Voto spagnolo, sfida europea

Spagna al voto. Pp avanti, Psoe in lieve recupero, tanti gli indecisi e incerta l'affluenza. Dal risultato di Sumar e Vox dipenderà il prossimo governo, decisivo anche per la futura governance europea.
ETTORE SINISCALCHI
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Dalla mezzanotte di venerdì è iniziata ufficialmente la campagna elettorale per le politiche del 23 luglio. Ieri il faccia a faccia tra Pedro Sánchez e Alberto Nuñez Feijóo, ma la partita è iniziata già il 29 maggio, il giorno dopo le amministrative, quando Sánchez ha annunciato il voto anticipato. Dopo un voto locale già in chiave prettamente nazionale – “Derogare il sanchismo” fu, ed è, lo slogan delle destre –, le macchine dei partiti non hanno neanche spento i motori. Il 23J è la segunda vuelta del 28M (come gli spagnoli usano siglare le date, con la cifra del giorno e l’iniziale del mese, qui julio e mayo), una partita di ritorno cruciale per la Spagna e anche per l’Europa, non solo per la presidenza di turno spagnola. Partiamo da qui.

Lunedì scorso, Madrid è stata per un giorno capitale dell’Ue. Con la visita di Ursula von der Leyen e della Commissione europea è iniziato il semestre spagnolo. Il voto arriva all’inizio del turno di presidenza, una concomitanza inopportuna, accettata da Sánchez, che l’ha determinata, e dalla Commissione, che avrebbe preferito maggiore “normalità”, come complicata ma gestibile. La cancellazione del discorso inaugurale del capo del governo dà il segno di una presidenza “sterilizzata”, Sánchez disporrà della funzione di presidente di turno dell’Ue solo con un risultato favorevole. 

Pedro Sánchez nel Parlamento ucraino a Kiev nel suo unico atto internazionale come presidente di turno dell’Ue, il primo luglio; fonte: La Moncloa

La dimensione europea di questo voto è fondamentale, come, sempre attento al contesto internazionale, nota Enric Juliana su La Vanguardia. La coincidenza sottolinea la portata europea del voto, che è duplice. Da un lato, mette alla prova le nuove linee guida di cui la Spagna è stata il principale laboratorio – l’Eccezione iberica per il prezzo del gas, le nuove tutele per il lavoro e la previdenza sociale, la transizione energetica e produttiva –; dall’altro, si inserisce come passaggio fondamentale nella definizione dei prossimi equilibri europei. Se Pp e Vox formeranno un governo a Madrid prenderà forza il progetto di alleare il Ppe col gruppo dei Conservatori – l’eufemistica autodefinizione scelta dalle destre nazionaliste di Orbán in Ungheria, Meloni in Italia e Morawiecki in Polonia, dove un altro voto importante in questo percorso si terrà in autunno.

Sul piano interno, sono elezioni difficili per Pedro Sánchez e le sinistre, mentre le destre sentono i venti favorevoli dei sondaggi, cresciuti col progressivo disfacimento dell’alleanza di governo tra Psoe e Unidas Podemos e nel difficile processo di aggregazione delle sinistre non socialiste attorno alla candidatura di Yolanda Díaz, con una lieve inversione di tendenza solo negli ultimi giorni. La frammentazione non garantisce maggioranze assolute neanche in coalizione (Sànchez ha governato in minoranza). Le destre annusano e evocano il cambio di ciclo e a sinistra il tema Podemos (endogeno: la deriva dirigista autoritaria di Iglesias che ha disperso un patrimonio di partecipazione; esogeno: la voglia di tutti, alleati compresi, di farli fuori, con mezzi leciti e illeciti) ha un alto costo, già evidente in termini di smobilitazione, col 20% dell’elettorato di sinistra indeciso se andare alle urne e per chi votare. 

Pedro Sánchez aveva immaginato un’agenda molto diversa. Il semestre europeo a consolidare l’autorevolezza del suo governo, con la campagna elettorale illuminata dai buoni dati economici e occupazionali e dalla rivendicazione dell’azione riformatrice a blindare una centralità per la quale, in un’epoca senza maggioranze assolute, nessun governo sarebbe possibile senza il suo Psoe. Ma i rapporti tra i soci di governo, progressivamente deteriorati, e le tensioni a sinistra del Psoe, esplose nel processo aggregativo, hanno dato il colore di fondo e i dati economici interessano poco ai media, in una campagna all’insegna del cambio di ciclo politico e della “fine del sanchismo“. Il pasticciaccio brutto della nuova legge sulla violenza sessuale, mal gestita dai ministeri socialisti e di Podemos con errori di cui nessuno si assume la responsabilità scaricandola sugli altri, ha fatto esplodere la guerra tra i soci di governo e scatenato la resa dei conti con Podemos a opera di destre e media, e di parte del Psoe, e quelle all’interno del femminismo, già laceratosi sull’identità di genere. 

