Israele. Perché il voto arabo conta, e divide

Per vincere alle elezioni d'aprile, Netanyahu ha scelto di sfondare a destra, estremizzando ancor più le sue posizioni e stabilendo un patto d’azione con i suprematisti, contro la consistente minoranza araba. Ma questa radicalizzazione sta facendo emergere l’“altra Israele”, non maggioritaria ma sempre più avvertita della posta in gioco
UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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Un Paese spaccato a metà, a neanche un mese dalle elezioni legislative (il 9 aprile). Una divisione che non è solo politica, partitica, ma culturale, identitaria, e che va ben oltre la tradizionale dicotomia destra/sinistra. Dove vai Israele? Il “Nemico esterno” – Hamas, l’Iran, Hezbollah – non funziona più come collante interno, non cementa più l’unità nazionale. Perché Israele si scopre ancora un Paese in “trincea”, ma questa “trincea” è interna e dai due lati della “barricata” si fronteggiano israeliani versus israeliani. E in questo scenario, l’esistenza della “questione palestinese” non scompare ma è declinata come parte di un problema interno a Israele, in rapporto al popolo “cancellato”: quello degli arabi israeliani, il 20,9 per cento su una popolazione – secondo il recentissimo aggiornamento dell’Ufficio centrale di statistica – di  8.907.000  (il 74 per cento ebrei). ytali ha dedicato a questo tema diversi articoli, che hanno avuto come filo conduttore la “questione israeliana” che una comunicazione pigra e passatista continua a narrare come una ricaduta dell’eterno conflitto israelo-palestinese. Così non è. O, almeno, non lo è più oggi solo in questo termini.

Ayman Odeh, presidente del partito Hadash, in un incontro elettorale con gli studenti. Nella foto d’apertura un altro evento elettorale di Ayman Odeh

È sul cosa significa essere israeliano, ed ebreo israeliano, che si sviluppa lo scontro, la cui posta in gioco va ben oltre i destini politici e personali (visti i guai giudiziari che lo coinvolgono direttamente) del primo ministro più longevo nella storia dello Stato d’Israele: Benjanim “Bibi” Netanyahu. Per vincere, Netanyahu ha scelto di sfondare a destra. E lo fa attaccando, radicalizzando ancor più le sue posizioni, sdoganando partiti dichiaratamente razzisti e stabilendo un patto d’azione con i suprematisti israeliani. Israele “non è uno Stato di tutti i suoi cittadini […] secondo la legge sulla nazionalità di base che abbiamo approvato, Israele è lo Stato nazione del popolo ebraico – e solo questo”, ribadisce il premier, in risposta a un commento dell’attrice israeliana Rotem Sela, che aveva scritto sui social media che Israele è un Paese di tutti i suoi cittadini.

La ministra della cultura e dello sport Miri Regev con Mohamed Bin Tha’loob al-Derai, presidente della federazione di Wrestling Judo & Kickboxing degli Emirati Arabi al Grand Slam Judo tournament di Abu Dhabi lo scorso ottobre

Un’affermazione sostenuta da un’altra attrice, tra le più amate in Israele, Gal Gadot, e anche dal capo dello stato israeliano Reuven Rivlin. Due attrici e un politico navigato, esponente dello stesso partito di Netanyahu (il Likud), espressione di una destra moderata, refrattaria a cavalcare le pulsioni più estreme presenti nella complessa società israeliana. Una destra “inclusiva” che non vede nell’arabo israeliano una “minaccia” interna da neutralizzare, cancellandone anche l’esistenza come parte di una comunità nazionale. Per tornare a Rotem Sela, l’attrice si era espressa in quel modo commentando un’intervista che la ministra della cultura Miri Regev, fedelissima del premier, stava facendo sul seguitissimo programma “Meet the Press” di Channel 12.

Rotem Sela

Miri Regev siede lì e spiega a Rina Matzliach che il pubblico deve stare attento, perché se Benny Gantz è eletto dovrà formare un governo con gli arabi,

ha scritto Sela sul suo profilo Instagram, che raggiunge gli 824.000 follower.

