Il 3 gennaio scorso, il sito Breitbart, noto per le sue posizioni suprematiste e perché il suo editore Steve Bannon era (ed è) uno dei consiglieri del nuovo presidente degli Usa Donald Trump, pubblicò la seguente notizia a caratteri cubitali: “Rivelazione: una folla di mille uomini attacca la polizia, e dà alle fiamme la più antica Chiesa della Germania nella notte di Capodanno” (Revealed: 1,000 –Man mob attack Police, Set Germany’s Oldest Church Alight on New Yar’s Eve).
L’articolo era una dettagliata cronaca di un attacco di mille uomini che, al grido di “Allahu Akhbar” avevano lanciato pericolosi fuochi di artificio contro la polizia nel centro di Dortmund.
A mezzanotte – sempre secondo la cronaca – la situazione era degenerata: i fuochi di artificio venivano lanciati contro le altre persone presenti nella piazza per festeggiare il nuovo anno, fino al culmine del lancio dei fuochi contro St. Reinold, la più antica chiesa della Germania, il cui tetto era andato in fiamme. Seguiva il link ad un sito di informazione tedesco, il Ruhr Nachrichten, ovviamente in lingua tedesca, e un video scaricato da Twitter in cui si vedeva una ventina di ragazzi che nella notte di Dortmund sventolavano la bandiera della Siria cantando.
Chi, conoscendo il tedesco, avesse cliccato sul link del Ruhr Nachrichten, avrebbe letto una storia completamente diversa. Come nella notte di San Silvestro degli altri anni, nella centralissima Platz von Leeds di Dortmund si era radunata una discreta folla per festeggiare il nuovo anno, un migliaio di persone, tra cui un gruppetto di giovani ubriachi aveva sfiorato uno scontro con la polizia, che aveva anche effettuato alcuni fermi, come pure era accaduto in anni precedenti. Erano anche stati lanciati dei fuochi di artificio, ed uno di essi aveva colpito la recinzione in plastica adiacente al muro della chiesa evangelica di St. Reinold (la recinzione proteggeva un restauro esterno), provocando un piccolo principio di incendio, subito domato con un piccolo estintore. Nella piazza una ventina di ragazzi siriani festeggiavano il cessate il fuoco nel loro Paese, sventolando la bandiera del loro Paese e ritmandone il nome “Si-ri-a, Si-ri-a”. Naturalmente la bella Chiesa di St, Reinold non è affatto la più antica della Germania.
L’operazione messa in piedi da Breitbart, che ha avuto una larga eco in Germania suscitando indignazione, è interessante perché ci permette di capire molti dei meccanismi della cosiddetta “post verità”. Innanzi tutto c’è un antefatto della pseudo-notizia, il suo presupposto: il ricordo della notte di San Silvestro a Colonia, l’anno precedente, con le numerose aggressioni a donne da parte di uomini musulmani, ha acceso una richiesta di conferma in chi teme i musulmani, e Breitbart ha soddisfatto questa esigenza di conferma dei propri convincimenti e dei propri sentimenti ostili agli immigrati di religione islamica. In tal senso la notizia era plausibile.
In secondo luogo c’è il modo in cui è stata manipolata una notizia per creare una pseudo-notizia, una fake-news. Sono stati utilizzati tutti i veri punti del fatto, salvo poi che ciascuno di essi è stato modificato quel tanto che basta per creare una menzogna. C’erano davvero mille persone, c’erano davvero degli arabi con una bandiera che inneggiavano, ci sono stati effettivamente dei lanci impropri di fuochi d’artificio, e c’è stato davvero un incendio (almeno un principio) e c’entrava pure la Chiesa di St. Reinold. A ben vedere si tratta delle tecniche usate anche dai negazionisti della Shoah, analizzate dalla semiologa Valentina Pisanty in diversi saggi (il suo “L’irritante questione della camere a gas. La logica del negazionismo” è stato riedito da Bompiani nel 2014): I campi di sterminio? Esistevano, ma erano campi di prigionia. I sei milioni di ebrei sterminati? Qualche ebreo è morto, alcune centinaia di migliaia, come tutti gli altri popoli. I forni crematori? Impianti per evitare la tumulazione in favore di una più igienica cremazione; ecc ecc. E soprattutto i negazionisti partono dalla teoria cospirazionista, secondo cui è stato tutto inventato dagli Alleati nel Dopoguerra, con l’aiuto della “lobby ebraica”.