Dal canto suo, la formazione di Pablo Iglesias, ora senza ruoli ufficiali ma ancora dominus del partito, ha avvelenato i pozzi dell’alleanza a sinistra, promuovendo una mistica isolazionista e evocando la categoria del traditore verso ex compagni di viaggio, tentando di difendere rendite di posizione non più esigibili, crollate dopo la sconfitta elettorale del 28M dopo cui ha dovuto accettare condizioni che avrebbe potuto trattare un anno fa, e ottenendo comunque, dal punto di vista delle posizioni in lista e della ripartizione dei rimborsi elettorali, più di quello che aveva raccolto il 28M.

Mal rollo, malumore, e poca ilusión, aspettativa e speranza, sembrano dominare gli animi a sinistra. Riuscirà il timore per le destre a mobilitare? Pedro Sánchez lancia l’allarme sulla regressione democratica di un governo Pp-Vox. Yolanda Díaz, nel frattempo, macina chilometri. Ora che si vota non è più al centro delle attenzioni dei media. Da un lato la smobilitazione sembra costarle, dall’altro le iniziative sono sempre molto partecipate. Qualcosa si muove. Un recente sondaggio del Cis (ci torneremo) dà a Sumar un buon risultato e il sorpasso su Vox, altri lo dànno ancora indietro seppure in crescita. Una scorta di ossigeno per la scalata di Díaz tra le vette della delusione e dell’astio a sinistra. Oltre a girare molto per ridare fiducia all’elettorato sta affinando il suo messaggio. Due proposte segnano questa fase della sua campagna: una “eredità universale per i giovani” e il rilancio del tavolo di dialogo sulla Catalogna, per giungere a un accordo da sottoporre al voto dei catalani. La prima è una proposta discussa ma costituisce forse la prima delle ricette di Thomas Piketty per ridurre le diseguaglianze economiche introiettata in un programma politico. Un dato da non sottovalutare, nella costruzione di un nuovo laburismo europeo, come ha colto Guillem Martínez su CTXT. La seconda invece ci riporta alla questione territoriale, cartina di tornasole della crisi della democrazia costituzionale spagnola. 

Gli scenari basco e catalano sono in fermento. Sul fronte mediterraneo, continua la lotta tra gli indipendentisti di Erc e Junts mentre i socialisti pregustano una vittoria importante. In Catalogna si capisce spesso chi governerà la Spagna. Quando José María Aznar vinse le sue prime elezioni nel 1996 ottenne otto deputati nelle circoscrizioni catalane, la forchetta attuale dei sondaggi per il Pp è tra sette e nove. Allora, governò con l’accordo e l’astensione del “catalanismo moderato”, questa volta occorrerebbe un miracolo, se i voti di Vox non basteranno. Attenzione anche al voto basco. Il Pnv è in difficoltà, mentre cresce rapidamente la sinistra nazionalista di EH Bildu, a confermare la tendenza del 28M. Bildu è stato uno degli argomenti del Pp, che rinfaccia al Psoe i voti parlamentari dei baschi, definiti tout-court Eta. Evocazione e uso del terrorismo da parte del Pp sono continui e immuni al dato reale, l’Eta si è sciolta da anni. “Que te vote Txapote“, soprannome di un terrorista basco pluriomicida, è lo slogan di Pp e Vox contro Sánchez. Contro questa propaganda sono insorte alcune associazioni delle vittime del terrorismo e a rivendicare la sua azione per la sconfitta e lo scioglimento della banda terrorista, ricordando come il Pp tentò di boicottare un processo che non guidava, è sceso in campo José Luis Rodríguez Zapatero, l’esponente della vecchia guardia socialista più impegnato al fianco di Sánchez.

