Ho chiesto a un grande economista, il mio vecchio amico Joseph Halevi, di spiegare – parlando a chi non sa niente di economia, con lo stile terra-terra del Bignami – la differenza (se c’è) tra una crisi “finanziaria”, come quella del 2007-2008, e una crisi di “economia reale” come quella attuale, provocata da un’improvvisa e globale emergenza sanitaria. Confido nella comprensione di Joseph se condivido con i nostri lettori quanto mi ha scritto in un’email personale, prendendo alla lettera la mia richiesta. Ecco cosa mi ha scritto. (g. m.)
La crisi del 2007-2008 è stata dovuta alla speculazione su valori futuri soprattutto nel mercato immobiliare degli Stati Uniti. Ciò ha creato una crescita dei consumi non sostenuta da un’espansione adeguata del Pil per via della stagnazione degli investimenti negli Stati Uniti e del loro spostamento verso la Cina. I consumi aumentavano tramite l’indebitamento ottenuto grazie alle operazioni di remortgaging (cioè l’accensione di nuovi mutui sulla stessa casa in base alla crescita delle plusvalenze). A questo processo si sono aggregate le istituzioni finanziarie di tutto il mondo tramite i cosiddetti prodotti derivati. Quando a un certo punto i debiti non hanno potuto più essere ripagati – fatto che è emerso per primo nel mercato del subprime, cioè dei mutui concessi alle famiglie povere – il castello di carte finanziario è crollato portando alla crisi nell’edilizia e nel settore bancario che si è riprodotta ovunque. Ne consegue che la crisi reale – quella che ha creato disoccupazione – è stata una crisi da domanda.
Oggi la crisi è da uno shock dal lato dell’offerta che ha provocato anche uno shock dal lato della domanda. Il Covid-19 ha infatti portato alla decisione di sospendere molte attività operando quindi dal lato dell’offerta, riducendola drasticamente. Questo però significa bloccare gli investimenti nonché sospendere il lavoro e il pagamento dei salari. Tutte cose che impattano negativamente dal lato della domanda. Mi sembra che sia la prima volta che si verifichi una crisi provocata da shock dal lato dell’offerta e dal lato della domanda.
On est dans la merde!

C’è chi sostiene non solo che non c’è alcuna differenza ma addirittura che – non dovesse durare a lungo, perché è trovato il rimedio medico – si rivelerà meno impattante di quella del 2008.
Non saprei. Da tempo rifiuto di fare previsioni. Comunque quella del 2007-2008 non venne risolta naturalmente bensì dalle politiche ultra espansive di Stati Uniti e Cina. L’Unione europea dalla crisi del 2008 non ne è uscita se non in modo marginale. Il 2008 ha creato un new normal molto brutto.
Questa crisi sta mettendo in luce le falle produttive e la disconnessione negli Stati Uniti. Non è un caso che i paesi che riescono a controllare meglio come Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Singapore e anche la Cina, dopo la sbadatezza criminal politica a Wuhan, sono quelli che hanno i settori dei beni capitale (macchinari e processi intermedi a essi legati) più completi nelle loro articolazioni per rami e meno decentralizzati. In Europa sono decentralizzate esclusa la Germania con le ex Cecoslovacchie, l’Austria e la Scandinavia. Nell’insieme – dato che hanno i macchinari per produrre le apparecchiature mediche necessarie – questi paesi non hanno grandi difficoltà a moltiplicare la produzione di ventilatori, ad allestire posti con terapia intensiva, a produrre milioni di kit per il test come hanno fatto la Corea, il Giappone e Taiwan oltre che la Cina e la Germania. La Francia, per fare un esempio contrario, non riesce a produrre mascherine in misura minimamente adeguata e le mascherine non sono un prodotto complesso né terapeutico. Gli Stati Uniti non riescono a produrre ventilatori se non in pochissime migliaia come anche altre attrezzature mediche visto che le loro multinazionali hanno sbaraccato tutto in Asia. Ora queste capacità produttive sono state requisite dai vari paesi asiatici per affrontare la crisi sanitaria interna e non sono disponibili a esportare negli Stati Uniti. Come è successo con le mascherine in Europa.
Grazie, Joseph, buon soggiorno a Sydney.

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