E qui veniamo al terzo punto dell’articolo di Breitbart e della post-verità. C’è una parola essenziale, nell’articolo del sito di Bannon, la prima: “Rivelazione”. Il che implica il seguente non detto: “noi vi raccontiamo una cosa che qualcuno (il potere, i media del mainstream, la lobby tal dei tali, ecc) non vi vuole far conoscere”. E’ quel “Rivelazione” che rende assolutamente credibile la storia raccontata. Almeno per i cospirazionisti, che non sono pochi: ben 17.260 persone hanno condiviso su Facebook il post direttamente dal sito di Breitbart, senza contare le successive condivisioni.
In un recente seminario organizzato dall’Associazione Stampa Parlamentare (Asp), il professor Walter Quattrociocchi (autore, insieme a Antonella Vicini del libro “Misinformation”) ha spiegato che a livello globale il consumo di “informazione” complottista su Internet è tre volte superiore a quello di informazione scientifica, sui molti siti scientifici. Questo fenomeno si lega ad un altro, ancora più diffuso: si cercano “informazioni” su Internet non tanto per accrescere le proprie conoscenze o per trovarne di nuove che possano mettere in dubbio le nostre conoscenze, bensì per confermare le nostre conoscenze, le nostre credenze, i nostri sentimenti.
È quello che gli psicologi chiamano il “Confirmation Bias”, il “pregiudizio di conferma”: selezioniamo e interpretiamo le informazioni in modo tale che confermino le nostre aspettative, le nostre conoscenze. Non a caso proprio sui social, ha sottolineato Quattrociocchi, emerge un “bisogno di comunità, di appartenenza”, che si traduce nella formazione di gruppi omofili, in cui tutti la pensano allo stesso modo.
Siamo dunque alla fine dell’Età dei Lumi, come si domanda preoccupato Paolo Pagliaro nel suo prezioso e recente libro “Punto. Fermiamo il declino dell’informazione”?
Questi primi indizi ci inducono a rispondere di sì.
Oggi – sottolinea Pagliaro – contano più le emozioni che i fatti oggettivi. Più le suggestioni che i pensieri. Più lo storytelling che le storie. Più la propaganda che l’informazione. E dunque più le bugie che il racconto veritiero dei fatti (p33).
Quattrociocchi ha spiegato che la società post-fattuale è caratterizzata dall’emotività, dal “pensiero magico”. Non a caso i commenti sui blog, o i post sui social sono viscerali, e a loro volta mirano a suscitare una reazione “di pancia”. Una infinità di post si concludono con un “Vergogna!”, o con un “Condividi”, una esortazione non a diffondere una conoscenza bensì il proprio stato d’animo indignato.
In un articolo sul numero 4.005 della Civiltà Cattolica (“Tempo di post-verità o di post-coscienza?”), padre Francesco Occhetta lega questo fenomeno a quello della crisi del principio di autorità, da non confondere con il principio dell’autoritarismo. Se nell’Ancient Regime, l’Autorità costituita deteneva la verità (autoritarismo), nell’Età dei Lumi e del pensiero critico da Kant in poi la verità è detenuta da quanti si guadagnano autorità (o meglio autorevolezza) per le loro conoscenze, capacità (scienziati, ecc).
Fino a pochi anni fa nessuno avrebbe messo in dubbio i consigli alle donne di uno scienziato come Umberto Veronesi circa la prevenzione del tumore al seno; il principio di autorità spingeva a considerare come degne di fede le parole di una persona che aveva studiato e aveva delle conoscenze specifiche sull’argomento superiori al resto dell’opinione pubblica non specialista. E lo stesso si potrebbe dire in altri settori, dall’economia alla religione.
Come tutti sappiamo le parole e le esperienze del prof. Veronesi sulle azioni da seguire per la prevenzione del tumore è stata messa in discussione non da altri scienziati, ma da blogger, specie di impostazione complottista, o da persone qualsiasi che pensano di aver maturato una competenza avendo letto tre o quattro post sull’argomento su qualche blog.
