Il difficile momento storico che stiamo attraversando a causa dell’emergenza sanitaria è foriero di tensioni sociali e di contraccolpi politici, per molti versi dagli esiti incerti. Pur tuttavia, in molti ambiti, non manca chi intravvede un’occasione straordinaria per attuare e realizzare quelle riforme che in molti settori, da troppi anni, il nostro paese attende. Si pensi al sistema tributario, al mondo del lavoro, alla pubblica amministrazione, ai trasporti, solo per fare alcuni esempi.
Venezia, naturalmente, non fa eccezione: per la città lagunare, un ambito di fondamentale importanza per le sue ricadute economiche, politiche, sociali e ambientali è il porto. Si tratta di una realtà che negli ultimi decenni ha subito profonde trasformazioni, dove il contemporaneo manifestarsi di diversi fenomeni, locali e globali, ne ha profondamente mutato la natura.
Si pensi alla trasformazione produttiva di Porto Marghera, col passaggio dall’industria di base alla produzione manifatturiera e alla logistica, all’evoluzione della localizzazione geografica della manifattura europea, dai paesi dell’Europa occidentale e quelli dell’Europa centro-orientale (più vicini al Nordest italiano). Si considerino, inoltre, i fenomeni mondiali della re-industrializzazione costiera della manifattura, la tendenza portocentrica della concentrazione industriale, che vede il localizzarsi delle industrie nei territori prossimi ai mercati di sbocco, e il gigantismo navale, con la costruzione di navi di dimensioni sempre maggiori.
Un ulteriore aspetto che deve far riflettere in merito al destino della portualità veneziana è l’impatto dei cambiamenti climatici, che imporrà da subito delle scelte ferme e decise per la salvaguardia del patrimonio ambientale e culturale dell’intera laguna di Venezia.
Senza uno sguardo ampio, generale e di lungo periodo, nel giro di pochi anni le criticità del sistema rischiano di diventare irrisolvibili.
I progetti avanzati negli ultimi anni in tal senso non mancano, se ne possono contare almeno tre:
- quello che prevede la costruzione di un porto d’altura, al largo delle bocche di porto, in grado di accogliere le grandi navi commerciali in arrivo dall’Oriente e di trasbordare i carichi verso le banchine del porto con navi più piccole.
- Il progetto che prevede la costruzione di un terminal d’altura a largo di Chioggia, collegato con l’entroterra da un ponte automobilistico e ferroviario, che permetta di convogliare le merci verso i mercati di destino.
- Infine, un terzo progetto, che prevede l’adeguamento della conca di navigazione alle bocche di porto per permettere l’ingresso delle navi a Porto Marghera e l’inserimento dello scalo veneziano in una alleanza più stretta con gli altri scali dell’Alto Adriatico, in modo da garantire una collaborazione tra i porti.
Nonostante il contesto, le criticità sempre più pesanti, le necessità impellenti di risolverle al fine di evitare il declino di un vasto territorio e i progetti sul tavolo, la politica veneziana sembra incapace di avanzare proposte concrete che vadano al di là della oramai sterile contrapposizione tra i favorevoli e i contrari alla crocieristica (settore, beninteso, importante per l’economia locale). In queste settimane di campagna elettorale molti esponenti politici di primissimo piano si schierano (legittimamente) al fianco dei lavoratori del settore, che vedono in pericolo il proprio posto di lavoro.
Dal sindaco Luigi Brugnaro, che, rivendicando i progetti proposti per portare le Grandi Navi da crociera a Marghera, mantenendo le più piccole alla Marittima, attraverso lo scavo del canale Vittorio Emanuele, accusa che “tutto è in mano al governo: dagli scavi che continuano a rinviare al Mose. I mandanti sono a Roma, ma i traditori sono a Venezia”. Al candidato sindaco per la coalizione di centrosinistra, il sottosegretario Pier Paolo Baretta, che ribadisce l’importanza della crocieristica per la città e propone “soluzioni transitorie” per evitare il rischio di trasferire definitivamente le navi da crociera a Ravenna e Trieste.
Sempre in relazione alle proteste degli ultimi giorni dei lavoratori del settore crocieristico, Andrea Martini, presidente della Municipalità, candidato della lista Tutta la Città insieme, accusa “coloro che hanno guidato in questi anni la politica cittadina” di aver semplicemente “cavalcato la protesta dei lavoratori”, senza aver “mai accettato di parlare di soluzioni alternative e praticabili”, che puntino all’ingresso in laguna solo di navi di adeguate dimensioni e all’avvio concreto della costruzione di un porto al fuori di essa. Oppure Marco Gasparinetti, candidato per Terra e Acqua 2020, che propone di consentire l’accesso in laguna “solo alle navi compatibili”.
Non mancano, tuttavia, le voci che tentano di affrontare la questione nella sua complessità, come quella dello storico Giuseppe Saccà, volto nuovo del Partito Democratico, candidato per la prima volta al consiglio comunale, che, schierandosi naturalmente al fianco dei lavoratori e delle loro famiglie, auspica al contempo l’estromissione dalla laguna di tutti i gigantismi navali, in grado di pervenire alla “sicurezza e salute dei cittadini, alla tutela ambientale e alla salvaguardia di Venezia stessa”, “senza farsi ammaliare da progetti faraonici”. Un punto di vista che si pone l’obiettivo di “ripensare l’intero sistema portuale che sarà messo a dura prova nei prossimi anni anche dai cambiamenti climatici e dal Mose (nella speranza che funzioni)”.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, la classe politica veneziana ha avanzato il progetto per una Grande Venezia che, pur tra contraddizioni e incompletezze, ha permesso lo slancio dell’ex Serenissima verso la terraferma, con l’edificazione di Porto Marghera prima e di Mestre poi. Sarà in grado, la classe dirigente che uscirà dalle urne i prossimi 20 e 21 settembre, assieme al governo centrale, di proporre un progetto altrettanto decisivo per il futuro di questa città?
Copertina: Porto Marghera (foto di Fabio Morassutto)

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