Nel parlamento europeo è il difensore più agguerrito del progetto di integrazione. I suoi interventi in plenaria, pieni di passione, somigliano spesso a un vero show, degno di una “rock star” della politica europea.
Guy Verhofstadt, già primo ministro belga dal 1999 al 2008, è presidente del Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa e capo negoziatore del Parlamento europeo per la Brexit. È anche autore di diversi libri sull’Unione europea, tra cui “Gli Stati Uniti d’Europa: manifesto per una nuova Europa” (Fazi, 2006) e “Per l’Europa” (scritto con Daniel Cohn-Bendit) (Mondadori, 2012).
Guy Verhofstadt, negli ultimi vent’anni lei ha occupato un ruolo di primo piano sulla scena politica europea, prima come premier belga e poi come leader del Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa. In questo periodo, ci sono state delle grandi opportunità per far avanzare il progetto di integrazione che l’Unione europea non è riuscita a cogliere?
Anche se negli ultimi settant’anni abbiamo ottenuto grandi risultati, ci sono in effetti delle occasioni mancate e delle cose che dovrebbero essere corrette per permettere all’Unione europea di far fronte alle nuove sfide che ha davanti a sé. Per esempio, sono più di dieci anni che si parla di una politica comune in materia di asilo e migrazione, abbiamo visto passare numerosi piani per sviluppare una capacità di difesa europea e, nonostante la crisi finanziaria abbia mostrato che c’è bisogno di una governance economica europea, non abbiamo fatto abbastanza progressi nemmeno in questo campo. Detto ciò, sono ottimista. La gente vuole che l’Europa risolva queste grandi questioni e dobbiamo continuare a lottare per farlo.
Negli ultimi vent’anni, il processo di allargamento ha quasi raddoppiato il numero degli stati membri. Questo ha complicato e rallentato il processo decisionale europeo. È stato un errore allargarsi in questa maniera? C’era forse un altro modo di costruire l’Europa?
L’allargamento è stato più difficile del previsto. Alcuni nuovi stati membri sono cresciuti economicamente ma si sono anche trasformati in democrazie illiberali. Dobbiamo mettere in chiaro che questo va contro l’idea di Europa e deve avere delle conseguenze. In ogni caso, non rinnego in nessuna maniera la nostra decisione. Abbiamo unito l’Europa, nessun’altra decisione sarebbe stata giusta dopo la caduta del muro di Berlino. Ma il lavoro non è finito. L’Unione europea sta ancora crescendo e c’è spazio per altri stati membri, a partire dall’ultimo arrivato, la Croazia, fino alle ex-repubbliche jugoslave, che potranno diventare parte della nostra famiglia in un futuro vicino, se rispetteranno i valori e gli accordi europei e, soprattutto, lo stato di diritto.
Il cosiddetto “motore franco-tedesco” ha giocato un ruolo da protagonista nel processo di integrazione europea. Crede che il ruolo di primo piano svolto dai grandi paesi, in particolare dalla Germania, nei recenti periodi di crisi, sia stato una cosa positiva?
Speravo che la Germania fosse più coraggiosa nel perseguire l’integrazione europea nel campo dell’euro. La Commissione ha avanzato delle proposte molto concrete negli ultimi anni, che si sono però scontrate con l’opposizione degli stati membri, spesso guidati dalla Germania. Con il presidente francese Emmanuel Macron abbiamo una nuova energia in Europa e spero che questo porterà il cambiamento tanto necessario per far andare avanti il processo di integrazione.
Lei è un federalista convinto. Quali sono gli ostacoli principali che impediscono la nascita degli Stati Uniti d’Europa?
Uno dei grandi problemi è che i governi nazionali si appropriano dei successi dell’Europa, mentre scaricano su Bruxelles i propri fallimenti. Nel Regno Unito abbiamo visto cosa succede quando dici per più di trent’anni alla gente che una cosa è negativa, ma poi allo stesso tempo le chiedi di votare a favore di essa. Non è una sorpresa che il risultato del referendum sia stato negativo. Fino a quando i leader nazionali non spiegheranno ai loro elettori che abbiamo bisogno di un’Europa unita per affrontare le sfide future e difendere le decisioni europee difficili, sarà molto complicato farcela. Tuttavia, vedo che molti giovani vogliono più Europa. Si rendono conto che gli stati da soli non possono combattere il cambiamento climatico o proteggere i loro interessi di fronte a grandi attori come la Cina. Inoltre, comprendono che gli stati membri devono collaborare per predisporre una politica comune che permetta di gestire il fenomeno migratorio in maniera umana.
