“Come foglie al vento”. Nonno Riccardo racconta ai nipoti

Nel suo ultimo libro Calimani lascia una testimonianza ai nipoti su quanto accadde a Venezia e in tutta Italia alle Comunità ebree dal 1938 al 1945. Otto anni che portarono terrore e marcarono la vita e la morte di milioni di ebrei nel mondo vittime delle persecuzioni nazifasciste.
BARBARA MARENGO
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Inizia come una favola, di quelle che i nipoti chiedono ai nonni di raccontare accoccolati sul divano: Caterina e Alessandro, di fronte al nonno Riccardo, chiedono cos’è quella piccola placca che sembra d’oro, con un nome e delle date incise. Una pietra lucente che i bambini vedono tutti i giorni entrando e uscendo di casa, un indelebile segno, che a Venezia e in molte altre città italiane serve “a far inciampare i nostri pensieri, a costringerci a ricordare.”

Riccardo Calimani ha scritto Come foglie al vento per lasciare una testimonianza ai nipoti su quanto accadde a Venezia e in tutta Italia alle Comunità ebree dal 1938 al 1945. Otto anni che portarono terrore e marcarono la vita e la morte di milioni di ebrei nel mondo vittime delle persecuzioni nazifasciste, e di migliaia di ebrei italiani che a volte increduli “tra incertezze e contraddizioni” subirono sorti drammatiche. In questo libro appaiono nomi e date delle deportazioni di cittadini italiani di religione ebraica che dopo la promulgazione delle leggi sulla difesa della razza del 1938 furono prelevati dalle loro case nel corso di crudeli retate e internati verso lo sterminio. 

Il ghetto di Venezia oggi

Le pietre d’inciampo sono state ideate dall’artista tedesco Günter Demning nel 1992 e da trent’anni rappresentano, inserite sulla pavimentazione urbana, la memoria dei deportati nei campi di sterminio ebrei, e non solo. Blocchetti di ottone di dieci centimetri di lato, in decine di paesi in Europa, in decine di città, e ogni anno di nuove si aggiungono alle prime, man mano che le ricerche storiche sulla sorte dei deportati vengono alla luce. Oltre settantamila, fino a oggi, e ogni anno la posa continua con cerimonie pubbliche dentro e fuori dai ghetti, da Roma a Venezia, da Padova a Napoli.

Calimani, autore di decine di pubblicazioni storiche sull’ebraismo italiano e veneziano in particolare, coglie l’occasione per fare il punto con acribia di ogni proclama, provvedimento, decreto, che a partire dal settembre 1938 colpì e discriminò pesantemente gli ebrei fino alle deportazioni degli anni Quaranta.

Il ghetto di Venezia oggi

Alessandro e Caterina, i nipoti affascinati dalla pietra luccicante nella calle di Venezia che da secoli è città delle famiglie d’origine, con un incipit narrativo, conoscono i nomi di nonni e bisnonni, che vivevano nel ghetto di Venezia (il primo istituito al mondo nel 1516) e che parlavano l’ebraico-veneziano, una mescolanza di lingue portate da Askenaziti e Sefarditi con parole veneziane. Una storia che s’intreccia con quella della Serenissima Repubblica di San Marco. Nei suoi territori accolse genti da ogni latitudine, con cognomi come quello dell’autore, i Calimani che giunsero dalla valle del Reno con il nome di Kalonymos, in greco “buon nome”, dinastia di rabbini e scrittori che dal XIV giunsero in Italia. Da Baghdad a Lucca, da Magonza ad Arles… la famiglia del ramo veneziano da cinquecento anni s’installa a Venezia. Alessandro e Caterina non sanno nulla del dialetto “segreto” parlato nel passato da bisnonni e nonni, né possono immaginare l’atmosfera in Ghetto nella Venezia del 1940: uno squarcio nella narrazione, paura, incredulità, insicurezza dopo le espulsioni dai posti di lavoro e dalla scuola di cittadini di religione ebraica, che si stringevano increduli attorno alle cinque Sinagoghe del Ghetto Vecchio, Novo e Novissimo, che nei secoli avevano accolto migliaia di famiglie.