Rina Matzliach è rimasta in silenzio e mi chiedo perché Rina non le chieda “scioccamente” – è qual è il problema con gli arabi ??? Oh mio Dio, ci sono anche cittadini arabi in questo Paese. […] Quando diavolo qualcuno in questo governo trasmetterà al pubblico che Israele è un Paese per tutti i suoi cittadini e ogni persona è nata alla pari, anche gli arabi, Dio ci aiuta, sono esseri umani. E così anche i gay, a proposito, e le lesbiche, e … lo shock … i leftist.

Gal Gadot

Dopo aver ricevuto una serie di risposte insultanti, Sela ha scritto su Instagram:

A tutti quelli che mi hanno scritto cose davvero disgustose dopo la mia ultima storia – Amo tutti, i tuoi messaggi rivoltanti non mi impediranno mai di dire la mia opinione. Un’intera generazione di bambini è cresciuta nel nostro Paese senza speranza di pace e questo è triste e deprimente, se solo i politici le cui voci sono ascoltate più forte fossero quelli a dare una vera speranza di pace, di uguaglianza e di amore invece di incitamento e separazione.

Domenica mattina, Netanyahu ha risposto a Sela sul proprio Instagram. Ha caricato una foto di se stesso sullo sfondo di una bandiera israeliana e ha scritto:

Cara Rotem, un’importante correzione: Israele non è uno Stato di tutti i suoi cittadini. Secondo la legge dello Stato-nazione che abbiamo approvato, Israele è la nazione-stato del popolo ebraico – e loro da soli. Come hai scritto, non c’è alcun problema con i cittadini arabi di Israele – hanno gli stessi diritti di tutti noi e il governo del Likud ha investito nel settore arabo più di ogni altro governo. […] Il Likud chiede solo per affinare il punto centrale di queste elezioni: è un forte governo di destra guidato da me, o Yair Lapid e il governo di sinistra di Benny Gantz con il sostegno dei partiti arabi. Lapid e Gantz non hanno altro modo di formare un governo, e un governo come questo minerà la sicurezza dello Stato e dei cittadini. La decisione, un altro mese alle urne, buona giornata.

Benjanim “Bibi” Netanyahu

Anche Miri Regev ha risposto domenica mattina, twittando:

Rotem, non abbiamo problemi con gli arabi, il nostro partito ha più di un gruppo di arabi, drusi e cristiani, abbiamo un problema con l’ipocrisia e la mascherata di Lapid e Gantz, che stanno cercando con tutte le loro forze di nascondersi dal pubblico che sono la sinistra travestita da centro.

Per il premier e la sua ministra della cultura, rivolgersi all’elettorato arabo-israeliano è dunque sinonimo di tradimento, un peccato mortale che mette a repentaglio non solo la sicurezza ma la purezza identitaria dello Stato ebraico. Altri hanno usato il web per esprimere il loro sostegno alle dichiarazioni di Rotem Sela. Ayman Odeh, presidente del partito Hadash, ed esponente di primo piano della comunità arabo-israeliana, ha twittato:

In Israele 2019, per dire che il significato della democrazia è uno Stato per tutti i suoi cittadini e che gli arabi devono essere cittadini a pieno titolo – sì, ciò richiede un grande coraggio. Rotem Sela, noi non ci siamo mai incontrati, ma evviva.

Tamar Zandberg, leader di Meretz

Anche la leader di Meretz (sinistra sionista) Tamar Zandberg ha espresso il suo sostegno su Twitter:

Way to go Rotem Sela! Oh, e non farti coinvolgere dai troll che usciranno ora. Sono probabilmente le prime persone che hanno bisogno di leggere bene ciò che ha scritto: tutte le persone sono nate uguali.

Sebbene alcuni utenti di Twitter abbiano criticato le dichiarazioni di Sela, altri l’hanno sostenuta e incoraggiata, definendola coraggiosa.