La post-verità – scrive padre Occhetta – esiste soltanto insieme alla post-autorità e al post-valore. Altrimenti, come spiegare che, in questo tempo, nei discorsi pubblici la sentenza del giudice pesa come l’opinione di quanti la commentano? Che la diagnosi del medico vale quanto l’opinione di chi la giudica? Che i valori di fede sono questioni private, rilevanti nel dibattito pubblico quanto i gusti personali? Negli anni Venti del secolo scorso, quando le istituzioni andavano sgretolandosi e l’autorità non era più riconosciuta come autorevole, la deriva è stata quella dell’autoritarismo. Purtroppo, quello che si dimentica ritorna. Oggi invece la deriva autoritaria si confonde con le seduzioni del consumo. (p. 218).
Quattrociocchi collega questo realtà, alla globalizzazione. Con la caduta delle barriere fisiche e virtuali, la realtà è innanzi tutto diventata molto più complessa. Effettivamente i problemi sono così complicati che i politici a livello nazionale non riescono a affrontare alcuni fenomeni: basta pensare alle migrazioni o a quelli finanziari nati con la crisi dei mutui sub-prime del 2007. A questo, sottolinea Quattrociocchi, si aggiunge un “overload informativo”, cioè un sovraccarico di informazioni, difficile da gestire: fino a pochi anni fa le nostre informazioni venivano dai giornali e dai telegiornali nazionali, mentre oggi dal nostro smartphone possiamo collegarci alla BBC, ad Al Jazeera o seguire un blogger cubano; per non parlare dei social dove vengono condivise “informazioni” di cui spessissimo non si riesce a verificare l’attendibilità di chi le fornisce.
È troppo difficile selezionare: un po’ come quando andiamo in un grande negozio di elettronica a comprare un ferro da stiro e ne troviamo in esposizioni venti diversi, con prezzi che vanno dai venti euro a duecento. Talvolta usciamo senza averlo comprato. In più in Italia c’è tutt’ora un basso livello di istruzione rispetto ad altri Paesi europei, un “analfabetismo funzionale”, che rende più difficile la decodifica. Tutto ciò fa sì, ha spiegato Quattrociocchi, che i “drivers sono legati all’ansia e alla paura”. E ci rifugiamo nel pensiero magico.
A ben vedere le fake-news sono sempre esistite. Ho ricordato prima i negazionisti, e la propaganda è sempre ricorsa ad esse. Nel 1917, per convincere l’opinione pubblica a continuare la guerra contro la Germania, il governo inglese creò ad arte, con alcuni giornali compiacenti, una fake-news secondo la quale i tedeschi usavano i cadaveri dei soldati morti in impianti industriali per ricavarne grasso.
Il problema è che con Internet e i social siamo ad una moltiplicazione di fonti di informazione e di fake-news (siamo partiti proprio da una di esse fabbricata da Breitbart.com). Quando nello spazio pubblico le informazioni false superano una certa percentuale, questo spazio è inquinato in modo irreversibile.
Il prof. Quattrociocchi ha osservato che anche il “debunking”, cioè lo smascheramento di queste falsità funziona relativamente: nel pensiero magico e complottista esso anzi conferma il pregiudizio. A seguito delle polemiche in Germania ma anche in Inghilterra contro Breitbart sorte a gennaio dopo la falsa notizia di Dortmund, il sito di Bannon ha pubblicato un “update”, in cui avvertiva i lettori che esso aveva subito
un attacco dall’establishment politico tedesco e dai media ufficiali, con l’accusa che la sostanza dei fatti di questo pezzo va considerata come fake-news.
Il fatto che vengano citati “l’establishment politico tedesco” e i “media ufficiali” tra coloro che smentiscono la ricostruzione dei fatti, anziché smentire l’articolo contestato, rafforza nel lettore complottista la convinzione che invece i fatti si sono svolti davvero nel modo raccontato da Breitbart.