Molte persone si lamentano sostenendo che le istituzioni europee potrebbero spendere meglio i loro soldi. Fanno riferimento, per esempio, alla doppia sede del parlamento europeo, a Strasburgo e a Bruxelles. Prendere una decisione sulla sede del Parlamento europeo potrebbe aiutare la gente a cambiare la sua percezione riguardo al modo in cui l’Ue spende i propri soldi?
Sono assolutamente d’accordo. Nella mia relazione parlamentare sul futuro dell’Europa ho chiesto una sola sede. Concordo sul fatto che due sedi non siano necessarie. La maggioranza del Parlamento europeo ha votato in favore di un’unica sede, ma spetta al Consiglio prendere una decisione. Non possiamo decidere riguardo alla nostra stessa sede: questo è il vero problema. La gente deve fare pressione sul Consiglio affinché supporti le nostre proposte.
I deputati sono legati da una “doppia fedeltà” ai loro stati membri e al loro gruppo politico in Parlamento europeo. È davvero possibile andare oltre questa doppia fedeltà, in nome dell’interesse europeo?
Non la vedo in questo modo. Gli interessi regionali e nazionali non contraddicono gli interessi europei. Io sono di Gent, sono belga e sono europeo. Non c’è contraddizione. Gli interessi nazionali e quelli europei vanno insieme. Gli stati membri sono forti quando l’Europa è forte.
L’Unione europea ha investito molte risorse per migliorare il modo in cui l’attività delle sue istituzioni è comunicata. Tuttavia, molte persone fanno ancora fatica a capire cosa succede a Bruxelles e a Strasburgo. Cosa è andato storto?
Non credo alla propaganda da Bruxelles. Serve un vero confronto con le persone. È quello che cerco di fare con i social media e, presto, lanceremo un grande dibattito europeo per sentire cosa i nostri elettori vogliono che facciamo nei prossimi cinque anni. In secondo luogo, credo fortemente che dobbiamo mostrare alla gente che abbiamo un piano per l’Europa e che siamo in grado di rendere l’Europa un posto migliore. È ovvio che Bruxelles e Strasburgo restano lontane per molte persone. Tuttavia, la Brexit ha mostrato alla gente cosa succede se abbandoni il progetto europeo. Il caos nel Regno unito fa in modo che ora le persone ci pensano su due volte. Il tasso di approvazione dell’Unione europea è aumentato in maniera significativa dopo il voto sulla Brexit. Ora la gente capisce meglio cosa è in gioco.
In vari paesi europei la classe media è in crisi. Il livello di vita di molte persone è peggiorato, altre temono di vederlo peggiorare. In Francia questo ha portato alla protesta dei gilet gialli. Come invertire questa dinamica?
Dobbiamo essere onesti con le persone. La competizione che viene da altri paesi, come India e Cina, significa che noi europei dobbiamo collaborare di più per essere competitivi e assicurarci che esistano lavoro e salari decenti. Non possiamo nasconderci dietro i confini e sperare di essere protetti dalla competizione esterna. In un mondo dominato da grandi attori, siamo più forti se stiamo insieme.
Lei ha un legame particolare con l’Italia. Come si sente quando guarda alla situazione politica e sociale nel nostro paese?
Gli italiani vogliono il cambiamento, questo lo capisco. Tuttavia, Salvini non è la risposta. Sta chiudendo le porte dell’Italia a tutto ciò che è diverso, con una nostalgia per il passato che non riesco a capire. Salvini semina la paura per tutto ciò che è diverso. È una politica che punta a trovare nemici invece che a individuare soluzioni.
Lei è un grande sostenitore di un’Unione europea della difesa. Sono stati fatti progressi rilevanti in questo campo durante l’ultima legislatura? Cosa resta da fare?
Alcuni progressi sono stati compiuti – il Consiglio ha deciso di lanciare una cooperazione strutturata permanente (PESCO) in materia di difesa: venticinque paesi membri hanno deciso di assumere degli impegni vincolanti per sviluppare alcune capacità condivise, perseguire concreti investimenti comuni e rafforzare la capacità operativa dell’Unione europea. Parallelamente la Commissione ha proposto un Fondo europeo per la difesa da tredici miliardi di euro, che deve sostenere gli sforzi nel quadro della cooperazione strutturata permanente, e facilitare investimenti comuni in ricerca, tecnologia e capacità di difesa.