Rotem Sela, che ha lavorato come segretaria nell’Idf (le forze di difesa israeliane, ndr) a Tel Aviv mostra più coraggio di tre generali nelle riserve,

ha scritto un utente, riferendosi alla leadership del partito centrista, Kahol Lavan, che ha come leader l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz.

Benny Gantz, a sinistra, in un incontro elettorale

Due attrici danno voce all’“altra Israele” che non erige muri identitari, che non crede nelle suggestioni messianico-nazionaliste propugnate dalle destre oltranziste e che ha una visione “inclusiva” dello Stato. Quella che esprime il “primo cittadino” d’Israele: Reuven Rivlin. 

Gli arabi israeliani non sono “elettori di seconda classe” e in Israele “non ci sono cittadini di prima classe”,

ha rimarcato il presidente israeliano confutando le tesi del premier.    Rivlin, che ha parlato durante una cerimonia che celebra il 40° anniversario della firma dell’accordo di pace tra Israele ed Egitto, ha affermato che

coloro che credono nel dovere dello Stato di Israele di essere uno Stato ebraico e democratico nel senso pieno della parola deve ricordare che nello Stato di Israele ci sono pieni diritti uguali a tutti i cittadini del Paese.

Non basta. Per ribadire il concetto, Rivlin ha usato anche i social media.

Quando ci recheremo alle urne per esercitare il diritto di voto, saremo tutti uguali, ebrei e arabi: nella Knesset tutti saranno rappresentati, ebrei e non ebrei,

ha ribadito il capo dello Stato in una dichiarazione che in seguito ha twittato sul suo profilo ufficiale in arabo.

Rivlin ha usato ancora Twitter per rafforzare il messaggio, scrivendo in ebraico:

Negli ultimi tempi siamo esposti a un inaccettabile scontro che ha come bersaglio gli arabi israeliani. Mi rifiuto di credere che ci siano partiti che hanno rinunciato all’immagine di Israele come Stato democratico ed ebraico.

Il presidente Reuven Rivlin

Ma questi partiti esistono, e si candidano a governare Israele. Tra loro è una corsa a chi esalta maggiormente la “purezza ebraica”, a chi è più fedele a “Eretz Israel” (la Terra d’Israele), a chi mostra maggiormente i muscoli non solo contro i nemici esterni ma anche con quelli che vengono considerati i loro sodali interni. In questo contesto, la stessa discussione su un ipotetico accordo di pace con i palestinesi fondato sulla soluzione “a due Stati” s’aggiorna ed è “incorporato” nello scontro su quello che la destra oltranzista considera lo “Stato ombra” interno: quello che ha come cittadini gli arabi israeliani. Lo “Stato ombra” è una metastasi che va aggredita, estirpata.

In questa visione, stato e comunità sono solo diversità semantiche, ma la sostanza non cambia: il pericolo è lo stesso. E chi, tra gli ebrei, pensa di potersi alleare con i partiti arabi, o anche solo rivolgersi a quell’elettorato o candidarne esponenti nelle proprie liste, va additato come un venduto, un traditore, una minaccia esistenziale: sia esso un politico, uno scrittore, un’attrice.

Ma questa radicalizzazione sta facendo emergere l’“altra Israele”, probabilmente non maggioritaria sul piano elettorale, di certo però sempre più avvertita della posta in gioco. E per questo più attiva, coinvolta nel contrastare una pericolosa deriva “etnocratica” non solo del sistema politico ma anche della “psicologia della nazione”. “Qui l’identità non la capisci da chi uno è, ma da chi odia”, ha scritto David Grossman. Ma c’è una Israele che non odia e che non costruisce su questo sentimento deteriore la propria identità. Due attrici e un presidente l’hanno ricordato. 

Israele. Perché il voto arabo conta, e divide ultima modifica: 2019-03-12T15:46:06+01:00 da UMBERTO DE GIOVANNANGELI
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