L’altro aspetto grave, sottolineato da Pagliaro, è che l’inquinamento dello spazio dell’opinione pubblica mette in crisi la democrazia stessa. Infatti, se è vero che occorre “conoscere per decidere”, una conoscenza sbagliata ci induce a scelte sbagliate. In più gli stessi attori politici sono fabbricatori di fake-news. Le forze populiste lo fanno in maniera industriale. Matteo Salvini ha ripetuto infinite volte che i rifugiati vengono ospitati “in alberghi a quattro stelle”, cosa falsa ma ormai è opinione comune che sia così. Beppe Grillo pubblica dati sull’economia italiana assai spesso inventati di sana pianta, ma la citazione di una dovizia di numeri fa credere che siano veri. Giorgia Meloni ha detto varie volte che tutti i Paesi all’interno dell’Eurozona hanno visto calare il Pil, tranne la Germania, cosa falsa (e all’estero è la stessa cosa, a partire dalle “bufale” circolate in Gran Bretagna prima del referendum su Brexit). Ma fake-news arrivano anche da altre forze politiche. Paolo Pagliaro ricorda che il centrodestra fece addirittura certificare da un voto parlamentare (3 febbraio 2011) che Ruby fosse la nipote di Mubarak. E più recentemente la sinistra interna del Pd (poi uscita lo scorso febbraio) ha fatto credere – riuscendovi – che i voucher fossero stati introdotti dal Jobs act, mentre erano state due leggi da essa votate precedentemente a farlo (legge 92 del 2012 e dl 76 del 2013).
Chi difende dunque il cittadino se alcuni dei formatori dell’opinione pubblica, come ad esempio i politici, contribuiscono ad inquinarla? Da soli i giornalisti possono fare opera di fact-checking e di debunking? Pagliaro dà una serie di suggerimenti al mondo dell’informazione che non voglio citare, perché voglio lasciare la curiosità verso questo libretto (122 pagine) intelligente.
Il presidente dell’Autorità per le Comunicazioni, Giuseppe Pitruzzella, ha suggerito la creazione di una Authority europea che smascheri e punisca le “bufale” che girano su Internet, una soluzione difficilmente perseguibile, senza scivolare nel reato di opinione. Spesso gli account che fabbricano le fake-news si difendono affermando che fanno satira. Recentemente uno di questi account, il cui nome richiama quello di un vero giornale – così da ingannare meglio il lettore – ha pubblicato un post in cui si affermava che il Senato aveva approvato il giorno precedente una legge che dava gratis agli immigrati la patente con un numero doppio di punti rispetto a quella degli italiani, e che la legge era stata approvata con 415 voti a favore. Il fatto che notoriamente il Senato ha solo 315 senatori e che questa legge sarebbe palesemente incostituzionale la rende accomunabile, a quelle di alcuni siti di satira (il più noto è “Lercio”).
Ovviamente data l’ignoranza (funzionale e assoluta) media degli italiani, moltissime persone ci hanno creduto e l’hanno condivisa, aggiungendo espressioni di indignazione. I manager di Facebook Italia sostengono di non essere responsabili dei contenuti dei post, dato che questa piattaforma è un provider di servizi, e non di contenuti. Ma se i social non si decidono a darsi un codice deontologico, allora la soluzione di Pitruzzella si imporrà per difendere le persone meno preparate culturalmente. E proprio sulla cultura suggerisce di puntare padre Occhetta, una cultura che richiede – aggiungo io – un ripensamento profondo della scuola. L’attuale trasmissione del sapere secondo l’antico modello socratico non funziona più.
Certamente i giornalisti non possono fronteggiare da soli il problema della difesa della democrazia, anche se il mondo dell’informazione dovrà aggiornare il proprio codice deontologico alle nuove realtà. Infatti se prima i giornalisti erano tra i principali formatori e interpreti dell’opinione pubblica, nell’era di Internet e dei social la stampa è solo una delle voci in campo.
Occorre una presa di coscienza di tutti gli attori sociali e un loro impegno diretto: il mondo della cultura – cioè scuola, università e intellettuali – il mondo del lavoro e delle associazioni di categoria, le Chiese, le associazioni di volontariato. In fondo oggi tutti questi attori comunicano direttamente, senza la mediazione giornalistica. L’articolo 21 della Costituzione vale anche per loro, ed esso non prevede solo la libertà di espressione, ma anche – come diritto reciproco – la libertà dei cittadini di essere informati in modo corretto. Se non prendiamo coscienza di questa urgenza, dopo la post-verità ci ritroveremo con una post-Costituzione.
Le immagini sono tratte dal sito Breitbart e ritraggono gadget in vendita sul sito stesso.

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