetto fu però osteggiato e fatto fallire dal supporto dell’AKP a Bahçeli e dalla sua influenza sul sistema giudiziario: il tentativo di Akşener e dei suoi partigiani venne dichiarato invalido e Akşener stessa venne quindi espulsa dal MHP nel settembre 2016.
Lungi dal decretarne la morte politica, questo avvenimento fu l’inizio di un ritorno alla ribalta. Nella campagna per il referendum in favore di un sistema presidenziale di aprile 2017 – vinto alla fine da Erdoğan anche grazie al supporto di Bahçeli – Akşener ebbe un ruolo di primo piano.
L’ex-ministro, ormai apartitica, fu una delle più veementi voci del “no”, tenendo comizi in varie parti del paese alla stregua dei partiti d’opposizione. Il passo successivo fu la creazione di un nuovo partito, chiamato Buon Partito (IYI Parti), nell’ottobre 2017, al quale ben presto aderirono cinque parlamentari (quattro dal MHP di Bahçeli e uno dal kemalista Partito Repubblicano del Popolo – CHP).
È alla guida di questo partito che Akşener si presenta alle elezioni di giugno: previste inizialmente per l’autunno 2019, il fatto che le elezioni siano state anticipate indica preoccupazione sul risultato dell’anno prossimo e dubbi sulla presenza in parlamento del MHP, i cui elettori stanno invece preferendo AKP e IYI Parti.
L’unico candidato donna non ha comunque vita facile: già un primo ostacolo alla sua candidatura, posto ad aprile ricorrendo a cavilli legali, è stato aggirato con un trasferimento di quindici parlamentari dal CHP allo IYI Parti.
Mentre la coalizione al governo – Erdoğan e il suo vassallo Bahçeli – si prepara alla battaglia, la maggior parte dell’opposizione si sta coalizzando nella cosiddetta “Alleanza della Nazione”, composta da IYI, CHP e da due partiti minori. In questo modo la coalizione mira ad annullare l’elevata soglia elettorale del dieci per cento (che renderebbe ininfluenti i voti dei partiti più piccoli, fatto particolarmente vantaggioso per l’AKP di Erdoğan) e a presentare un unico candidato presidenziale da opporre a Erdoğan.
Tuttavia, è stata proprio Akşener a mettere a repentaglio tale progetto. In primo luogo la leader dello IYI Parti ha insistito nel candidarsi alla presidenza nonostante l’accordo della coalizione di presentare un unico candidato comune. Tale accordo è comunque naufragato dopo il rifiuto di Abdullah Gül, ex-presidente della Repubblica, co-fondatore dell’AKP con Erdoğan ma critico della sua deriva autoritaria, di presentarsi come candidato dell’opposizione: ogni partito schiera quindi un proprio candidato alla presidenza.
In secondo luogo, Akşener si è opposta fermamente all’inclusione del filo-curdo Partito Democratico dei Popoli (HDP) nella coalizione, minacciando di ritirarsi dalla stessa nel caso in cui questa formazione politica fosse inclusa. Vi è infatti mutuo astio tra Akşener e i curdi – circa il venti per cento degli elettori – i quali difficilmente perdoneranno il background ultranazionalista della leader dello IYI Parti e il ricordo del suo ministero, caratterizzato da abusi dei diritti umani, sparizioni e omicidi extragiudiziali nel sud-est a maggioranza curda durante la lotta armata negli anni Novanta.
Questa possibile debolezza elettorale è comunque ampiamente controbilanciata: lo IYI Parti è infatti l’unico tra i partiti in gara a condividere la base elettorale con l’AKP, la destra conservatrice maggioritaria in Turchia e tanto cara a Erdoğan, e per questo potrebbe riuscire a erodere il sostegno che l’AKP gode nelle sue roccaforti anatoliche.
Allo stesso tempo il carisma di Akşener – fondamentale nel destare dal torpore l’opposizione turca e tanto più significativo in quanto donna elegante e istruita in un mondo politico maschile – e le sue promesse elettorali potrebbero guadagnarle l’appoggio di varie sezioni dell’elettorato, tra nazionalisti, islamisti, kemalisti e liberali. Akşener deve anche fare i conti con l’ascesa del carismatico Muharrem İnce, candidato dell’alleato CHP, con cui però si contende una parte dell’elettorato, e con il quasi totale silenzio dei media, ormai in maggioranza schierati col governo.
Il Buon Partito si propone di porre fine al crescente autoritarismo e ristabilire lo stato di diritto, riallacciare i rapporti con l’Occidente e ritornare al sistema parlamentare. Akşener è aspramente critica della Turchia attuale, in particolare della partigianeria necessaria per trovare un impiego.
Musulmana devota ma non islamista, ora sta cercando di lasciarsi alle spalle l’immagine quasi fascista del MHP per ampliare il suo richiamo elettorale, in particolare fra le donne. Le stime sul risultato elettorale del Buon Partito sono molte e non univoche: secondo alcuni Akşener sconfiggerà Erdoğan, secondo altri non riuscirà a raggiungere il dieci per cento dei voti.
Quello che è certo è che il voto dei curdi rappresenta un’incognita fondamentale qualora Akşener arrivi a sfidare il presidente in carica al secondo turno elettorale.

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