Da “persecuzioni parziali” verso i quasi cinquantamila ebrei italiani e i 1200 veneziani alle prime azioni violente contro gli ebrei cittadini, diversi dei quali avevano anche aderito al Partito nazionale fascista e alcuni ne ricoprivano cariche importanti. Il disorientamento era totale in tutte le comunità ebraiche europee, in Italia una “persecuzione parziale” e una discriminazione tra ebrei convertiti e coppie miste acuiva sospetti e incertezze, in un clima di istigazione all’odio e teoria del capro espiatorio che voleva gli ebrei colpevoli di tutto tramite una “campagna di stampa capillare e martellante” con articoli diffamatori che a Venezia nel 1940 sfociarono in manifestazioni violente contro le case degli ebrei. Procedevano in parallelo le fallimentari campagne d’Etiopia e di Albania e le operazioni belliche a traino dell’alleato nazista. L’illusione che dopo l’8 settembre e relativa firma dell’armistizio l’incubo antisemita potesse finire si scontrò al contrario con l’acuirsi delle persecuzioni da parte dei nazisti inferociti coadiuvati da fascisti inveterati e in qualche caso da stessi appartenenti alle comunità ebraiche. 

Calimani, a questo proposito, racconta ai nipoti di una data, quel 16 settembre 1943 che doveva essere giorno di festa per il matrimonio di Angelo e Fausta Brandes, genitori di Riccardo e bisnonni di Caterina e Alessandro: quel giorno durante i festeggiamenti in ghetto arrivò la notizia del suicidio di Giuseppe Jona, medico e presidente della Comunità, che rifiutò di consegnare ai nazisti l’elenco dei correligionari da deportare e scelse di morire. 

Il ghetto di Venezia oggi

Incalzante si fa la cronaca di Calimani, che analizza cosa avvenne in Italia e all’estero (a Roma la retata del 16 ottobre a Portico d’Ottavia, a Parigi la cattura degli ebrei concentrati al velodromo Hiver, solo per fare alcuni esempi), le posizioni delle Chiese locali e del Vaticano: “parole lontane da quella concretezza che sarebbe stata di maggior conforto per tutti coloro cui sarebbe stato necessario rivolgere un messaggio meno criptico e generico per poter mobilitare le coscienze”. Perché intanto dal 1942 in poi iniziavano a filtrare notizie sui campi di sterminio e sulla sorte di milioni di persone, oltre a ebrei europei, zingari, omosessuali, prigionieri politici…

In parallelo incalzante si fa il racconto della ricerca di diverse vie di fuga per intere famiglie, benestanti o senza mezzi, in viaggi clandestini verso le campagne, la Svizzera, la montagna, ospitati e aiutati da italiani di ogni ceto e anche da comunità di suore e conventi. Le testimonianze raccolte alla fine del libro raccontano delle vite di famiglie veneziane in fuga, nonni di quelli che sono oggi amici, compagni di studio e di lavoro per noi veneziani. Parlano senza commento possibile i numeri degli ebrei europei, sei milioni, di quelli italiani, circa ottomila, uccisi nei campi di sterminio nazisti e tra loro circa 250 veneziani, “atrocissima offesa alla umana civiltà”, come ricorda la lapide affissa nel Ghetto di Venezia.

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Tra pochi giorni, giovedì 27 gennaio, sarà celebrata la ventiduesima Giornata della Memoria, istituita in Italia nel 2000 con la legge 211: in questa data che segna l’abbattimento dei cancelli del campo di sterminio di Auschwitz una serie di celebrazioni e nuove pose di pietre d’inciampo ricorderanno la Shoah del popolo ebraico. Non solo per Alessandro e Caterina, i giovani nipoti dell’autore che diventano testimoni e memoria stessa di un passato atroce; senza retorica, ma con una sempre maggiore presa di coscienza, che il libro Come foglie al vento e Riccardo Calimani vogliono ribadire per tutti.

Immagine di copertina: Monumento all’Olocausto (1980) progetto di Franca Semi, opera di Arbit Blatas, Campo del Ghetto Nuovo

“Come foglie al vento”. Nonno Riccardo racconta ai nipoti ultima modifica: 2022-01-17T21:11:20+01:00 da BARBARA MARENGO
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