Maradona. Gladiatore della disobbedienza

La morte del campione argentino colpisce il pianeta con una vastità e una ferocia che solo il Covid 19 può sprigionare. Chi altro può intristire miliardi di persone come sta accadendo ora? Quale personaggio può suscitare questa emozione globale? E perché? Come rispondere ora a questo quesito: perché Maradona era Maradona?
MICHELE MEZZA
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È stato il re dell’arte dell’imprevisto, come diceva Eduardo Galeano, il grande cantore di quella magia che il pallone ancora rappresenta per chiunque rimanga un bambino. La morte di quel re ci sta interrogando seriamente. Chi era amico di chi fra Maradona e Fidel Castro, o il papa, o i presidenti e i leader politici che ha incontrato il gaucho? Chi il personaggio e chi il comprimario? Era lui il vero medium che parlava al mondo. Gli altri sgomitavano per avere un posto nella storia, lui ha fatto di tutto per uscirne, ma non ci è mai riuscito.

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La morte di Diego Armando Maradona colpisce il pianeta con una vastità e una ferocia che solo il Covid-19 può sprigionare. Chi altro può intristire miliardi di persone come sta accadendo ora? Quale personaggio può suscitare questa emozione globale? E perché? Come rispondere ora a questo quesito: perché Maradona era Maradona? Cosa aveva più di altri celeberrimi campioni?

Pelè ha fatto e vinto di più. Certo. Di Stefano era totale come giocatore, sicuro. Cruijff, Ronaldo, quello vero, il primo, erano irresistibili, come negarlo. Messi più istantaneo della luce nei suoi guizzi, è incontestabile. Ma quel bitorzoluto e tracagnotto teppista del calcio, con quella nuvola di capelli e le gambe inguardabili, tanto erano deformate, da subito ha avuto l’aura del genio. Era ancora una cibollita, una cipollina, com’erano chiamati i pulcini delle squadre satelliti del Boca Junior, a 14, e riusciva a calamitare gli sguardi dei genitori degli altri giocatori, forse l’attenzione più pregiata e impossibile da strappare. Poi crescendo, ovunque sia andato, ha cambiato l’immaginario. 

Buenos Aires, Barcellona, Napoli: tre città diventate palcoscenico e megafono di una predicazione. Il profeta inconsapevole sobillava più che entusiasmava: ogni mossa, ogni finta, ogni calcio era una trasgressione, una disubbidienza, un’eversione. 

Nápoles más argentina que nunca. Napoli più argentina che mai [@DiegoAMaradona]

Napoli per questo l’ha avvolto nella placenta del mito, incubandolo, in una gestazione che non si è più interrotta. Una città che si stava appena rimettendo dallo shock del terremoto trovò in lui un tutore e un vendicatore. Fu Maradona che accreditò la città sulla grande scena; a Napoli si può vincere, fu un messaggio potentissimo. Non a caso sulla scia di Maradona arrivò la stagione di Bassolino, quel rinascimento partenopeo, molto gonfiato forse, ma che diede forza e spessore all’identità della città, soprattutto alla sua attitudine narrativa. In pochi anni il capoluogo campano, rifluito in una marginalità mediatica e culturale intercettò la nuova economia della comunicazione rimettendosi al centro della scena.

Con i due scudetti di Maradona la città cominciò a parlare, a far sognare, a raccontare, a cantare e filmare. Nacque lì la capitale del multimediale che oggi signoreggia nonostante le avverse temperie politiche e amministrative: la musica, Pino Daniele, il teatro con Martone, il cinema che cominciava a produrre nei vicoli, il centro storico che si proponeva come sfondo. Maradona fu un gigantesco motore di un marketing territoriale che manteneva sempre vigile la sensibilità irriducibile e non omologante della ribellione. Persino la camorra, che pure l’utilizzò, e lo coinvolse nelle sue piazzate, dovette comunque misurarsi con la sua ingovernabilità. La famiglia Giuliano l’integrò nel clan ma poi non riuscì ad addomesticarlo per le sue manovre sull’amministrazione.

Oppio dei popoli? Lo sarà forse anche stato nelle intenzioni di chi lo comprava, ma il popolo ha poi sempre prevalso sull’oppio. Mai da quei piedi è uscito un messaggio rassicurante, disciplinato, subalterno. Maradona ha giocato come ha vissuto: da solo, certo contornato da folle, ma pur sempre affidato sempre e solo a se stesso.

In campo per quanto avesse lo straripante potere di suggestione per trascinarsi dietro i compagni di squadra, gli spettatori, i tifosi, il mondo che lo guardava, rimaneva sempre solo alla fine: quel passaggio, quella punizione, quella finta, quello sberleffo audacemente tentato e riuscito era la sua sfida al mondo, la sua vendetta nei confronti delle élite che lo snobbavano. 

L’aneddotica è sterminata. Lasciamo agli esperti richiamarla. Il messaggio contrastato, che analizzano gli esperti. Da tifoso di una squadra che non ebbe la fortuna di averlo nelle sue fila, e dunque semplice testimone di molti di quei passaggi, di quelle punizioni, di quegli sberleffi, devo confessare che non mi sono mai divertito tanto a perdere come mi capitava contro di lui. A San Siro, in una partita contro l’Inter, lo vidi in area attrarre la palla sull’esterno del suo sinistro e in torsione, senza nemmeno guardare la porta, con un movimento inedito appoggiare il pallone in rete.

Che può dire il tifoso colpito: imprecare contro il destino, invocare un evento extrasensoriale per poterlo neutralizzare? Nemmeno se avessi avuto la magia di una fattucchiera avrei potuto privarmi di tale spettacolo. 

Perdere è bene se può servire a vedere fino a dove può arrivare il calcio. Forse Maradona è l’unico calciatore a cui riferire la straordinaria, irridente e sovversiva definizione che diede Alan Turing dell’informatica: la trovi sempre e solo sulla stretta linea che separa l’inventiva dalla disubbidienza. E di inventiva e disubbidienza nessuno ha mai potuto spiegargli qualcosa, al gaucho. 

Maradona. Gladiatore della disobbedienza ultima modifica: 2020-11-25T20:19:17+01:00 da MICHELE MEZZA
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