Le destre in generale sembrano avere il favore della discesa, anche se qualche nebbia s’intravvede sul cammino. La vittoria del 28M si voleva tramutare in un trionfo nel quale prefigurare e celebrare la fine del sanchismo. Il voto anticipato ha rovesciato il tavolo. Alberto Núñez Feijóo e il Pp non hanno più mesi per suonare la grancassa della vittoria prossima ventura, soprattutto non c’è tempo per comporre le trattative con Vox, indispensabile per formare maggioranze dove spesso il Psoe è il primo partito. E Vox è un peso per il volto moderato di Feijóo. Ha ottenuto presidenze di assemblee, la cancellazione delle deleghe alle pari opportunità, la revisione di programmi espositivi e di teatro, già licenziati dalle precedenti amministrazioni, con l’applicazione di censure a testi e eventi, cassando riferimenti alle tematiche di genere e alla violenza sulle donne. La presidente del Parlamento Valenziano, Llanos Massó di Vox, si è platealmente allontanata col gruppo dal minuto di silenzio per l’assassinio di una donna da parte del compagno, convocato dalla nuova presidenza di destra. La capacità di interdizione del partito di Santiago Abascal si è plasticamente manifestata con l’imbarazzante vicenda della candidata popolare del PP in Estremadura, María Guardiola, che prima recita un’appassionata difesa della democrazia liberale e dei diritti delle donne, per cui è impossibile governare con Vox, salvo poi capitolare sotto la pressione del partito: “la mia parola non è tanto importante come il futuro degli estremegni”.

Da un lato le differenze tra Pp e Vox appaiono sempre più sfumate, con la “guerra culturale” come comune terreno di visione politica, dall’altro gli ultimi giorni hanno visto un aumento della conflittualità. Se ci siano reali differenze o sia solo un gioco delle parti è tema di dibattito tra i commentatori politici. Quel che è certo è che il “management culturale” di entrambi i partiti è a cura dell’ex presidente José María Aznar e della sua fondazione Faes, grande manovratore dietro le quinte del Pp e delle destre spagnole. Dietro il volto moderato di Feijóo fanno capolino inquietanti segnali, con la promessa, nel programma elettorale del Pp al punto 219, di regolare “le condotte di slealtà delle istituzioni tese a porre in pericolo la pace e l’ordine costituzionale, sia mediante convocazione di referendum o consultazioni non autorizzate che manovre per minare il credito della Spagna nella comunità internazionale”. Guerra culturale in purezza che prepara una nuova stagione di scontro tra nazionalismi, centralista e periferico, ricostruendo lo scenario che ha portato la Spagna, con la crisi catalana, al più grave scontro istituzionale della democrazia.

Ma Feijóo gioca bene le sue carte. Il problema-Vox diventa un richiamo al voto utile e serve a mostrare il lato più moderato, sperando così di disinnescare l’allarme di Sánchez sull’alleanza con la destra post franchista. Il centro è meno evocato di altre volte, nella ricomposizione sull’asse destra / sinistra del quadro politico, ma pure c’è un elettorato che può votare sia Pp che Psoe al quale bisogna parlare. Cosa che fa anche Sánchez che mette in mostra il lato di uomo d’ordine e giunge a farsi portavoce di un disagio maschile davanti alle conquiste delle donne. “Uomini tra i 40 e i 50 anni hanno sentito discorsi ostili verso di loro”, ha detto rivendicando “un femminismo integratore” e aggiungendo: “È un dato obiettivo, anche io ho amici che si sono sentiti a volte a disagio rispetto a certi discorsi, conflittuali più che di incontro”, ha detto in una recente intervista). Abbiamo quindi un Sánchez un po’ schizofrenico, in cui si alterna la rivendicazione delle politiche “per la classe media e lavoratrice” alla presa di distanza dall’esperienza del suo governo e dall’alleanza delle sinistre.

A Feijóo adesso preme dare segnali all’Europa, e non è facile dopo averla infastidita per anni facendo opposizione al governo di Madrid nell’Aula e nelle commissioni di Bruxelles. È impegnato a mostrare il lato moderato e di buon senso, iniziando a anticipare quali leggi non derogherà, come la legge sull’aborto, su cui il Pp sparò a zero, rivolgendosi, respinto, al Tribunale Costituzionale, e la riforma del lavoro di Yolanda Díaz – molto più di un segnale a Bruxelles, che in quella riforma, contro cui ha remato anche parte del Psoe di governo, ha visto la prima applicazione delle sue nuove linee guida per la sicurezza del lavoro –. Confindustria, sindacati e Europa hanno scritto insieme quel testo che Feijóo si è impegnato a non derogare davanti alla stessa von der Leyen. Da quel testo, e dalla nuova legge sulla casa, è dipeso lo sblocco dei fondi europei per la Spagna e una cancellazione porterebbe a pesanti sanzioni. Resterà anche la tassazione degli extra-profitti delle aziende energetiche, altra misura benedetta da Bruxelles, mentre la guerra culturale prevede la derogazione della legge sull’identità di genere e di quella sulla memoria democratica.

