Come scrive Eric Fromm, ne “L’arte di amare”, vanno distinti due tipi di altruismo: quello sano caratterizzato dall’abilità di dedicarsi ad altri, ma accompagnato da un’innata felicità, e quello malsano, tipico di persone che si sacrificano per gli altri, però soffrendo.
Chiaramente don Luca Favarin, che possiamo descrivere come il “don Gallo veneto”, appartiene alla prima categoria. Don Luca ha passato la maggior parte della sua vita dedicandosi agli altri, e frequentandolo ci si rende conto di quanto sia intimamente felice.
Originario di Padova, don Luca ha cominciato la sua attività sociale agendo nelle strade e nelle periferie della città, a contatto con barboni, prostitute e lavorando anche nel carcere della città. Dopo aver viaggiato a lungo in Africa, al suo ritorno ha creato la onlus Percorso Vita, grazie alla quale è riuscito ad aprire ormai dodici centri di accoglienza per rifugiati (per lo più africani) nella città veneta e dintorni. Inoltre don Luca è regolarmente attivo nello sforzo di togliere dalla strada quelle donne africane giunte in Italia con l’illusione di una vita migliore, ma che in realtà vengono costrette a fare le prostitute.
Ma don Luca non si limita a gestire i migranti. Si adopera non solo per contrastare il caporalato, assicurando che i ragazzi sotto la sua tutela possano lavorare nel rispetto dei loro diritti, ma continua ad avviare una serie di attività commerciali volte a offrire impiego ai rifugiati. Dopo aver aperto un caffè e un ristorante a Padova, ha acquistato un frutteto per la produzione di marmellata. Ora è in programma la creazione di un “villaggio” per i migranti nel centro di Padova.
Cosciente delle problematiche legate alla migrazione, don Luca ha anche portato avanti una proposta con il ministero degli interni – in particolare attraverso l’addetto all’immigrazione Mario Morcone – im virtù della quale i rifugiati che parlano minimamente la lingua italiana, che hanno un’attività lavorativa e che si sono minimamente integrati, possono bypassare le commissioni che decidono sul loro destino.
Don Luca raggiunse una certa notorietà mediatica qualche anno fa per via delle sue aperte critiche nei confronti di Massimo Bitonci, l’ex sindaco leghista di Padova, noto per le sue tendenze xenofobe. Fu intervistato su Servizio Pubblico. Diego Bianchi, noto anche come Zoro, allora conduttore di Gazebo, gli fece visita ben due volte.

Con Zoro, in primo piano
In questa intervista con ytali, don Luca dice la sua sugli ultimi sviluppi nel cosiddetto “problema immigrazione”.
Qual è il tuo rapporto con la nuova amministrazione cittadina di Padova?
L’aria è cambiata. Finalmente s’inizia ad affrontare i problemi. Ora, nessuno ha mai negato che la presenza di migranti sul territorio, soprattutto in numero piuttosto consistente, possa essere un problema, solo che, mentre prima i problemi non erano affrontati, ma erano negati, o venivano liquidati con qualche battuta, oppure con qualche ordinanza, ora esiste un’altra logica.
Quale logica?
Quella dell’incontro e del dialogo: pur magari avendo idee diverse, ci si può incontrare attorno a un tavolo e discutere sul come affrontare le varie problematiche.
Però intanto i naziskin che hanno fatto irruzione nella sala riunioni di un’organizzazione che aiuta i migranti a Como provenivano dal Veneto…
In Veneto, negli ultimi anni, si è respirata una forte componente razzista: le prime grandi contestazioni contro l’arrivo dei migranti sono avvenute proprio in questa regione. Bisogna poi tener conto di una cosa: mentre una volta la gente si vergognava quasi a essere razzista e fascista, ora le cose sono cambiate, e uno può giungere al punto di sentirsi orgoglioso di questi sentimenti. E quello che fa ancora più paura è che la gente non s’indigni di fronte a certe espressioni.
Come valuti specificatamente le reazioni della gente?
La gente banalizza o magari ridicolizza, senza però prendere sul serio il fenomeno.
Come vedi il fenomeno a livello nazionale?
Non è vero che l’Italia non è razzista. Quando l’Italia – e l’Europa – era grassa e grossa, dava qualche spicciolo al poverino, al morto di fame, purché stesse distante. Ora che questo castello dorato si è sgretolato (in parte, perché c’è ancora tanta ricchezza), allora sono emerse queste brutali negatività nei confronti degli stranieri e dei poveri, che diventano un capro espiatorio di fronte alla mancanza di serie politiche sociali.
Ora però grazie alle politiche di Gentiloni e Minniti il flusso migratorio sta diminuendo.
Sì, ma a un prezzo spaventoso: non è che la gente non cerchi più di partire, ma è bloccata nel partire o viene riportata al punto di partenza: quindi o continua a morire in mare o è bloccata e maltrattata, e torturata nei centri di detenzione libici. Ma la gente se ne frega di ciò: quello che conta è che è stato ottenuto il risultato voluto, cioè bloccare l’arrivo.
La giustificazione di Minniti è che ciò fa parte della lotta agli scafisti.
Sì, ho appena letto che negli ultimi mesi sono stati arrestati cento presunti scafisti, ma non dimentichiamo che gli scafisti altro non sono che degli altri poveri disgraziati, che fanno il loro lavoro per qualche soldino, ma non sono certamente i capi o la mente dietro il traffico dei migranti. Ma il problema vero è che la gente scappa perché sta male dove si trova: sto parlando della fame e della violenza nei paesi di origine.