Si tratta di passi importanti, che vanno nella giusta direzione. Tuttavia, temo che siano lontani dall’essere sufficienti se guardiamo in maniera realistica al panorama odierno della sicurezza in Europa e ai suoi confini: Il nostro continente è stretto in un cerchio infuocato – con la Russia aggressiva a est, e violenza settaria, guerre per procura e terrorismo che vengono da sud. Non possiamo permetterci che la nostra sicurezza continui a dipendere dalla volontà dei nostri alleati americani di venire in nostra difesa – soprattutto nel mondo di Donald Trump, con il suo “l’America viene prima di tutto”.
Perciò penso che il nostro approccio a una difesa europea comune debba essere molto più ambizioso: abbiamo bisogno di un piano per l’integrazione progressiva delle forze di difesa europee, per creare un bilancio comune per la difesa, che ci permetta di sviluppare capacità critiche congiunte. Dobbiamo creare questa Unione europea della difesa come un pilastro europeo della Nato, capace, se la situazione lo richiede, di intervenire autonomamente.
Lei è coordinatore del Parlamento europeo per i negoziati sulla Brexit. Una volta che il Regno unito se ne sarà andato, quali saranno i cambiamenti più importanti per l’Unione europea?
Speriamo di poter mettere tutta l’energia che oggi mettiamo in un progetto negativo, ovvero la separazione del Regno Unito dall’Unione, in qualcosa si positivo, nella maggiore integrazione di cui l’Unione europea ha così disperatamente bisogno per far fronte alle sfide del futuro. Abbiamo molto lavoro da fare: cambiamento climatico, completamento del mercato interno, come diventare più competitivi rispetto a nuovi “imperi” come Cina e India, dobbiamo costruire una governance economica europea, proteggerci dalla Russia creando un pilastro per la difesa europea all’interno della Nato e, infine, adottare una politica per la migrazione e l’asilo funzionante. Cominciamo a lavorare su queste cose!
C’è la sensazione crescente che un’Europa “più verde” sia necessaria. Il cambiamento climatico minaccia l’esistenza del nostro pianeta, ma le misure per affrontarlo, come quelle che hanno fatto scoppiare le proteste in Francia, si scontrano con l’opposizione forte di una parte della popolazione. Come spiega questo fenomeno e che misure propone per combattere il cambiamento climatico a livello europeo?
Ho la sensazione che alcune componenti del movimento dei gilet gialli abbiamo radicalizzato il dibattito riguardo a come affrontare il cambiamento climatico. La questione non ha più solo a che fare con il cambiamento climatico. Dobbiamo trovare una soluzione a quello che chiedono e credo che il presidente Macron stia facendo la cosa giusta lanciando un grande dibattito nazionale. A livello europeo va riconosciuto che nell’ultimo decennio l’Europa ha fatto molto per mitigare il cambiamento climatico. Stiamo investendo con determinazione nelle energie rinnovabili, abbiamo introdotto norme più stringenti in materia di emissioni delle automobili, abbiamo investito in un miglior trasporto pubblico tra i vari paesi, reso la maggior parte dei prodotti più efficienti sotto il profilo energetico e detto sì all’accordo di Parigi. Dobbiamo continuare a fare queste cose, continuando a essere il leader mondiale nella lotta al cambiamento climatico. Questa sarà una delle nostre principali priorità negli anni a venire.
In uno dei suoi recenti tweet ha detto che “la grande coalizione tradizionale, composta da popolari e socialdemocratici, ha reso l’Unione europea letargica. Noi, liberal-democratici, vogliamo smuovere la situazione e lavorare per un’Europa più unita ed efficiente”. Con quali alleati conta di farlo? Il suo progetto è aperto anche al movimento cinque stelle?
Due anni fa abbiamo tento di integrare il movimento cinque stelle nell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa, ma le differenze erano troppo grandi. Le cose non sono cambiate.
In un momento in cui il nazionalismo è in ascesa in tutta Europa, lei è uno dei più strenui sostenitori di un’Europa federale. Con quali argomenti conta di convincere i cittadini dei differenti stati membri che un’Europa federale è la giusta soluzione?
Solo lavorando insieme e integrandoci ancora di più saremo capaci di far fronte alle sfide del futuro. Il mondo è cambiato rapidamente dopo la fine della guerra fredda. Al posto di due super-potenze, oggi abbiamo a che fare con molteplici grandi attori, come Stati Uniti, India, Brasile, Russia, Cina e Giappone. Solo se lavoreremo assieme saremo in grado di giocare un ruolo in questo nuovo ordine mondiale. Insieme siamo più forti!
[settima di una serie di interviste in vista delle elezioni europee]

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