Pedro Sánchez e Alberto Nuñez Feijóo si danno le spalle nel dibattito elettorale del 10 luglio sul circuito Atresmedia

Ieri, l’unico dibattito tra i due candidati principali, sul circuito privato di Atresmedia (Antena 3, La Sexta, Radio Onda Cero), è stato brutto e nervoso, qui una sintesi de El País, per lunghi tratti ha probabilmente allontanato elettori più che motivarli. Continue interruzioni, reciproche accuse di mentire hanno affaticato più del dovuto spettatori già stanchi. In questo quadro, Sánchez appare aver perso l’occasione. Non è riuscito a esporre i suoi successi, raramente ha messo alle strette Feijóo, tranne quando ha elencato le scelleratezze misogine di Vox. Dal canto suo il popolare è riuscito a fare muro, spezzare il ragionamento dell’avversario, aiutato dall’indifferenza rispetto al dato reale. Eta, stupratori in libertà “grazie” alla nuova legge sulla violenza sessuale, accuse sul Marocco, evocazione di accordi segreti e annuncio di un ritorno allo status quo precedente alla svolta Spagnola sull’ex Sahara spagnolo – improbabile, visto l’accordo con gli Usa che ne è presupposto –, ogni tema è stato usato da Feijóo come una clava. Tutti lo davano per soccombente e invece è riuscito a reggere botta, risultando per questo il vincitore di un faccia a faccia che, però, non sembra aver fatto inclinare la bilancia da nessun lato. Il quadro resta quello, il Pp avanti e il Psoe in lieve recupero. I temi anche: “derogazione del sanchismo” e “allarme democratico”.

I sondaggi sono concordi nel disegnare un paese spaccato a metà, ma si discostano in parte nei risultati. Il Cis, l’Istat spagnolo, ha cominciato a segnalare la vittoria del Pp, dopo aver dato, pressoché in solitudine, avanti i socialisti, suscitando polemiche sull’uso dell’istituzione da parte del governo. Gli altri istituti concordano sul vantaggio del Pp ma divergono su risultati complessivi dei blocchi, che saranno fondamentali, come la possibilità di ottenere appoggi parlamentari esterni, in cui il Psoe appare favorito, visto il nazionalismo centralista del Pp che allontana voti baschi e catalani. La grande massa di indecisi, confermata da tuti i sondaggi, deciderà il risultato nelle ultime ore.

I giorni che separano dal voto promettono un aumento della temperatura, non solo metaforico. Al voto si andrà già nelle vacanze estive, si spera non in un’ondata di calore di quelle che si susseguono a flagellare il paese. L’anticipo ha liberato Sánchez da molte pressioni, ha costretto le sinistre a mettersi d’accordo e ha sottratto tempo al Pp. Ma contiene in sé altri rischi. Il Pp lo accusa di puntare su una scarsa affluenza ma è un rischio soprattutto per lui, con l’alta smobilitazione a sinistra, anche se, in una società fortemente di classe come quella spagnola, le vacanze a luglio le fanno i settori più agiati, bacini elettorali di Pp e Vox. Poi, se pure la sinistre si sono forzosamente ricomposte, la questione-Podemos continua a essere un’incognita. L’elettorato è astioso e deluso e potrebbe non rispondere al richiamo unitario. L’estromissione di Irene Montero, ministra di Uguaglianza e motore della legge del “Solo sì è sì”, può rivelarsi fatale in tal senso. L’unione a sinistra forzata non è quel “Sumar a trazione Podemos” che, secondo Ivan Redondo, ex consigliere politico di Pedro Sánchez e uno dei principali sponsor della candidatura di Díaz, era condizione per vincere, e il cui abbandono ha molto raffreddato l’entusiasmo dell’analista politico per la candidata delle sinistre. Col voto anticipato Sánchez ha ripreso momentaneamente il controllo dell’agenda ma può aver accentuato alcune criticità. Su tutte la perdita dell’ambizione di vittoria in favore della prospettiva dell’interdizione di un governo delle destre, un “piano B” che non accende le speranze. Se la mossa sarà stata utile lo sapremo solo il dopo il conteggio elettorale. 

Immagine di anteprima: Pedro Sánchez, la vicepresidente e ministra dell’Economia Nadia Calviño e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen nel Museo del Prado di Madrid lunedì scorso, per l’apertura del semestre di presidenza spagnola dell’Ue; fonte La Moncloa

Voto spagnolo, sfida europea ultima modifica: 2023-07-11T18:20:51+02:00 da ETTORE SINISCALCHI
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