Stai quindi dicendo che colpire i trafficanti non è la mossa giusta.
Certo: è una mossa da falliti. Bisognerebbe invece risolvere o cercare di risolvere seriamente le cause a monte del flusso migratorio. E non dimentichiamo che, da parte dei migranti, i trafficanti sono considerati dei salvatori, semplicemente perché li traghettano via dall’inferno. Ripeto: non puoi bloccare persone che cercano di fuggire da un incendio, ma bisogna piuttosto cercare di spegnere l’incendio.
Però al tempo stesso, secondo uno studio sull’Africa, in molti casi non appena c’è un minimo aumento del reddito s’innesca questo sogno di venire in Europa. E in molti altri casi c’è un’insofferenza, soprattutto tra i giovani, verso le gerarchie tradizionali nei villaggi di origine.
Be’, penso che ogni persona abbia il diritto ad andare dove si sta meglio. Perché noi occidentali possiamo liberamente spostarci alla ricerca della fortuna, mentre neghiamo agli altri di farlo? E’ come se ci fossero due pesi e due misure.
Cosa ne pensi degli ultimi “arrivi organizzati”?
Anche se si raggiungesse la quota di diecimila persone l’anno, come ha annunciato Minniti, si tratta di una cifra irrisoria, rispetto alle diecimila persone che ti arrivano in dieci giorni con i barconi.
Quindi come interpreti questa mossa?
Mi sa tanto di spot elettorale, e in ogni caso è un modo per pulirsi la coscienza e mostrare che l’Italia fa qualcosa. Ha insomma il sapore patetico dell’aiutino di facciata.
Intanto non sembra che si faccia molto per chiudere i centri di detenzione in Libia.
Né mai si farà. E’ un problema molto complesso, al quale dovrebbero lavorare delle menti all’altezza della situazione. L’Italia non sembra capace di fare molto. Ci vogliono volontà e capacità di entrare dentro al problema. Queste due coordinate mi paiono totalmente assenti nella politica internazionale dell’Italia e scarse in quella europea.
Ma non dovevano intervenire le Nazioni Unite?
Sì, è un po’ come una promessa smentita di babbo natale o della befana: in realtà né l’Italia, né l’Europa, né l’Onu stanno portando avanti qualcosa di operativo contro tale orrore.
E come vedi l’invio di truppe italiane in Niger, sempre nell’ambito della questione del flusso dei migranti?
Be’, è una mossa che l’Italia deve fare per riconquistare un ruolo dominante nella gestione di migranti. Ora se l’idea di andare in Niger è quella di contrastare l’espansione delle milizie di Boko Haram oltre i confini originari della Nigeria, o l’azione di altre forze jihadiste, sarebbe anche comprensibile, ma se è solo per bloccare il flusso dei migranti, si tratta di un’azione poverella, se non infame.
Tornando al Veneto, mi dicevi che le commissioni addette al vaglio dei rifugiati, in questa regione hanno un alto tasso di rifiuto.
Non solo in Veneto, ma anche in altre regioni del Nord. Poi c’è il diritto di appello. Ma il problema è un altro.
Quale specificatamente?
Poiché il processo delle commissioni, appello incluso, è molto lungo, ti trovi di fronte a un gruppo di persone che, dopo due-tre anni di permanenza qui, si è “de-africanizzato”, nel modo di fare e di pensare, e linguisticamente parlando
Quindi?
Il pericolo è questo: può avvenire che a queste persone in qualche modo minimamente integrate, viene poi negato lo status di rifugiato. Quindi, al limite, il processo dovrebbe essere almeno un po’ più rapido.
E la tua proposta con Morcone di bypassare le commissioni una volta che ci fossero dei minimi prerequisiti d’integrazione?
Non se n’è fatto nulla, a dimostrazione che manca la volontà politica di risolvere questo problema.
Quindi poi quelli che non ottengono lo status ufficiale di rifugiati diventano in automatico dei clandestini. Hai assistito, nella tua esperienza, al rimpatrio di qualcuno tra i tuoi ospiti?
No, mai. Si preferisce un sottobosco di clandestini, rispetto ad una massa di migranti con i loro documenti regolari che possono essere una risorsa per il paese, con i loro diritti e i loro doveri e che possono anche versare dei contributi fiscali.
Continua intanto la tua opera contro il caporalato?
Sì, e sta andando molto bene. Ultimamente abbiamo portato dei ragazzi a fare una denuncia individuale contro i loro datori di lavoro.
Parlaci del tuo nuovo progetto di “villaggio” a Padova.
Il villaggio partirà durante il 2018 nel cuore della città di Padova, e sarà dedicato soprattutto ai minori non accompagnati, con poi tutta una serie di attività per l’inserimento lavorativo e d’incontro con la cittadinanza.
Cosa intendi per incontro?
Non basta parlare alla cittadinanza dei migranti, ma bisogna che i cittadini e i migranti s’incontrino. Nella nostra esperienza il miglio incontro è quello che serve a qualcosa: il cittadino che entra in un nostro caffè o ristorante e compra un prodotto, come le marmellate che i ragazzi migranti producono, incontra un messaggio. In questo villaggio ci sarà un ristorante, una fattoria didattica e un mercato a chilometro zero. Questo indurrà la cittadinanza a venire nel villaggio e attraverso ciò recepirà un meta-messaggio, che è poi quello dell’accoglienza.

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